L’istituzione del diaconato

«Cercate sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza. Noi ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (At 6,3-4). L’istituzione del «diaconato» nella primitiva chiesa di Gerusalemme è determinata dalla necessità di provvedere alle mense ed alle vedove. Gli Apostoli non volevano essere distolti dal compito specifico della preghiera e del servizio della Parola che si esplicitava nella predicazione. La comunità cristiana che andava ingrandendosi giorno per giorno, con lo stile della comunione fraterna e della condivisione dei beni, necessitava di un’organizzazione che non fosse lasciata al caso ed alla promiscuità eclettica del servizio. Occorreva distinguere bene i vari ministeri lasciando liberi gli Apostoli di mettere in pratica il mandato ricevuto direttamente da Gesù, cioè andare ovunque, predicare, battezzare. All’interno della stessa Comunità, secondo esplicita richiesta degli Apostoli, furono indicati sette uomini che presentavano i requisiti di buona reputazione e di pienezza di Spirito e di sapienza. Furono scelti Stefano, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola. La preghiera e l’imposizione delle mani degli Apostoli sancì il loro riconoscimento e l’avvio del ministero. Questo gesto è divenuto proprio del sacramento dell’ordine nei suoi tre gradi: diaconale, sacerdotale, episcopale. Il compito dei successori degli Apostoli, i vescovi ed i sacerdoti in comunione con loro, continua ancora oggi col ministero della predicazione, indispensabile modalità di servizio della Parola e di sviluppo della fede. «La nostra missione, la prima è parlare, annunciare quel messaggio di Cristo, del quale siamo depositari e del cui insegnamento siamo maestri responsabili» (Paolo VI). P. Angelo Sardone

Santa Caterina da Siena

«Se camminiamo nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, ci purifica da ogni peccato» (1Gv 1,7). L’odierna festa di S. Caterina da Siena è corredata liturgicamente da un passo significativo della Prima Lettera di S. Giovanni, abitualmente proclamato nel periodo natalizio. Si tratta di uno degli elementi propri che l’evangelista collega al suo Vangelo nel segno della luce e della comunione fraterna fondata sul sangue di Cristo che purifica da ogni peccato. In questi princìpi si esplicita il mistero della Pasqua del Signore, sulla quale si fonda l’autentico cammino cristiano. Caterina Benincasa da Siena (1347-1380) è una delle più singolari espressioni di santità di terra italiana. La sua vita evidenzia molteplici elementi che la contraddistinguono tra i Santi: la sua identità di terziaria domenicana, filosofa, teologa e mistica. Attorno a lei si mossero artisti, persone dotte e religiosi. Dotata di particolari doni dall’alto, scriveva e parlava indistintamente a papi, cortigiani, popolani, detenuti. Un coraggio ardito e sorprendente la spinse fino ad Avignone in Francia dal papa Gregorio XI inducendolo a tornare a Roma. Nella città eterna morì ad appena 33 anni. Pio XII la dichiarò patrona d’Italia (1939) insieme con S. Francesco d’Assisi, S. Paolo VI la annoverò tra i «dottori» della Chiesa (1970) per la sua sapienza e dottrina e S. Giovanni Paolo II la volle compatrona d’Europa. La luce risplendente da Cristo Risorto genera la comunione con Dio e con il Prossimo e provoca, attraverso la grazia sacramentale, il perdono dei peccati e l’itinerario di santificazione. Auguri a tutte le Caterina, Catia e simili, perché rispecchino nella loro vita la ricchezza di sincerità e purezza espresse nel loro bel nome. P. Angelo Sardone

