Il comandamento più grande

«Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Questi precetti ti stiano fissi nel cuore» (Dt 6, 4-6). Il primo comandamento è «Ama il Signore Dio tuo». Lo ha ribadito Gesù a chi glielo chiedeva. La legge antica da Lui pienamente adempiuta, parte sempre dalle indicazioni prioritarie e primordiali che Jahwé aveva formulato tramite Mosé per il suo popolo. L’ascolto sta a fondamento dell’accoglienza del mistero dell’unicità di Dio e della grandezza e potenza della sua Parola. L’ascolto è il primo passo dell’amore, la disponibilità ad accogliere il precetto antico e nuovo dell’amore. Se non ci si dispone all’ascolto non si può comprendere l’ingiunzione ad amare Dio con la totalità del proprio essere: cuore, mente, anima e forze. La necessità di amare Dio con queste caratteristiche e potenzialità talora sfugge alla comprensione limitata dell’uomo preso da amori che distraggono e disturbano, che incantano come sirene e non aprono a prospettive solide e perduranti. Un retto rapporto di amore si basa sul dinamismo dell’ascolto e della traduzione pratica dei precetti formulati da Dio. L’amore di Dio si manifesta col dono dei suoi comandamenti e la richiesta di fedele loro osservanza. Perché ciò avvenga essi devono rimanere incisi nella mente e nel cuore, insegnati ai propri figli, costituire le norme fondamentali alle quali rifarsi ogni momento della vita. Una fede solida e matura non può prescindere da essi: sono la vera ricchezza. Il mondo di oggi frastornato da leggi e leggine che sovraccaricano di ingiunzioni a volte anche contrari alla natura ed al buonsenso, ha bisogno di tornare ai precetti di Dio e praticarli in maniera coraggiosa. P. Angelo Sardone

L’apologia di San Paolo

«Io sono un Israelita della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino» (Rm 11,1). L’avvento di Paolo nella scena evangelizzatrice della Chiesa primitiva, causò un certo trambusto. Il persecutore direttamente convertito da Gesù sulla via di Damasco, pienamente investito di doni e carismi straordinari, comincio la sua missione con entusiasmo pur in mezzo a tante difficoltà causategli dai Giudei che non potevano comprendere il repentino cambiamento della sua vita. Imperterrito, per quella forza venutagli dal terzo cielo dove era stato trasportato, si diede alla predicazione seguendo la sua vocazione di “apostolo dei gentili”, cioè dei pagani. I suoi viaggi missionari testimoniati puntualmente da S. Luca negli Atti degli Apostoli e le indicazioni significative riportate nelle sue lettere, confermano ampiamente il suo zelo e la sua passione per la salvezza delle anime. Tra queste non potevano non esserci i suoi conterranei, i Giudei che tanti ostacoli gli opponevano. L’eloquente testimonianza che Egli riporta nella lettera ai Romani conferma la sua appassionata apologia di vero Israelita, cresciuto alla scuola di Gamaliele nella più ferrea dottrina, quasi a dire la sua competenza culturale e di vita nella fede accolta dalla Tradizione qualificata del suo popolo. La trasformazione operata dalla grazia di Gesù lo rende ora paladino ed assertore del compimento delle promesse di Dio nei confronti del suo popolo, con la naturale evoluzione ed   attuazione apportata da Gesù di Nazaret. P. Angelo Sardone

