“Per singulos dies benedicimus Te”

«Cantate al Signore, benedite il suo nome, annunciate di giorno in giorno la sua salvezza» (Sal 95,2). 31 dicembre, ultimo giorno dell’anno 2022. Il tempo non è semplicemente una categoria filosofica ma un dono di Dio: in esso, come nello spazio, siamo immersi, così come siamo immersi in Dio: «in Lui viviamo, ci muoviamo e siamo» (At 17,28). Alla fine di un anno affiorano alla mente pensieri profondi sul senso del tempo che scorre, delle ere che si chiudono, della vita che passa, della morte che si avvicina. Ciascuno attribuisce al tempo il suo valore con ottiche diverse: cronologica, psicologica, spirituale, culturale. Il cristiano coglie la dimensione del tempo nel riflesso in Dio e con Dio: il passato, il presente e il futuro e la legge col criterio della misericordia (si affida a Lui ed alla sua bontà infinita), della responsabilità personale (si impegna a gestire e vivere in forma piena il presente) e della provvidenza (attende ciò che verrà dalle mani di Dio che ama e si prende cura delle sue creature). Ciascuno nel tempo scrive la sua storia, cresce, sperimenta gioie e dolori, medita certezze, subisce paure pur rendendosi conto che tutto ciò che può programmare e stabilire è sempre relativo perché ha davanti “la metamorfosi che si compie nell’essere” (Paolo VI). Si impone la considerazione della precarietà della vita e le domande fondamentali dell’esistenza umana: chi sono? Da dove vengo? Dove vado? La speranza cristiana vince la paura e fa vivere in serenità uno dopo l’altro gli anni che passano. Se anche l’incertezza del futuro talora mina l’entusiasmo, la certezza della vita eterna sprona “ogni giorno a benedire il Signore e lodare il suo Nome per sempre” (Te Deum). Buona fine di questo anno 2022 con la serenità e la pace di chi non guarda alla conclusione con tristezza ma vive ogni giorno come se fosse l’ultimo, il primo, l’unico. P. Angelo Sardone

La Santa Famiglia: modello della famiglia cristiana

«Chi onora il padre espìa i peccati e li eviterà. Chi onora sua madre è come chi accumula tesori» (Sir 3,3-4). Nella domenica che cade fra l’ottava del Natale, la Liturgia celebra la festa della Santa Famiglia di Nazaret. Quest’anno la festa viene anticipata nella giornata odierna per il fatto che la domenica corrisponde al 1° gennaio. Nel clima tipico del Natale si ricordano e si venerano i protagonisti dell’evento: Maria, il fanciullo Gesù e Giuseppe, mentre si recano a celebrare la Pasqua a Gerusalemme (Lc 2,41-42). Già nel Vecchio Testamento la Sapienza di Dio tracciava l’elogio del padre e della madre cui si deve onore: facendo ciò si ricavano espiazione dei peccati ed accumulo di tesori. Il testo sacro inneggia ai rispettivi ruoli della paternità e maternità delineati dalla stessa natura umana, come insopprimibili, inalienabili, che non possono essere confusi o sostituiti da alcuna intromissione di ordinamento giuridico. É tradizione in questo giorno festivo la partecipazione dell’intera famiglia alla celebrazione dell’Eucaristia, la rinnovazione delle promesse matrimoniali, l’affidamento della famiglia al patrocinio della santa Famiglia di Nazaret, la benedizione dei figli, lo scambio delle promesse sponsali dei fidanzati in vista della costituzione di una nuova famiglia. È bello pensare come la famiglia cristiana, il grande mistero sul modello di Cristo che ama la Chiesa, configuri la propria identità e missione sul modello della Famiglia di Nazaret attingendo da essa testimonianza ed insegnamenti. Il contesto sociale attuale è fortemente ostile all’essenza, al valore ed alla funzione della famiglia cristiana, continuamente attaccata su tutti i fronti da posizioni politiche ed ideologiche laiciste, contrarie alla sana moralità ed incurante delle leggi di natura. Non così la presenta la Sacra Scrittura, la sana teologia e l’inveterata prassi della Chiesa e della società cristiana. Auguri vivissimi a tutte le Famiglie cristiane. P. Angelo Sardone

