Forestieri, vedove ed orfani: privilegiati da Dio

«Nel Signore anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito» (Ef 2,22). Nella logica teologica S. Paolo descrive la Chiesa come un grande edificio le cui pietre sono costituite dai suoi membri. Questa visione ecclesiologica predilige apostoli e profeti che sono il fondamento dell’edificio spirituale mentre Cristo è la pietra d’angolo. Lo Spirito Santo che completa l’opera della salvezza, fa in modo che i cristiani, per via del Battesimo, diventino dimora di Dio. L’edificazione avviene attraverso il mistero di Cristo crocifisso che dà vita ad una nuova umanità. Su questa scia si mossero sin dall’inizio gli Apostoli, eseguendo il mandato di Gesù che li inviava a due a due e, prima di ascendere al cielo, a fare discepole tutte le genti. L’odierna festa dei santi apostoli Simone lo zelota e Giuda Taddeo, cioè magnanimo, testimonia il dato evangelico in dimensione missionaria per la Chiesa. Il primo, nativo di Cana, probabilmente era stato nel gruppo antiromano degli zeloti ed era morto con il corpo fatto a pezzi. Il secondo si sentì ripetere da Gesù il cuore stesso del vangelo per il cristiano: l’osservanza della Parola cui consegue l’amore del Padre che con il Figlio dimora in lui. Anche noi siamo pietre vive nell’edificio della Chiesa: ciascuno deve sentirsi chiamato a questo ruolo ed a questa collocazione che sottolinea la responsabilità di farne parte nella realizzazione del comune progetto di salvezza e di testimonianza nel mondo di oggi. La coscienza matura di questa identità libera da pregiudizi e facili invettive contro la Chiesa e chi la governa, dal momento che si tratta della creatura di Cristo nella quale, come membra di un corpo, ciascuno ha il suo posto e la sua responsabilità. P. Angelo Sardone

Appostoli nascosti

«Nel Signore anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito» (Ef 2,22). Nella logica teologica S. Paolo descrive la Chiesa come un grande edificio le cui pietre sono costituite dai suoi membri. Questa visione ecclesiologica predilige apostoli e profeti che sono il fondamento dell’edificio spirituale mentre Cristo è la pietra d’angolo. Lo Spirito Santo che completa l’opera della salvezza, fa in modo che i cristiani, per via del Battesimo, diventino dimora di Dio. L’edificazione avviene attraverso il mistero di Cristo crocifisso che dà vita ad una nuova umanità. Su questa scia si mossero sin dall’inizio gli Apostoli, eseguendo il mandato di Gesù che li inviava a due a due e, prima di ascendere al cielo, a fare discepole tutte le genti. L’odierna festa dei santi apostoli Simone lo zelota e Giuda Taddeo, cioè magnanimo, testimonia il dato evangelico in dimensione missionaria per la Chiesa. Il primo, nativo di Cana, probabilmente era stato nel gruppo antiromano degli zeloti ed era morto con il corpo fatto a pezzi. Il secondo si sentì ripetere da Gesù il cuore stesso del vangelo per il cristiano: l’osservanza della Parola cui consegue l’amore del Padre che con il Figlio dimora in lui. Anche noi siamo pietre vive nell’edificio della Chiesa: ciascuno deve sentirsi chiamato a questo ruolo ed a questa collocazione che sottolinea la responsabilità di farne parte nella realizzazione del comune progetto di salvezza e di testimonianza nel mondo di oggi. La coscienza matura di questa identità libera da pregiudizi e facili invettive contro la Chiesa e chi la governa, dal momento che si tratta della creatura di Cristo nella quale, come membra di un corpo, ciascuno ha il suo posto e la sua responsabilità. P. Angelo Sardone