La sofferenza ed il dolore di S. Paolo

«Dico la verità in Cristo, non mento, ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua» (Rm 9,1). L’incredulità ostinata dei Giudei, popolo scelto da Dio, procura a S. Paolo una grande sofferenza. La sua emotività viene espressa con chiarezza e semplicità, quasi una sorta di auto-confessione non di debolezza, ma testimonianza di un grande amore per il popolo da cui proviene. Talora una lettura superficiale dei suoi scritti potrebbe lasciare apparire una personalità staccata, fredda, con un giuridismo esasperato. Si tratta invece di un individuo caldo, emotivamente coinvolto in una tenerezza espressiva singolare. Lo Spirito Santo e la sua coscienza attestano il valore ed il peso della sua sofferenza a causa ed a vantaggio dei suoi fratelli Israeliti, consanguinei nella carne, ai quali riconosce una doppia serie ternaria di doni ricevuti da Dio, che lo pongono in una posizione privilegiata: adozione a figli, gloria e alleanze; legge, culto, promesse. Cristo è il dono più grande che supera tutti e che da loro proviene secondo la carne. Il dolore e la sofferenza per il rifiuto di Cristo da parte dei Giudei, induce l’Apostolo a desiderare di essere lui stesso «anàtema», cioè separato dalla gloria, per dare onore a Cristo, cosa che potrà venire dalla loro conversione (S. Tommaso d’Aquino). I parametri di questa esperienza dolorosa si ripetono nella storia dei popoli e della Chiesa anche oggi, quando tanti cristiani rinnegano la fede e vivono come se Dio non ci fosse e tutto dipendesse dalle loro capacità, dall’ingegno e da una florida economia. Quanta sofferenza si genera allora nel cuore e nella vita dei Pastori! P. Angelo Sardone

I santi Simone e Giuda apostoli

«Edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù» (Ef 2,20). Efeso, popolosa città dell’Asia Minore situata alla foce del fiume Caistro, principale porto e centro commerciale dell’Asia, con la sua comunità cristiana avviata da S. Paolo, è destinataria dell’omonima lettera, insieme con altre Chiese asiatiche. Prima Paolo nel corso del suo secondo viaggio missionario, poi Apollo, poi ancora una volta Paolo in due anni di permanenza, insegnarono il Cristianesimo. Nella simbologia paolina, ogni comunità cristiana ha il suo fondamento spirituale sugli apostoli ed i profeti che si sorreggono sulla pietra angolare dell’edificio che è Cristo stesso. È Lui che tiene unite le pareti che in Lui si cementano. Gli Apostoli ed i Profeti sono le nuove generazioni dei testimoni che hanno ricevuto la rivelazione del piano di salvezza di Dio e predicano il vangelo. Tra loro oggi la liturgia ricorda due Apostoli non molto conosciuti: Simone lo Zelota o il Cananeo e Giuda Taddeo, spesso identificati come cugini di Gesù. Nella predicazione del Vangelo Giuda Taddeo si spinse verso l’antica Persia e qui, insieme con Simone predicarono convertendo al Cristianesimo decine di migliaia di abitanti di Babilonia e di altre città. Subirono il martirio a Suanir, in Persia. Nella iconografia cristiana S. Giuda viene rappresentato con una fiammella di fuoco sulla testa, ad indicare lo Spirito Santo ed un medaglione sul petto che riporta il viso di Gesù. P. Angelo Sardone

La Preghiera dono dello Spirito

«Non sappiamo come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26). La preghiera cristiana è fatta di attesa e di speranza. La debolezza propria dell’uomo viene soccorsa da un agente esterno e superiore, lo Spirito Santo che si unisce alla maniera umana e fa desiderare ciò che Dio desidera. L’uomo lasciato a se stesso, vittima della sua sofferenza e succube della potenza del maligno non prega bene, cioè non prega come si addice alla sua condizione di figlio che ha fiducia nel padre ed a lui si abbandona, anzi addirittura può chiedere male (Gc 4,3-5). Lo Spirito che conosce la debolezza umana si inserisce nella dinamica relazionale della creatura col Creatore, diviene mediatore di preghiera e la esprime a suo vantaggio. L’intervento dello Spirito si compie nel cuore e nella mente dell’uomo, nella sua personalità più completa, realtà accessibili a Dio e si realizza con gemiti che l’uomo non può comprendere. Se non interagisse lo Spirito Santo la preghiera sarebbe solamente un costrutto umano, un imparaticcio, come lo definirebbe Isaia. Dio che conosce nell’intimo ogni uomo, nei suoi aspetti più reconditi e talvolta nascosti, accoglie l’azione dello Spirito, i suoi pensieri e le sue aspirazioni a favore dell’uomo, cose che rientrano nel piano di salvezza. Se il peccato continua ad offuscare la voce dello Spirito, si corre il rischio di formulare pensieri e parole vuote, che non sono preghiera ma ricerca di auto-consolazione e illusorio appoggio di sentimenti e di sensazioni accomodanti. P. Angelo Sardone 

