Il coraggio dei profeti

«Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele» (Am 7,15). La sorte del profeta è sempre segnata da contraddizioni, difficoltà e pericoli causati dagli ascoltatori. La natura delle sue profezie non sempre corrisponde a quanto l’uomo vuole sentirsi dire. Talora la portata delle sue affermazioni è radicale e sferzante, soprattutto quando si rivolge verso le categorie dei responsabili civili e religiosi. Nel santuario di Bethel, in Samaria, il profeta Amos annunziava le parole che Dio gli aveva rivelato in merito al re del nord, Geroboamo. Certamente non erano dolci parole, dal momento che prevedevano la sua morte. Amasia, sacerdote del tempio, non solo rimprovera Amos ma gli ingiunge di andarsene al sud dove potrà profetizzare liberamente. La risposta del profeta è una lezione magistrale di apologia: “non sono profeta né figlio di profeta. È stato il Signore che mi ha chiamato ed inviato a profetizzare al popolo di Israele. Anzi, sta attento proprio tu: tua moglie si prostituirà ed Israele sarà deportato”. Gli interventi dei profeti, antichi e nuovi, sono efficaci nella misura in cui essi hanno piena coscienza di essere semplicemente dei canali attraverso i quali passa l’acqua della Parola che irrora, purifica, dá vita. Gli interventi scomodi che talora inaspriscono le relazioni ed evidenziano con realismo le situazioni, sono da attribuire non a vedute personalistiche o di parte, ma ad un dato che non appartiene al profeta ma che proviene dall’alto. Anche oggi i “veri” profeti sono inascoltati, derisi, umiliati e talvolta costretti alla ritirata perché non siano scalzati i dominatori di questo mondo, sorretti da lusinghieri consensi mediatici adulatori e profanatori della verità inconfutabile. P. Angelo Sardone.

Le colonne della Chiesa: Pietro e Paolo

«Colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani» (Gal 2,8). La testimonianza di prima mano dell’apostolo Paolo, sancisce in maniera inequivocabile, la sua grandezza e quella di Pietro. La Liturgia li accomuna nel martirio ed in un’unica solennità, perché essi «erano una sola cosa, testimoni della verità» (S. Agostino). Entrambi furono scelti e chiamati da Gesù di Nazaret: Simone figlio di Giona, il pescatore, sul lago di Galilea; Saulo, lo zelante e tenace persecutore, sulla via di Damasco. Gesù chiamò «Pietro» “kefas, roccia”, il capo degli Apostoli per simboleggiare il suo compito nella fondazione della Chiesa. Saulo mutò il nome in «Paolo», piccolo, perché nella traslitterazione greca il nome originario avrebbe potuto richiamare qualcosa di effeminato. Ad entrambi, pur macchiati dal rinnegamento e della violenta passione vessatoria nei confronti dei seguaci del Nazareno, Cristo affidò l’identità ed il ruolo di colonne della Chiesa. I segni che li contraddistinguono nella venerazione e nell’iconografia e statuaria classica, sono le chiavi del regno e la spada a doppio taglio della Parola di Dio. Pietro a Cesarea di Filippo ricevé le chiavi del Regno ed il potere di legare e sciogliere. Paolo fu riservato per la predicazione ai pagani e reso «vaso di elezione», per lo splendore della sua sapienza e la saldezza nella carità. Entrambi hanno dato la vita per il Signore Gesù. A entrambi la Chiesa riserva una venerazione tutta speciale riconoscendo il clavigero del regno ed il maestro dei popoli. Buon onomastico a tutti coloro, uomini e donne che portano il loro nome con l’auguro di imitarne la forza nell’evangelizzazione e l’impegno nella santificazione. P. Angelo Sardone

