La saggezza di Salomone

«Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male» (1Re 3,9). Il regno amministrato per 40 anni dal grande re Davide, alla sua morte, passa a suo figlio Salomone, figlio di Betsabea, la moglie favorita che era stata moglie di Uria l’Ittita. Per lui Davide nutriva un affetto particolare data anche la singolarità della sua intelligenza e la capacità di governo che gli era riconosciuta. É giovanissimo e si trova un po’ spaesato dinanzi ad un’ingente responsabilità lasciatagli dal padre. Compreso di tale responsabilità, egli si rivolge a Dio offrendogli un sacrificio. In compenso Dio gli promette di dargli qualunque cosa gli avesse chiesto nella preghiera. Il giovane si rivolge allora al Signore e non gli chiede vita lunga, né ricchezze, né tanto meno la morte dei nemici. La sua richiesta è precisa: «un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al popolo e sappia distinguere il bene dal male» (1 Re 3,9). Il cuore indica il centro della sua vita, dei pensieri e dei giudizi, della verità, l’intimità della coscienza. Tutto questo per renderlo capace di distinguere il bene dal male. Fu esaudito e così divenne celebre per la saggezza e i suoi retti giudizi, l’uomo più colto del suo tempo, l’iniziatore della letteratura sapienziale. Il suo fu un regno di pace. Alla sua morte, il 931 a.C. il regno si divise in due parti, il nord (Israele) con 10 tribù e capitale Samaria, il sud (Giuda) con due tribù e capitale Gerusalemme. Quanto è importante oggi più di ieri il vero potere che non è sopraffazione, ma servizio, fidandosi di Dio dal quale procede la vera sapienza, il discernimento, la capacità di distinguere ciò che è bene dal male ed amministrare rettamente persone, eventi e luoghi. P. Angelo Sardone

I tre amici di Betania

«In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (1Gv 4,10). La prima Lettera di S. Giovanni apostolo è una sintesi mirabile del concetto e della realtà dell’amore che è Dio. La manifestazione più concreta di questo amore è il dono del Figlio unigenito che da dato la vita per la salvezza del mondo. La rivelazione puntualizza che è Dio che ci ha amato per primo. La dimostrazione viene da esempi pratici che Cristo ha offerto e da risposte concrete da parte degli uomini. La Liturgia odierna celebra la memoria dei tre fratelli di Betania, Marta, Maria e Lazzaro, grandi amici di Gesù. Sulla scia di quanto aveva già fatto S. Giovanni Paolo II, papa Francesco ha decretato nel 2021 la celebrazione congiunta. I tre sono accomunati da un identico, intenso amore per Gesù di Nazaret, sotto forma di ricambio grato e riconoscente al particolare suo amore ed alla manifesta amicizia con la quale Egli si rapportava con loro. Betania era una stazione missionaria sistematica dove il Maestro si fermava assaporando i valori ed il calore della famiglia ed il grande dono dell’amicizia e della condivisione umana. Gli episodi evangelici lo testimoniano con sobrietà ed intensità. Marta è nello stesso tempo un modello di attività di accoglienza ed una testimonianza tenace di fede. Maria scelse la parte migliore accogliendo docilmente la Parola di Gesù, e diviene esempio di scelte contemplative. Per Lazzaro morto, Cristo autore della vita, pianse e lo richiamò in vita dal sepolcro. Da questi esempi luminosi deriva l’obbligo del comandamento nuovo donato da Cristo: amarsi gli uni gli altri per poter rimane nell’amore di Dio e per Dio. P. Angelo Sardone

Le dieci parole

«In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole» (Es 20,1 ss). Dio e Mosè si incontrano sulla vetta del monte Sion. È, insieme col passaggio del mar Rosso, l’avvenimento più importante nel cammino di liberazione dall’Egitto e di costituzione di Israele come popolo di Dio. È l’evento del dono del «decalogo», le dieci parole, ossia i comandamenti, le parole di Dio per eccellenza. La storia sacra riporta lo stesso evento secondo la tradizione deuteronomista nel libro appunto del Deuteronomio (5,6-22). La formulazione è breve perché possa essere ricordata a memoria e copre l’intero campo della vita religiosa e morale. È il cuore della legge mosaica: Cristo richiamerà continuamente la loro osservanza ed aggiungerà quale sigillo di perfezione, i suoi consigli evangelici (Mc 10,7-21). Una condizione indispensabile è il fatto che Dio richiede un culto esclusivo, frutto dell’alleanza e distingue il popolo di Israele da tutti gli altri popoli. Tanto si è scritto e si continuerà a scrivere su questo evento. I primi quattro comandamenti si riferiscono ai doveri verso Dio; i rimanenti sei a quelli verso gli altri uomini. L’origine divina implica la solenne autorità dei comandamenti. Ai tempi della proclamazione del Vangelo, il decalogo non aveva ancora acquistato una forma fissa e l’importanza che acquisterà invece con la diffusione del Cristianesimo. Il Catechismo della Chiesa Cattolica riporta una complessiva e sistematica trattazione dei dieci comandamenti nella seconda parte del testo. La Tradizione della Chiesa ha sempre riconosciuto in essi un’importanza ed un significato fondamentali perché enunziano le esigenze dell’amore di Dio ed hanno un posto preponderante nella catechesi dei battezzati. P. Angelo Sardone

E’ passato attraverso il fuoco ed il fumo!