Le sofferenze e la gloria

«Ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi» (Rm 8,18). Nelle Lettere di S. Paolo spesso le situazioni di attualità si proiettano o si contrappongono con quelle definitive, lasciando intravvedere una tensione verso il futuro. Ciò esprime speranza ed attesa. Guardando Gesù Cristo e considerando il suo amore manifestato con l’umiliazione della croce e la sua glorificazione, le sofferenze del momento, per quanto grandi possano essere, non sono paragonabili alla gloria futura verso la quale tendono e si collegano. Essa sarà manifestata in pienezza nella risurrezione personale. La sofferenza e la gloria sono elementi di un polarismo che si integra e si ampia nelle categorie spazio-temporali. La sofferenza è compagna stabile dell’uomo nel tempo della vita: ogni cosa creata soffre, proprio come le doglie del parto, nel dinamismo della rigenerazione. La gloria si riferisce alla vita futura. La sofferenza dell’umanità di sempre, immersa nella caducità e nella corruzione delle cose, è determinata dall’attesa della salvezza. Ma Dio non è lontano. L’adozione a figli elude la lontananza per mezzo di Gesù che ha compiuto le promesse del Padre. L’attesa fa parte anch’essa dell’uomo e della cronologia della sua storia. Si vive nella fede e non nella visione, attendendo la pace e la gioia duratura. Un grande senso di speranza deriva da queste considerazioni, conforta nelle tribolazioni attuali e le proietta con fiducia verso le cose ultime come il compimento ed il fine stesso della vita. P. Angelo Sardone

La carne e lo Spirito: lotte e trionfi

«Se vivete secondo la carne, morirete. Se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete» (Rm 8,13). Attenta e puntuale risulta la disamina di S. Paolo nella delicata trattazione agli abitanti di Roma degli elementi di novità che devono contraddistinguere i cristiani dai pagani. La dialettica della carne (la parte inferiore dell’uomo) e dello Spirito (la parte superiore) e le conseguenti loro opere, lo vedono appassionato assertore della verità e di affermazioni perentorie contro le falsità determinate dal modo perverso di vedere e giudicare le cose sante. Se i cristiani vivono secondo la carne, cioè secondo le tendenze istintive e passionali che degenerano in lussuria, potere sfrenato, dominio e possesso, avranno la morte spirituale, cioè la morte eterna. Se invece, per la forza dello Spirito e le sue tendenze faranno morire in se stessi le azioni del corpo, cioè se sapranno tenere sotto controllo le pulsioni istintive determinate dalla concupiscenza e dire no alle inclinazioni di passioni ed istinti legati prevalentemente alla corporeità, al mondo, ed a se stessi, si acquisteranno la vita eterna. La corporeità è di grande valore umano e spirituale: non si tratta di annullarla ma di evitare comportamenti ed azioni asservite agli istinti più bassi di egoismo e di sopraffazione sugli altri. I peccati sessuali disonorano il corpo. La meraviglia che si prova dinanzi alle cose create non deve far sfuggire quella che si prova guardando a se stessi (S. Agostino). Mediante l’unione a Cristo il corpo risorge a vita nuova ogni giorno ed esprime tutta la bellezza della libertà del vero amore che è dono, sacrificio, impegno, responsabilità. P. Angelo Sardone