S. Ireneo di Lione, martire ed apologeta

«Il Signore non fa cosa alcuna senza aver rivelato il suo piano ai suoi servitori, i profeti» (Am 3,7). Nel passaggio testuale col quale Amos racconta la sua vocazione, facendo riferimento all’elezione di Israele come esigenza di fedeltà, giustizia e responsabilità, il profeta afferma che se egli parla è perché Dio gliel’ha comandato. Viene così giustificato ogni intervento profetico, soprattutto quello che, ieri come oggi, può risultare duro o di rimprovero per il popolo. Se Dio parla il profeta non può fare altro che profetizzare! Questo compito che fu riservato nell’antichità ad un gruppo designato direttamente da Dio, continua nella storia attraverso uomini e donne illuminati dall’alto, che nel nome del Signore, qualunque ruolo occupino nella Chiesa e nella società, trasmettono la sua Parola e la testimoniano anche versando il proprio sangue. Oggi la Liturgia fa memoria del martire S. Ireneo vescovo di Lione (135-203), grande figura di apologista. Giunse in Gallia dove successe al novantenne Potito nella guida pastorale dell’intera regione. Con la parola e con gli scritti ammaestrò e difese la verità soprattutto con la sua grande opera di ben cinque libri, «Adversus Haereses» contro gli eretici. In essa, con l’eloquenza del teologo e l’arte del pastore, traspare il suo grande cuore intento a ricondurre all’ovile le pecore smarrite. Lo scorso 21 gennaio 2022 Papa Francesco lo ha dichiarato, primo martire nella storia del Cristianesimo, Dottore della Chiesa col titolo di «Doctor unitatis». La sua opera è ancóra interessante nella storia moderna e nella vita della Chiesa, dove, come si suol dire oggi, le pecore al sicuro nell’ovile non sono più 99 e quelle perdute non sono più una. Il suo nome è tutto un programma di vita cristiana: uomo di pace. P. Angelo Sardone

Le sferzanti verità del profeta Amos

«Ecco, vi farò affondare nella terra, come affonda un carro quando è tutto carico di covoni» (Am 2,13). Amos è stato certamente un grande profeta, anche se è annoverato tra i cosiddetti “minori” per via della consistenza quantitativa del suo libro. Proveniva da Tekoa in Giudea, non era profeta di professione ma un mandriano e raccoglitore di fichi. Agiva in forza di una chiamata specifica da lui stesso raccontata nel libro omonimo, il più antico tra i libri profetici, che contiene i discorsi fatti tra il 760 ed il 750 a.C. in un tempo di prosperità e di pace. Ma il lusso dei potenti e dei grandi è in contrasto con la povertà dei miseri, lo splendore del culto abbaglia e non evidenzia la mancanza di una religione vera. Nella sezione iniziale del libro, indicata come “giudizio sui popoli”, si rileva quello contro Israele che dovrà attendersi il giudizio perché i suoi crimini sono più gravi di quelli degli altri popoli e grande è la sua responsabilità. Per questo condanna la corruzione della vita, le ingiustizie sociali, la falsa sicurezza e lo sfarzo dei riti che non si collegano con la realtà della vita dei poveri. Nonostante ci siano di mezzo secoli di storia e di vita umana, la realtà descritta sembra fotografare per tanti versi situazioni che si sono ripetute nel corso del tempo e che ancora oggi richiedono una voce vigorosa, che sferzi la sontuosità di riti, le celebrazioni vuote, ed esalti la verità delle esigenze e dei bisogni primari in ordine alla vita ed allo spirito. Una mania pericolosa e subdola sembra talora avvolgere anche alcune frange di ecclesiastici, con una ritualità fascinosa di merletti, code e consensi, a fronte di problemi più gravi ed esistenziali. P. Angelo Sardone

La vocazione di Eliseo

«Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto per te» (1Re 19,20). Il servizio a Jahwé svolto con passione e non senza difficoltà dal profeta Elia, continua col suo discepolo Eliseo: su di lui, infatti, si erano posati due terzi dello spirito del maestro, assunto in cielo da un carro di fuoco. Era tale la quantità di beni che spettava al figlio maggiore. Aveva inoltre recuperato il mantello col quale, al pari di Elia, percuoterà il Giordano provocando l’apertura del fiume ed il passaggio a piedi asciutti. Le sue gesta, a cominciare dalla sua vocazione, sono riportate nel Primo e Secondo Libro dei Re che presentano come una collezione di aneddoti più che una biografia. La sua statura non è pari a quella di Elia, nonostante sia ammirato come taumaturgo. Eliseo, figlio di Safat, era intento all’aratura con dodici paia di buoi, quando Elia, in cammino verso l’Oreb, lo incontrò ed in segno di diritto su di lui, gli gettò addosso il suo mantello. Nell’accezione biblica il mantello simbolizza la personalità ed i diritti di uno che è proprietario. Con simile gesto Elia manifesta il diritto su Eliseo che da adesso in poi non gli si può sottrarre. Il resto è tutta una conseguenza: Eliseo gli chiede di andare a salutare i suoi genitori, quindi distrugge il suo aratro, uccide un paio di buoi la cui carne dà da mangiare la gente, si alza dal suo anonimo stato di figlio ed entra a servizio pieno del profeta. Si raccordano così tutti i connotati della chiamata divina, questa volta mediata dall’uomo, che fa prevalere la scelta di Dio ed il suo diritto sull’uomo stesso, in vista di una missione ben precisa affidatagli, nella continuazione di quella più grande del suo maestro. Questa vicenda si ripete anche oggi: occorre comunque un Elia di turno. P. Angelo Sardone