L’obbedienza che si deve a Dio

«Vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome. Ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento» (At 5,28). L’accoglienza della Parola di Dio a Gerusalemme, mentre nella nuova Comunità dei credenti è favorita dalla coraggiosa ed intraprendente predicazione degli Apostoli, viene osteggiata dalla pubblica autorità religiosa. Vi è il grande pericolo di sovvertire le tradizioni e la stessa Parola ancorata alla Legge, soprattutto per il fatto che Gesù si è fatto Figlio di Dio. Tutto è stato sconvolto dal mistero della risurrezione, cosa inaudita. Il coraggio fermo di Pietro mette a tacere le lagnanze che sono anche di ordine politico perché la gente comincia ad orientarsi diversamente ed a seguire i nuovi insegnamenti. La testimonianza più efficace e convincente è quella della Risurrezione alla quale non si può resistere. Gli Apostoli, battezzati nello Spirito, ne sono profondamente convinti, anzi è lo stesso Spirito che infonde nelle loro menti e nei loro cuori tanta tenacia e fortezza per affermare queste verità. L’obbedienza a Dio, al Padre che ha operato l’evento della risurrezione, è superiore a qualsiasi altra obbedienza all’uomo che contrasta con il volere di Dio. La forza degli apostoli è sostenuta dalla potenza dello Spirito che li ha chiamati ad essere autentici testimoni. Il frutto di questa novità è la conversione ed il perdono dei peccati. La fede e la retta coscienza illuminata e sorretta da Dio, continua ad orientare la Chiesa e la vita dei credenti che, soprattutto dinanzi a minacce e sovvertimenti della legge naturale e di costumi che non si addicono alla verità, obbediscono a Dio piuttosto che agli uomini. P. Angelo Sardone

La verità fa liberi

«Andate e proclamate al popolo, nel tempio, tutte queste parole di vita» (5,20). La gelosia, in qualunque settore della vita e della società si esprima, è sempre perniciosa e fa danni incalcolabili. Quando poi si sposa con l’invidia, le conseguenze sono dolorose. La risurrezione di Cristo ha scombussolato le categorie egemoniche dei capi religiosi di Gerusalemme e particolarmente la setta dei Sadducei che rifiutavano tassativamente qualunque evento che avesse a che fare con il ritorno in vita. Le autorità, dunque, non sopportano affatto che gli Apostoli, uomini semplici ed illetterati, parlino in maniera persuasiva e compiano azioni strepitose. Le conseguenze inevitabili sono la segregazione ed il carcere. Ma la Parola di Dio non può essere incatenata. Nella notte avviene l’irreparabile: la potenza di Dio scioglie i ceppi e le catene ed apre le porte sbarrate, ingiungendo agli Apostoli di recarsi nel Tempio a predicare le parole di vita. Il luogo indicato dal Signore non è casuale: si tratta del centro della fede del popolo di Israele che ora deve diventare il luogo aperto e pubblico di espansione di una parola nuova, convincente, che libera il cuore e dona serenità alle menti ottenebrate dal peccato. Grande è la confusione tra i capi e gli ignari carcerieri. La reazione ultima, quasi una resa, è quella di “condurli via” ma senza far loro alcun male, per paura di essere presi a sassate dalla gente. La verità di Dio proclamata con franchezza, genera sempre questi comportamenti. Sono i vili che, non potendo far fronte alla ricchezza ed alla forza della parola e dei Testimoni, si limita a “condurre via”. P. Angelo Sardone