Il ritorno in Israele guidato da Dio

«Li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno» (Ger 31,9). Il compito del profeta è annunziare una parola non sua, mettendo a disposizione del Signore la sua vita, la sua mente, la sua bocca, in perfetta obbedienza. Tra i quattro profeti maggiori svetta Geremia (650 a.C.), un uomo la cui vita corre di pari passo con le vicende storiche del suo popolo. Gli avvenimenti della sua vita personale sono noti più di ogni altro profeta. Nonostante sia portatore di una parola spesso dura e riprovevole per una genìa di ribelli, nella tenerezza del suo cuore si lascia andare ad espressioni di grande speranza e di fine delicatezza. La salvezza viene da Dio che raduna il popolo da ogni parte ed in ogni condizione sociale e fisica e lo riporta ad una situazione di prosperità e di sicurezza. I termini ricalcano il pianto, la gioia, la prosperità delle acque rigogliose dei fiumi, la strada del ritorno, senza pericoli. È il peccato che rende l’uomo vittima di se stesso ed in balia delle sue ambizioni e traviamenti. La fiducia e l’abbandono nelle mani di Dio, sortisce l’effetto della benevolenza del Signore che è Padre e che come tale non fa mancare mai ai figli il necessario per una vita serena e per un ritorno adeguato a Lui. Nel cammino di fede bisogna avanzare, anche quando si è zoppi, ciechi, inadeguati ad un progetto d’amore e ci si sente immeritevoli di perdono. È il Signore e Lui solo che salva: tutti gli altri, sacerdoti compresi, sono mediatori e strumenti, non salvatori, né miti, ma semplicemente persone dotate di compassione, rivestiti loro stessi di debolezza. P. Angelo Sardone

Sintesi liturgica XXX domenica del Tempo ordinario

Il Signore, Padre d’Israele, invita a cantare ed esultare perché salvando il resto del suo popolo, lo raduna in gran folla da tutte le parti conducendolo per una strada dritta non più nel pianto ma tra le consolazioni. A Gerico, Gesù, rispondendo alla richiesta gridata da Timeo divenuto cieco, lo guarisce per la sua fede. La guarigione diviene per lui salvezza e motivo di sequela del Maestro. Cristo, Figlio di Dio è il sommo sacerdote che, dichiarato tale dal Padre, sente giusta compassione per gli ignoranti e gli erranti, essendosi rivestito di umana debolezza trasformata in gloria nel mistero della Redenzione. P. Angelo Sardone

La carne e lo Spirito

«Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi» (Rm 8,9). L’attenta disamina di Paolo nel superamento della contrapposizione tra il bene ed il male, il peccato e la grazia, la carne e lo spirito, gli consente di descrivere ai Romani in che cosa consiste la vita del credente nello Spirito. Attraverso il Battesimo, infatti, viene donata al cristiano una vita nuova per la quale, morto al peccato ed alle opere della carne, è una creatura nuova generata per la giustizia e la santità della vita. Se il signore della vita è la carne, la passione, la sfrenata lussuria, l’uomo è sua vittima ed agisce secondo le esigenze della carne. Ma se signore è lo Spirito, l’uomo si muoverà nella sua direzione. La carne ed i suoi derivati nell’ordine spirituale e morale, ha certamente desideri di bene, ma essendo debole non riesce ad attuarli, anzi, talora li manifesta ed attua contrari allo Spirito. L’aiuto per equilibrare questa situazione e superare la cocente contraddizione, Dio l’offre venendo in aiuto alla debolezza dell’uomo e donandogli lo Spirito Santo. La rinascita nello Spirito che è lo Spirito di Cristo e Dio stesso, è avvenuta nel Battesimo: per questo Egli abita in noi e ci rende creature nuove. La signoria, ossia il dominio dello Spirito non schiaccia ma solleva, non vincola ma libera, fa comprendere che «siamo qualcosa e non tutto» (Edith Stein). È speranza e certezza di essere incamminati verso il cielo, svincolati da tutto ciò che forza ed abbarbica al finito e ci fa esistere, vivere e muovere in Dio, pur calcando le zolle e le strade della terra. P. Angelo Sardone