La forza del Battesimo

«Il peccato non regni più nel vostro corpo mortale, così da sottomettervi ai suoi desideri» (Rm 6,12). Il Battesimo attua la giustificazione: ci si immerge nel mistero della morte di Cristo e della sua sepoltura, per rinascere con Lui risorto. Da ciò consegue un comportamento di vita del tutto nuovo: non si è più schiavi del peccato, si muore al peccato e si vive per Dio in Gesù. La grandezza del sacramento del Battesimo viene così delineata con la ricchezza di una teologia originaria che costituisce la base non solo della primitiva catechesi pasquale ma anche e soprattutto l’itinerario catechetico attuale nella sua ricchezza e varietà. Essendo stata superata la fase del peccato, il cristiano di ieri e di sempre vive con Cristo la vita divina, il cui massimo splendore sarà manifesto nella risurrezione finale. La conseguenza immediata, rafforzata dall’insegnamento fermo e deciso è che il peccato non deve regnare più nel corpo mortale e non lo deve tenere sottomesso ai suoi desideri che non portano a Dio. Si tratta di un ragionamento logico che deve tradursi nella pratica della vita coerente con questo quadro che se può sembrare ideale, è efficace. Con queste realtà deve fare i conti ogni giorno il cristiano che vuole essere tale, che vuole cioè professare quanto ha ricevuto nel Battesimo, fedele agli impegni presi. L’incoerenza verso le promesse battesimali porta automaticamente fuori da un contesto di autenticità e di vera dottrina. C’è ancora molto da imparare in una società nella quale coerenza, fedeltà, impegno e derivati sono relegati a volte solo alla buona volontà o al desiderio dell’individuo di perfezionarsi nella fede e di camminare in maniera autentica sulla strada del Vangelo e di Gesù Cristo. P. Angelo Sardone

Un infaticabile predicatore

«Quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo» (Rm 5,17). Nella presentazione e nell’analisi del rapporto Adamo-Cristo così come si realizza nella storia umana, proseguendo il suo pensiero S. Paolo sviluppa il rapporto e la contrapposizione tra la morte e la vita. Alla trasgressione colpevole di Adamo che ha generato una situazione di condanna con la morte eterna che si estende su tutti gli uomini, si contrappone Cristo con la sua obbedienza al Padre. Accanto a lui, coloro che hanno ricevuto grazia in abbondanza e regnano nella vita a causa di Gesù Cristo. Tra questi si segnala oggi lo spagnolo S. Antonio M. Claret (1807-1870), fondatore dei Figli del Cuore Immacolato di Maria (claretiani) diffusi in tutti i continenti. La sua vocazione missionaria è legata a Propaganda Fide ed all’esperienza pluriennale della predicazione delle missioni popolari tra la Catalogna e le Isole Canarie che gli permise di dare vita ad una Congregazione che ben presto annovererà centinaia di membri. Di questi nel corso della guerra civile spagnola del 1936-39 ne furono uccisi 271 a causa della fede. Nominato arcivescovo di Santiago di Cuba, si spese nel percorre la diocesi e nel dar vita a numerose iniziative che interessavano l’agricoltura, l’istituzione di una cassa di risparmio parrocchiale. Instancabile predicatore rientra in patria, partecipò al Concilio Vaticano I e morì in Francia. A questo santo ed ai suoi figli i Claretiani è legato il primo germe della mia vocazione religiosa e sacerdotale sin da bambino, avendo avuto la grazia di conoscere ed ammirarne diversi, appassionati di spiritualità, grandi predicatori, ottime guide spirituali, competenti testimoni di cultura e formazione alla vita consacrata. P. Angelo Sardone

Ciro il grande, uomo della Provvidenza

«Per amore di Giacobbe, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca» (Is 45,4). La storia del popolo d’Israele nel Vecchio Testamento viene retta da Dio, da Lui regolata e risolta soprattutto nei momenti più bui. L’esperienza della cattività babilonese ad opera del re Nabucodonosor, dal 587 al 538 a.C. risultò purificatrice per il popolo. Dopo questo tempo il Signore permise che tornasse a Gerusalemme con una soluzione politico-teologica di un altro re, Ciro il Grande, che si ritrovò ad essere l’uomo della provvidenza e della liberazione. Secondo l’oracolo di Isaia, l’iniziativa appartiene allo stesso Jahwé che afferma chiaramente di aver preso il re per mano ed avergli affidato il compito molteplice di abbattere le nazioni, sciogliere le cinture dei re, aprire la strada della liberazione. Il piano rientra in una vera e propria chiamata per nome da parte di Dio, una sorta di elezione, ed il conferimento dell’incarico strategico, sebbene il re non conosca Dio. Tutto questo il Signore lo compie per amore del suo popolo e perché tutti i popoli sappiano, dal suo intervento, che non c’è altro Dio. Nelle mani e nel pensiero di Dio, chiunque può diventare strumento adatto di salvezza, anche chi lo conosce. La storia controversa di ogni tempo, anche se scritta dagli uomini con le loro scelte buone o cattive, viene considerata da Dio nel pieno rispetto della libertà concessa alle creature ed alla conseguente loro responsabilità nella scelta del bene o del male. Non si può comprendere diversamente, se si pensa ai momenti più tragici del popolo eletto anche ai nostri giorni. Dio permette: non vuole il male. L’uomo di sempre si assume allora la pena responsabilità delle sue scelte. P. Angelo Sardone

Tutti hanno peccato!

«Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù» (Rm 3,23). Dopo aver annunziato ai Romani il tema generale della sua lettera, una sintesi-capolavoro di teologia, basata sul Vangelo, apportatore di giustificazione per chi crede, con caratteri di straordinario realismo Paolo descrive la situazione generale dell’umanità: tutti hanno peccato. La conseguenza è drammatica perché Dio ha lasciato l’uomo alla sua condizione di peccato, sia i pagani in quanto tali, che i Giudei. I primi si sono distinti nell’esercizio di passioni ignominiose: rapporti sessuali contro natura, turpitudini ed aberrazioni, con ogni genere di malvagità (cattiveria, cupidigia, malizia, invidia, lite, frodi etc.). I secondi hanno manifestato la durezza del loro cuore e della loro mente dinanzi al pentimento, attirandosi tribolazioni ed angustie. L’azione di Dio è salvifica dinanzi alla situazione precaria dell’uomo dominato dal peccato che l’ha profondamente degradato togliendogli l’immagine di Dio, cioè la partecipazione alla sua vita ed alla sua grazia. La medesima gloria gli sarà restituita dopo che sarà stato giustificato e raggiungerà il suo più pieno significato di «figlio di Dio», rinato per opera di Gesù Cristo. Queste indicazioni fotografano la situazione di sempre dell’uomo senza Dio e senza Cristo. Oggi sono più che mai realistiche dal momento che ci si illude di poter star bene con un pizzico di buona volontà, un po’ di entusiasmo passeggero, un prete compiacente e tutto fa brodo. Non è proprio così. Il Cristianesimo è una cosa seria e richiede ogni giorno una adesione fiduciosa ed obbediente che permette a Dio di entrare nella vita di ciascuno e di cambiarla veramente. P. Angelo Sardone

Cammino formativo e di adorazione per le vocazioni 2023-2024

Locandina che riporta il cammino di formazione rogazionista ed il calendario degli incontri di adorazione eucaristica per le vocazioni del Cenacolo Vocazionale di Altamura, emanazione dell’Unione di preghiera per le vocazioni. E’ opportuno diffonderlo tra gli amici e le persone interessate. Grazie a Carlo e Nella Genco che con zelo l’hanno preparato unitamente agli schemi mensili di preghiera che sono messi a servizio e diffusi tra tutti i gruppi e Cenacoli vocazionali in Italia. P. Angelo Sardone

S. Luca, evangelista del Rogate

«Solo Luca è con me» (2 Tim 4,11). L’espressione di S. Paolo, secca ed essenziale, evidenzia lo stato d’animo sconfortato e non certo felice dell’Apostolo. La situazione particolare tratteggiata nello scritto a Timoteo, riporta dolorosi avvenimenti che lo vedono abbandonato da Dema, vittima di danni da parte del fabbro Alessandro, solo ed abbandonato nel tribunale senza assistenza alcuna. Solo Luca, suo compagno nei viaggi missionari, é con lui. Questa presenza è di grande conforto, lui che sarà l’autore del terzo Vangelo e degli Atti degli apostoli, l’evangelista della misericordia, della compassione, dei vangeli dell’infanzia di Cristo, dei poveri. Il suo, detto anche «vangelo sociale», fu scritto più per i Greci che per i Giudei. Ha una caratteristica universale: predilige alcuni temi storici e teologici che si troveranno in concordia con il prezioso ed importante libro della Chiesa degli Atti di alcuni apostoli, massimamente di Paolo. Nativo di Antiochia di Siria sarebbe morto all’età di 84 anni a Tebe. In particolare nella Tradizione rogazionista, l’evangelista Luca occupa un posto particolare per aver riportato, insieme con S. Matteo, la pericope della preghiera per le vocazioni, il Rogate. S. Annibale M. Di Francia rileva nella narrazione lucana un tratto significativo e suo proprio che evidenzia la ripetitività dello stesso. Mentre Matteo in analoga pericope adopera il termine «dixit», cioè disse, Luca usa «dicebat» cioè diceva, andava dicendo, ad indicare quasi che si trattava di una ingiunzione ripetuta più volte, «il che dimostra la ripetizione e l’insistenza con cui inculcava questa divina preghiera» (S. Annibale Di Francia). Auguri a tutti coloro che ne hanno questo nome, perché possano essere come S. Luca, portatori di Cristo e del suo vangelo di salvezza. P. Angelo Sardone