La concordia e l’unanimità dei primi cristiani

«La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32). La prima comunità cristiana di Gerusalemme nata sulle rovine della morte di Gesù e sul suo mistero di risurrezione, presenta caratteristiche molto particolari, che l’evangelista Luca evidenzia più volte. La prima è l’unanimità, l’avere cioè un cuor solo ed un’anima sola. A questa se ne aggiungono altre di grande valore che costituiscono le basi ed il modello di ogni comunità cristiana: la condivisione e la comunanza dei beni che supera l’appartenenza personalistica della singola proprietà. Gli adepti alla fede pasquale e i nuovi seguaci del Nazareno, godono di grande favore ovunque, sostenuti dalla coraggiosa ed efficace predicazione degli Apostoli, testimoni della risurrezione. I bisogni più elementari sono condivisi ed eliminati dalla sorprendente generosità di quelli che avevano possessi materiali diversi, che vendevano, depositando il ricavato ai piedi degli Apostoli perchè ne disponessero secondo le necessità comuni e quelle particolari. Il caso di Giuseppe soprannominato Barnaba è citato a modo esemplificativo perchè si sapesse l’identità di chi operava in tal modo un nuovo modo di vivere ed essere carità per gli altri. Questi straordinari esempi non sono solamente storici e documentali, ma anche e soprattutto teologici e spirituali perché testimoniano il l’humus spirituale e comportamentale che i cristiani assumono in nome del Risorto. Essi continuano nell’oggi della Chiesa, sostenuti da una dottrina sociale che la Chiesa stessa ha elaborato nel corso dei secoli, per tutelare i bisogni e guardare al bene supremo della persona e della sua dignità di essere umano e figlio di Dio. P. Angelo Sardone

Festa di San Marco

«Questa è la vera grazia di Dio. In essa state saldi! Vi saluta la comunità che vive in Babilonia, e anche Marco, figlio mio» (1Pt 5,14). La prima lettera di S. Pietro si chiude con due annotazioni: una confessione ed i saluti di rito. Dopo aver esortato i primi cristiani a rivestirsi di umiltà, umiliandosi davanti a Dio e riversando in Lui ogni preoccupazione come già il salmo suggeriva, a resistere al demonio che circuisce come un leone ruggente, in modo da metterlo in fuga, l’Apostolo conferma che quanto ha scritto è la vera grazia di Dio. Se è sottolineata la qualità della verità è perché ci potrebbe essere una grazia non vera, quella dipendente da false o ingannevoli credenze che molte volte fanno illudere di stare a fare chissà quale cammino e ritrovarsi sempre al medesimo punto. Infine, secondo lo stile epistolare, i saluti, prima di tutto da parte della Comunità cristiana presso la quale si trovava a Roma, che al dire degli studiosi è qui indicata con lo pseudonimo di Babilonia, la capitale dell’impero di Nabucodonosor che come i Romani ora contro i cristiani, aveva perseguitato gli Ebrei e distrutto Gerusalemme. Poi i saluti di Marco, suo segretario e discepolo, definito «figlio mio». Si tratta di Marco nipote di Barnaba, suo compagno di missione e familiare anche di Paolo. Autore del secondo vangelo, morì martire ad Alessandria di Egitto trascinato con funi al collo. La tradizione vorrebbe che le sue reliquie sottratte alle fiamme, fossero trasportate l’828 da alcuni mercanti a Venezia di cui è diventato protettore. Il segno iconografico che lo rappresenta è il leone, di cui si fregia la famosa ed artistica città lagunare. Auguri a tutti coloro che ne portano il nome. P. Angelo Sardone

Domenica della Divina Misericordia

«Sempre più, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne» (At 5,14). La risurrezione di Gesù segnò il passaggio storico ed esistenziale della vita del mondo e degli uomini. Il grande miracolo del ritorno in vita del Maestro, ha determinato da allora e per sempre il ritmo nuovo della storia e del tempo orientato ormai verso la parusia, cioè la conclusione escatologica segnata dal trionfo di Cristo sul peccato e sulla morte. La prima a risentirne positivamente fu la Comunità di Gerusalemme con parametri nuovi ed avvincenti di vita cristiana. Sostenuti da una sorprendente forza derivante dallo Spirito, gli Apostoli catalizzarono attorno a sé la nuova comunità dei credenti che, secondo le annotazioni dell’evangelista Luca, estensore oltre che del terzo Vangelo, degli Atti degli Apostoli, il libro della Chiesa, aumentavano vistosamente. L’impatto con l’evento, la potenza della Parola proclamata con franchezza, il coraggio indomito degli Apostoli, la pratica del Battesimo, risultarono gli elementi efficaci e consolidanti di questa trasformazione che, partendo da Gerusalemme, approderà a Roma, il centro del Cristianesimo. La domenica dopo Pasqua si caratterizza come «Domenica in Albis depositis»: i nuovi battezzati che avevano portato addosso la veste bianca ricevuta a Pasqua dopo l’immersione nelle acque del Battesimo, tornavano in chiesa otto giorni dopo con la stessa veste e la deponevano. Col Battesimo la veste bianca segna la nuova identità e dignità di figli di Dio. Portandola senza macchia nel corso della vita, pure in mezzo a tutte le contrarietà e difficoltà determinate dal peccato incalzante, in maniera simbolica si prefigura la modalità richiesta per l’ingresso nella vita eterna. Per espresso volere di S. Giovanni Paolo II, in obbedienza a quanto Gesù aveva chiesto a S. Faustina Kovalska, oggi si celebra la «Domenica della divina Misericordia». P. Angelo Sardone