I santi Innocenti di ieri e di oggi

«È Gesù la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1Gv 1,2). Questa espressione quanto mai efficace mi sembra il commento biblico più adatto della festa odierna dei santi Innocenti. La loro vicenda storica è nota e profondamente legata alla nascita stessa del Bambino Gesù a Betlemme. Informato dai Magi di questo evento, pericoloso per la stabilità del suo trono, il perfido re Erode, ordinò la strage dei bambini al di sotto dei due anni di Betlemme e del territorio circostante nell’intento di colpire direttamente il Messia e di ucciderlo. Anche se secondo gli studi ermeneutici più accreditati la strage colpì non più di 20 bambini, il dolore in tutta la contrada fu grande per la disperazione di tante famiglie e l’ingiusta condanna riservata ad innocenti ignari di morire per Cristo, incapaci di parlare con la bocca, ma maturi e martiri di sangue. Si rinnova lo strazio avvenuto tanti secoli prima ai progenitori Ebrei nella terra d’Egitto col temerario faraone che, atterrito dal prolificare del numero dei suoi schiavi ebrei, aveva ordinato la strage dei figli maschi. Si rimembra altresì nell’oggi della storia un’analoga strage meno eclatante e in forma subdola, silente e straziante di tante vite innocenti strappate all’affetto dei propri cari, violati nella loro esistenza e libertà e votati alla morte anche fisica. Oggi, si fa anche memoria della strage giornaliera, di cui non si parla o la si accenna con grande difficoltà per non essere tacciati come retrogradi ed insensibili ai “diritti civili”, delle vite innocenti, tante, uccise nel grembo di donne, prima ancora di vedere la luce. Questi piccoli testimoniano ignari l’atrocità e la barbarie cui giunge il cuore e la mente umana lontana da Dio e dai valori che prima di essere cristiani, sono profondamente umani. P. Angelo Sardone

S. Giovanni, l’acuto evangelista

«Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi» (1Gv 1,3). La più grande, bella e ricca testimonianza su Gesù di Nazaret, il Maestro seguito sin dal primo incontro sul lago di Gennezaret e su precisa indicazione di Giovanni il Battista, la manifesta in maniera straordinaria ed autorevole nei suoi scritti Giovanni, figlio di Zebedeo: il quarto Vangelo, l’Apocalisse, le tre lettere. Dopo S. Paolo è l’autore più fecondo del Nuovo Testamento. L’immagine biblica dell’aquila che la tradizione gli attribuisce, spiega l’altezza e nello stesso tempo la profondità del suo pensiero teologico. Anche se non fu direttamente insignito di alcun compito direttivo da Gesù, divenne l’apostolo da Lui particolarmente amato. Il gesto emblematico col quale posò il suo capo sul petto di Gesù nel corso dell’ultima cena e la sua presenza fedele e perseverante fin sotto la croce accanto a Maria, testimonia oltre la familiarità col Maestro, l’intimità di affetto ed il qualificato discepolato. Si tratta di un amore perfetto da parte di Gesù che non può che avere una natura divina. Giovanni è «la personificazione del discepolo perfetto, del vero fedele di Cristo, del credente che ha ricevuto lo Spirito» (Max Thurian). La scuola di teologia di Efeso, dove si pensa si sia ritirato insieme con Maria la Madre di Gesù a lui direttamente affidata, divenne per lui il luogo dell’insegnamento, donde scaturì il quarto vangelo, il più teologico dei vangeli, un capolavoro di arte letteraria e di altissima teologia che testimonia nei secoli il grande amore da lui ricevuto e significativamente ricambiato al Maestro e Salvatore Gesù Cristo. P. Angelo Sardone

Il protomartire Stefano: fermezza e costanza

«Gridando a gran voce si scagliarono tutti insieme contro Stefano, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo» (At 7,57-58). Subito dopo la solennità del Natale di Gesù, la Liturgia celebra il ricordo dei cosiddetti «comites Christi», i compagni di Cristo, i vicini a Lui e primi suoi testimoni anche con il martirio. Oggi ricorre il «dies natalis», come si definisce nel gergo liturgico la morte, di S. Stefano, il primo dei martiri dell’era cristiana, testimone della fede. Egli si pone come pietra miliare nel tempo nuovo inaugurato da Cristo con la sua nascita in terra ed ancor più col mistero della sua morte e risurrezione. Anche se sono scarse le notizie biografiche, si sa di certo che apparteneva al gruppo dei Diaconi istituiti dagli Apostoli a Gerusalemme e probabilmente, era di origine greca, dato il suo nome che significa «corona, coronato». Godeva di buona reputazione ed era pieno di Spirito Santo e saggezza, grazia e fortezza (At 6,3.8).
Gli Atti degli Apostoli lo descrivono come intraprendente missionario della risurrezione di Cristo e per questo tradotto dinanzi al Sinedrio perché si scolpasse delle accuse di anziani e scribi. Imperterrito e per nulla pauroso, partendo da Abramo e finendo ai suoi giorni, offrì una magnifica lezione di teologia storica dimostrando che tutto il passato del popolo d’Israele conduceva a Cristo, il Giusto. La reazione dei capi e degli astanti fu di scandalo e di ferocia inaudita: fu trascinato fuori della città e lapidato. I cristiani di oggi sono chiamati come lui a formarsi adeguatamente alla scuola degli apostoli per apprendere la sana dottrina e testimoniarla se occorre, anche col martirio. Auguri a tutte le persone uomini e donne che portano il suo nome. P. Angelo Sardone