«Sul monte era sceso il Signore nel fuoco, e ne saliva il fumo come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto» (Es 19,18). Dovendo realizzare col popolo la sua alleanza al Sinai, Jahwé si manifesta a Mosè in una teofania con tuoni, lampi ed una densa nube, quasi una eruzione vulcanica. Ciò manifesta la sua potenza e trascendenza. Oggi la Chiesa con memoria facoltativa ricorda san Pantaleone di Nicomedia, in Bitinia, l’odierna Turchia, medico cristiano morto martire sotto l’imperatore Diocleziano nel IV sec. Al pari dei santi Cosma e Damiano è detto «anargiro», praticava cioè il suo servizio medico a titolo gratuito. È considerato uno dei quattordici santi ausiliatori, che soccorre ed aiuta tutti, e patrono dei medici e delle ostetriche. Nella Storia Rogazionista il suo nome è legato ad uno dei membri più importanti, il servo di Dio P. Pantaleone Palma (1875-1935). Nativo di Ceglie Messapico (Br) e membro del clero della diocesi di Oria, il 1902 approdò a Messina per completare all’università il corso degli studi classici. Per interessamento di don Vincenzo Lilla suo condiocesano che insegnava all’Università di Messina, fu ospite al Quartiere Avignone da S. Annibale che lo accolse quasi gratuitamente. Ammirato dalla santità del canonico messinese mise da parte gli studi e dal 1904 divenne a tutti gli effetti rogazionista, assumendo la direzione degli affari economici nei quali eccelse per capacità e formidabile ingegno, primo e principale collaboratore di S. Annibale M. Di Francia. Diresse per oltre 20 anni la casa di Oria e formò diversi religiosi rogazionisti. Vittima di invidie e gelosie anche per essere stato indicato dal fondatore erede universale dei suoi beni, il 1932 finì sotto processo al S. Uffizio e condannato ed il 1935, quando gli fu concessa la grazia di poter celebrare nuovamente la Messa, morì di crepacuore. Era passato nel fuoco e nel fumo divorante. La riabilitazione, alla quale io stesso ho collaborato negli anni scorsi   quando ero Postulatore Generale dei Rogazionisti, con lo studio e la ricerca storica, ha portato ultimamente all’istruzione dell’inchiesta diocesana per stabilire l’eroicità delle sue virtù e l’autentica sua santità costruita a forza di umiltà, pazienza ed affidamento a Dio. É sepolto nel santuario di S. Antonio dei Rogazionisti ad Oria. P. Angelo Sardone

S. Giacomo il maggiore

«Siamo tribolati, ma non schiacciati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù» (2Cor 4,8-9). La Chiesa ricorda oggi la festa dell’apostolo Giacomo, il «maggiore», fratello di Giovanni, entrambi figli di Zebedeo, e primo tra gli Apostoli a rendere testimonianza a Gesù morendo martire l’anno 42 d.C. ad opera di Erode, Agrippa I. Sempre presente accanto a Gesù, uno dei discepoli prediletti, è da Lui coinvolto nei momenti più importanti della sua rivelazione, dalla Trasfigurazione alla notte del Getsemani. Il suo nome è legato già in epoca medievale al cammino ed al celebre santuario di Santiago di Compostela in Spagna, dove secondo la Tradizione avrebbe predicato il Vangelo e dove tuttora, continua il pellegrinaggio di persone di tutte le età e di tutto il mondo. Il percorso è di 800 km e il cammino dura circa un mese. A Lui si applicano le mirabili espressioni di S. Paolo che ha vissuto analogamente situazioni di fede e di tribolazioni e coronato il tutto con la grazia singolare del martirio. Gesù glielo aveva preannunziato quando, rispondendo ai due figli di Zebedeo, affermò: «Il mio calice lo berrete» (Mt 20, 23). La testimonianza di Giacomo sottolinea il grande valore della fede che va accolta, vissuta e testimoniata fino all’eroismo in una società ed in una Europa sempre più scristianizzata che necessita di figure che accolgono il mistero di Cristo e lo evangelizzano con coraggio e fermezza. Auguri a tutti coloro che portano questo nome ed a tutti quegli ambienti nei quali la festa è particolarmente sentita e celebrata con solennità e buoni frutti spirituali. P. Angelo Sardone