Domenica in Albis o della Divina Misericordia

Sintesi liturgica

Domenica in Albis o della Divina misericordia. Frutto della Pasqua sono i molteplici segni operati dagli Apostoli ed il numero crescente di cristiani. Tutti gli ammalati ed i tormentati da spiriti impuri sono guariti dalla potenza risanatrice di Pietro. La sera stessa della Risurrezione Gesù appare agli Apostoli nel Cenacolo: mostra loro le sue ferite di morte, augura la pace, concede il dono dello Spirito ed il ministero della riconciliazione. A Tommaso, che non c’era ed al quale raccontano l’accaduto, Gesù appare otto giorni dopo. Lo rimprovera per la sua mancanza di fede e gli fa mettere le mani nel costato. La reazione è una sintetica e formidabile professione di fede densa di pentimento e totale apertura al Risorto: «Signore mio e Dio mio!» Giovanni, un altro degli Undici nell’isola di Patmos, in Grecia, riceve la Rivelazione di Gesù, il Primo, l’Ultimo, il Vivente che, obbediente alla voce, riporta nella grande opera profetica dell’Apocalisse destinata alle sette Chiese dell’Asia minore, cioè a tutta la cristianità. In 22 capitoli essa racchiude cose presenti ed avvenimenti che devono accadere in vista della conclusione del tempo e della storia. P. Angelo Sardone

Nel nome del Risorto

Venerdì di Pasqua. «Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato» (At 4,10). L’intervento miracoloso di Pietro e Giovanni fu giudicato come un crimine da parte dei benpensanti religiosi di allora accorsi al tempio, fino al punto da essere coinvolti in una bagarre giudiziaria, da parte dei sacerdoti, del capitano del tempio e dei sadducei. Questi ultimi appartenevano all’aristocrazia sacerdotale ed erano particolarmente irritati perché si parlava di risurrezione dai morti, cosa da loro aborrita. Non era finita lì: tanta era la loro rabbia da indurli all’arresto dei due malcapitati, condotti in prigione fino al giorno successivo, sostenuti però dal numero crescente di credenti giunto fino a cinquemila persone! Il supremo tribunale approntato con immediatezza, analogo a quello che aveva giudicato Gesù di Nazaret, con giudici di riguardo, dal sommo sacerdote Anna, Caifa ed altri, voleva sapere a tutti i costi con quale autorità avevano agito i due apostoli, testimoni oculari prima della tomba vuota e poi, la sera stessa, della risurrezione di Cristo. Imitando Gesù i due con «parresia», come oggi si ama definire col linguaggio biblico la franchezza, si limitarono a confermare senza alcuna paura e vincendo le resistenze beffarde dei giudici, che la guarigione dello storpio era opera di Dio nel nome di Gesù di Nazaret. Quanta resistenza c’è anche oggi dinanzi ad avvenimenti analoghi! I primi a non credere e contrastare vistosamente, sono, talora, proprio i pii ed i buoni che si lasciano andare a credenze superficiali e melliflue e non approfondiscono come si deve i dati teologici certi, della presenza e dell’opera di Dio nell’oggi del tempo e della storia. P. Angelo Sardone