Ignazio, infuocato di Cristo

«Io non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo, prima, come del Greco» (Rom 1,16). L’incarico ricevuto direttamente da Cristo di proclamare il Vangelo, rese Paolo fermo nelle sue profonde affermazioni di fede, convinto e coraggioso testimone delle verità pronunziate dal Maestro, che sono via al cielo. Il suo impegno lo rese intrepido dinanzi alle numerose difficoltà di relazioni e rapporti con i suoi conterranei che non capivano il senso della sua risoluzione di vita, fino a subire accuse, condanne ed appellarsi a Cesare andando a Roma. Una sorte quasi analoga l’ebbe nel II secolo uno dei martiri più illustri, S. Ignazio, vescovo di Antiochia, la città più nota e popolosa della Siria. Lo scanno episcopale che fu per primo di Pietro apostolo, lo rese inviso ai romani dominatori che lo inviarono a Roma perché fosse sbranato dalle belve nel corso delle feste imperiali. Ignazio, il cui nome significa «fuoco, infuocato», non si sottrasse alla condanna, anzi rese produttivo il suo viaggio perché nel corso della navigazione e delle soste, scrisse sette lettere ai cristiani di allora appartenenti alle diverse Chiese, compresa quella di Roma. Si tratta di un prezioso tesoro di teologia e pastorale che, a partire dalla potenza del Vangelo, dichiara ed esplicita le verità evangeliche affidandole alla Chiesa primitiva che muoveva i suoi passi in diversi ambienti già irrorati e fortificati dal sangue di numerosi martiri. Nelle lettere si dichiara «Teoforo», cioè portatore di Dio. Il suo coraggio e la sua testimonianza è ancora oggi seme fruttifero per nuovi cristiani nel coraggio e nel l’impegno della divulgazione del Vangelo anche a costo della vita. P. Angelo Sardone

Lettera ai Romani

«A tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!» (Rm 1,7). Termina così l’indirizzo di saluto che apre la corposa lettera che S. Paolo scrive agli abitanti di Roma. Seguendo lo schema classico che si usava nel suo tempo, l‘Apostolo, con una forma nuova e cristiana, si rivolge ai suoi destinatari evidenziando il mittente, formulando una sintesi teologica dello scritto ed indicando i destinatari. Benché non sia stato parte integrante del collegio dei dodici chiamati ed inviati da Cristo, Paolo nella tradizione cristiana diventerà l’apostolo per eccellenza per la sua eccezionale personalità e la consistenza numerica e qualitativa delle sue lettere. La lettera ai Romani fu scritta da Corinto nell’inverno del 57-58, quando Paolo stava per partire per Gerusalemme e di là seguitare per Roma e la Spagna. Non aveva lui fondato la comunità cristiana dell’Urbe ma la conosceva attraverso i coniugi Aquila e Priscilla che si erano accompagnati a lui, come una comunità di convertiti dal paganesimo e dal giudaismo. A Roma gli ebrei erano presenti sin dal 161 a.C. come mercanti e schiavi liberati. Nell’epoca imperiale la comunità ebraica divenne importantissima perché tanti che facevano riferimento ad almeno dodici sinagoghe, avevano cariche sociali e istituzionali, quali insegnanti e rabbini, artigiani e mercanti, uomini di cultura. «Amati da Dio e santi per chiamata di Dio», sono gli epiteti iniziali che l’apostolo riserva ai primi cristiani di Roma ai quali rivolge un saluto di pace sostenuto dalla grazia da parte di Dio Padre e del Figlio Gesù. P. Angelo Sardone