S. Charbel, moderno taumaturgo

«Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza del Signore, il quale oggi agirà per voi» (Es 14,13). Fedele alla sua parola, dopo aver dato precise istruzioni tramite Mosè, Jahwé attua la prima fase della liberazione del popolo di Israele con la fuga dall’Egitto. Il cuore del faraone continua a rimanere ostinato e lo sarà fino a quando egli stesso non soccomberà sotto la furia delle onde che ricopriranno i suoi seicento carri ed i cavalli. Il popolo esprime quasi immediatamente la sua delusione ed il suo rimpianto per l’Egitto forse pensando che sarebbe stato tutto semplice. Ma il Signore manifesta la sua forza e la sua grandezza invitandolo ad essere forte e a non perdersi d’animo. Mosé in effetti col bastone dividerà il Mar Rosso in due parti, si potrà passare all’asciutto ed ancora una volta la gloria di Dio prevarrà sulla forza umana e le previsioni vittoriose del faraone. Il coraggio di fidarsi ed andare avanti, in genere non è facile, a meno che non si viva in stato di abbandono completo nelle mani di Dio. Così ha fatto S. Charbel Makhluf (1828-1898), un santo non molto conosciuto, un religioso maronita libanese che è come sorto dall’oblio nonostante sia stato canonizzato il 1977, e va imponendosi sempre più per il potere taumaturgico. La sua vita ritirata presso un eremo divenne ben presto per i suoi confratelli e la tanta gente che lo conosceva, un paradigma di esistenza votata a Dio. Il corredo poi dei miracoli che Dio operò per sua intercessione divenne ben presto forma di attrazione che continua ancora oggi sulla sua tomba. Non ha lasciato nulla di scritto. Paolo VI disse di lui «Egli può farci capire, in un mondo affascinato per il comfort e la ricchezza, il grande valore della povertà, della penitenza e dell’ascetismo, per liberare l’anima nella sua ascensione a Dio». P. Angelo Sardone

L’apostola degli apostoli

«Lungo la notte ho cercato l’amore dell’anima mia; l’ho cercato, ma non l’ho trovato. Voglio cercare l’amore dell’anima mia» (Ct 3,1). In maniera del tutto appropriata la Liturgia applica queste mirabili espressioni all’esperienza umana e cristiana di S. Maria Maddalena, la cui festa di celebra oggi. L’inveterata tradizione, a partire dai Padri della Chiesa e codificata poi dall’estro poetico e teologico di S. Tommaso d’Aquino, la definisce «apostola degli apostoli». Ella appartiene al gruppo delle donne che seguivano Gesù nella sua predicazione, alcune delle quali erano state guarite da spiriti immondi ed infermità. Da lei erano usciti sette demoni (Lc 8,2). Il vangelo di Giovanni documenta il privilegio a lei toccato di ricevere la prima apparizione di Gesù risorto ed il conferimento dell’incarico di portare il lieto annunzio della risurrezione. Ciò è frutto del suo intenso rapporto di amore con Gesù che, come afferma il card. Martini, «si rivela come il suo Signore, colui che lei cerca». L’esperienza, soprattutto dei mistici, sottolinea la ricerca dell’amato che si concretizza in un profondo itinerario spirituale, che annovera gli elementi più umani e reali del buio, della difficoltà, del desiderio e della delusione che viene poi superata dall’inaspettata e personale manifestazione di Cristo. L’itinerario di fede di Maria Maddalena è graduale: sta all’esterno della tomba, cioè ai margini della comprensione diretta; vede gli angeli, mediatori ed intermediari della comunicazione dell’evento; cerca e chiede; riconosce il Maestro dalla sua chiamata per nome, profonda, che libera la mente da ogni falsa comprensione ed apre definitivamente alla missione post pasquale. Sarà lei infatti, come apostola degli apostoli ad annunziare ai discepoli la verità della risurrezione. Auguri a tutte coloro che portano il nome di Maddalena. P. Angelo Sardone