Felice e santo Natale 2022

Natale 2022. «Il Signore mi ha detto: Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato» (Sal 2,7). Nella solennità odierna il Salmo 2, classico della preghiera messianica, come affermava S. Ambrogio è il «canto del Natale di Cristo». Jahwé seduto sul trono mentre esprime la sua superiorità su tutto il creato e le creature umane, dichiara solennemente la grandezza della dinastia di Davide, re di Israele, potente sulla terra, e preconizza il Messia. Il canto stesso, mentre dichiara il re, figlio adottivo di Dio, esprime in forma poetica e teologica in maniera piena l’identità di Cristo come autentico Figlio di Dio, che è nel seno del Padre ed è da Lui generato. Il mistero del Natale, almeno come era concepito nel primo Millennio Cristiano, esprimeva questi concetti sostanziali di grande spessore teologico. L’avvento di S. Francesco d’Assisi e del presepio di Greggio (1223), ha aggiunto una dimensione più umana, fatta di cose che evidenziano e manifestano la grandiosità del mistero espressa in maniera analoga alla nascita di un bambino ed al coinvolgimento dei suoi genitori. Oggi si celebra questo grande mistero nella solennità della nascita in terra del Figlio di Dio, Figlio dell’uomo, generato da una donna promessa sposa a Giuseppe della stirpe di Davide, cui è imposto il nome di Gesù, cioè «Dio salva». La grandiosità del mistero evocata nei giorni scorsi dalle antifone maggiori e da una preparazione adeguata con la Novena, oscura il consumismo natalizio che si allinea ad uno stucchevole buonismo fatto a volte di panettoni, regali sotto l’albero e smancerie augurali, e conduce invece silenziosi alla Grotta a contemplare nel presepe, termine latino col quale si indica la mangiatoia, un Bimbo che vagisce ed è per il mondo Salvatore e Redentore. Auguri vivissimi, Buon Natale del Signore Gesù. P. Angelo Sardone

La vera casa di Dio: Gesù il Messia

«Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. Io susciterò un tuo discendente dopo di te. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio» (1Sam 7,13-14). Al grande re e profeta Davide preoccupato di voler costruire un tempio a Dio fino ad allora dimorante sotto una tenda nel segno delle tavole della legge, tramite il profeta Natan Jahwé assicura che sarà Lui stesso a costruirgli una Casa fondandola sul suo casato. La casa non sarà una costruzione materiale ma una persona, il Messia, cioè Gesù Cristo proveniente dalla sua discendenza. È questo il primo anello delle profezie sul Figlio di Davide. Il re in effetti si sentiva in forte disagio con Dio per il fatto di dimorare lui in una casa di cedro, mentre l’Arca era custodita sotto una tenda mobile e fragile. L’intervento di Dio è risolutorio e toglie il re da qualsiasi forma di imbarazzo, allineandolo però al suo progetto di amore attraverso la presenza nel mondo e la missione del Messia, a partire proprio dalla sua incarnazione. Il bellissimo linguaggio è denso di reminiscenze storiche ed ambientali e vuole ricordare al fulvo e giovane re che gli interventi di Dio a cominciare da quelli operati proprio nei suoi confronti quando lo scelse tra i suoi fratelli per costituirlo signore, e quelli verso il suo popolo per farlo dimorare nella terra promessa hanno fatto sempre riferimento al progetto salvifico. La vera casa di Dio, come la sua parola più autentica, viva e vera è Gesù Cristo che è lo stesso ieri, oggi e sempre. L’evento della sua nascita, celebrata nella grandiosità della liturgia cristiana, testimonia il principio della salvezza che dalla Incarnazione guarda e mira alla Redenzione. Buona vigilia di Natale. P. Angelo Sardone