La pasqua ebraica

«Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne» (Es 12,14). La dura ostinazione del faraone nel non lasciare liberi gli Ebrei di andare a compiere nel deserto il sacrificio al loro Dio, causò quelle che biblicamente si chiamano le «piaghe d’Egitto» cioè i segni straordinari operati da Dio nel tentativo di costringerlo a cedere. I prodigi non erano stati abbastanza: dall’acqua cambiata in sangue, alle rane ed ai mosconi, dalla morte del bestiame, alle ulcere ed alla grandine, dalle cavallette alle tenebre, fino poi a quello definitivo della morte dei primogeniti. In questo frangente si inserisce l’istituzione della Pasqua, nel senso più arcaico del termine, il passaggio. Dio dà a Mosè indicazioni precise che saranno perenni. La festa era sostanzialmente ancorata ad un rito dei pastori nomadi per perorare la fecondità del gregge. Molto probabilmente era proprio la festa che Mosè chiedeva al faraone di andare a celebrare. Essa diventerà il «memoriale» dell’uscita del popolo di Israele dalla terra di Egitto, la liberazione dalla schiavitù. Il mese è il primo della primavera (tra marzo ed aprile). Il cerimoniale è quello tipico della mentalità e del costume pastorizio nomade: uso del pane azzimo, cioè non fermentato, e delle erbe amare, tipiche del deserto, consumazione delle carni dell’agnello arrostite al fuoco, in fretta e con i fianchi cinti, pronti per partire. In questa maniera la pasqua ebraica prepara quella cristiana nella quale Gesù si sostituirà all’agnello, divenendo egli stesso «agnello che toglie i peccati del mondo». Le grandi verità preannunziate da Dio si rinnovano nel perenne memoriale, cioè riattualizzazione, della Pasqua cristiana che si celebra ogni giorno e particolarmente la domenica, con la S. Messa. P. Angelo Sardone

Le prove del popolo di Israele

«Vi farò salire dall’umiliazione dell’Egitto verso una terra dove scorrono latte e miele» (Es 3,17). Il dialogo di Dio con Mosè diviene avvincente nella misura in cui Jahwé rivela se stesso ed il progetto di salvezza del popolo da troppo tempo angariato nella terra di Egitto. Liberazione e costituzione come popolo compatto fedele al Signore ed obbediente ai suoi comandi, avverranno di lì a poco, con la mediazione efficace di Mosè, il profeta per eccellenza. La promessa fatta ai Padri troverà la sua realizzazione dopo 40 anni di peregrinazione nel deserto, e sarà la manifestazione della potenza di Dio e della sua conduzione della storia umana. La rivelazione del nome divino è un passaggio graduale di conoscenza ed accoglienza al quale Mosè dovrà adeguarsi. Non è facile recepirne il contenuto e tanto meno riferirlo al faraone ed agli Ebrei. È comunque il nome del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, il nome che rimarrà in eterno. Il racconto riportato nel testo sacro, è uno dei vertici dell’antico testamento. Attorno alla comprensione del nome «Io sono colui che sono», si sono sviluppati problemi diversi di ordine filologico e teologico. Secondo il parere degli esperti in esegesi, esso significa «Io sono colui che è; io sono l’esistente», cioè il trascendente che agisce nella storia umana e la conduce al retto fine. Per gli Ebrei ciò sarà la terra dive scorre latte e miele, cioè dove c’è abbondanza e prosperità. Le miserie umane frutto della sopraffazione sono sempre monitorate da Dio con i suoi criteri pedagogici ed indirizzate alla soluzione che passa prima di tutto da un affidamento sincero e completo della mente e della vita a Dio. Egli è principio e fine dell’intera esistenza. Solo la fede aiuta a comprendere unendosi alla retta ragione. P. Angelo Sardone

Arde e non si consuma

«Il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!» (Es 3,9-10). La missione di Mosé è delineata da Dio e si configura nella sua stessa identità: salvato dalle acque è destinato ad essere il collaboratore di Jahwé nella grande impresa della liberazione del popolo ebreo dall’Egitto e nell’esodo definitivo verso la Terra Promessa. La vicenda personale che lo ha visto difensore del popolo contro le sopraffazioni degli Egiziani, lo ha riempito di paure e fatto fuggire. Ha preso in moglie Zippora e pascola le pecore. Ora il Signore gli si rivela nel mistero del roveto che arde e non si consuma. Lo chiama per nome, gli rivela il nome, il Dio dei padri, e gli conferisce la missione: fare uscire dall’Egitto il suo popolo. Dio ha sotto gli occhi le vicissitudini del suo popolo maltrattato ed oberato di fatiche e lavori forzati. Ascolta il grido e ne ha compassione. Per questo sceglie Mosé per attuare il suo progetto di liberazione. Manifestazione teofanica, rivelazione del nome e conferimento della missione, sono il trittico col quale il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe manifesta la sua volontà. Sulla scia del suo predecessore Abramo, Mosé si colloca nella dimensione di fede. Non conosce ancora personalmente Dio, ma obbedisce prontamente fondando la sua disponibilità su quanto ha appreso dalla tradizione della sua famiglia. Dinanzi alle situazioni difficili nelle quali versa il suo popolo di ieri, di oggi è di sempre, Dio interviene con tratti storici e pedagogici, coinvolgendo personalità di eccezione che agiscono in obbedienza e collaborazione. Mosé si affida a Lui non sapendo quanto durerà il percorso e se avrà la gioia di raggiungere la meta. Poco importa: Dio c’è ed è Lui il vero autentico condottiero. P. Angelo Sardone