Cuore Immacolato di Maria

«La mia anima esulta nel mio Dio» (Is 61,10). In analogia alla festività del Sacro Cuore di Gesù e ad indicare la profonda unione di Maria, la Madre di Dio con Cristo suo Figlio, la liturgia celebra oggi il Cuore Immacolato di Maria, una memoria devozionale istituita da Pio XII per ricordare la Consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria da lui compiuta nel 1942. Un impulso decisivo fu offerto dalle apparizioni di Maria a Fatima nel 1917. In una di esse, il 13 luglio, la Madonna con parole consolanti affermò: «il mio Cuore Immacolato trionferà». Esso è rifugio e strada che conduce a Dio. Il Cuore di Maria è un abisso profondo di amore nel quale si concentrano e consolidano la grandezza ed i sentimenti della Madre di Dio, la  corredentrice del genere umano, associata a Gesù. L’ascolto della Parola di Dio ha caratterizzato sin dagli inizi la sua disponibilità al mistero e l’accettazione del piano di salvezza che è passato attraverso il suo «sì» vissuto in pienezza fin sotto la croce. La pietà popolare, analogamente al Cuore di Gesù, ha sviluppato verso il Cuore di Maria alcune espressioni devozionali: la consacrazione, la riparazione, la preghiera, le opere di misericordia, i cinque primi sabati del mese. Questa pratica suggerita dalla Vergine a Lucia di Fatima, richiede la confessione, la Comunione, la preghiera del Rosario, con l’intento di riparare i peccati commessi dall’umanità. La saggezza della Chiesa e la “vera devozione a Maria” sottolineano che questa pratica deve essere intesa ed attuata come occasione per vivere in maniera intensa, ispirandosi alla Vergine, il Mistero pasquale che si celebra nell’Eucaristia. Non c’è posto per elementi di superstizione ed accentuate manifestazioni di devozione talora effimera e senza conseguenze concrete per il cambiamento della vita, ma cariche solo di emozioni passeggere ed incontrollate, che richiedono invece corrette indicazioni e concreti orientamenti. P. Angelo Sardone

Sacratissimo Cuore di Gesù

«Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini e dai quali non riceve che ingratitudini e disprezzo» (Gesù a S. Margherita Maria Alacoque). Oggi si celebra la Solennità del Sacro Cuore di Gesù e la Giornata mondiale per la santificazione dei sacerdoti.La devozione al Sacro Cuore, già praticata nell’antichità cristiana e nel Medioevo, si diffuse nel secolo XVII ad opera di S. Giovanni Eudes (1601-1680) e soprattutto di S. Margherita Maria Alacoque (1647-1690) alla quale più volte apparve Gesù. In un’apparizione, lamentando l’ingratitudine degli uomini e la noncuranza agli sforzi per far loro del bene, Gesù chiese la pratica della Comunione riparatrice ogni primo venerdì per nove mesi di seguito e che il venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini fosse dedicato a una festa particolare per onorare il suo Cuore e riparare le offese ricevute. Nell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento sorsero nella Chiesa numerose Congregazioni religiose, maschili e femminili, intitolate al Cuore di Gesù, per lo sviluppo delle opere di carità e la promozione della consacrazione e riparazione delle offese, soprattutto con l’adorazione e la santa Comunione. La devozione al Cuore di Gesù era per S. Annibale M. Di Francia la tenerezza del cuore, il tutto della vita e si armonizzava con il carisma del Rogate. La preghiera per le vocazioni è, infatti, viva ed ardente espressione del Cuore compassionevole di Cristo. Egli definiva «pene intime» le sofferenze del Cuore di Gesù per la scarsità numerica e qualitativa degli operai del vangelo, in particolare i sacerdoti e le anime consacrate. Tra il 1913 ed il 1914 proclamò il Cuore Eucaristico di Gesù, «Superiore assoluto, immediato ed effettivo» delle Congregazioni dei Rogazionisti e delle Figlie del Divino Zelo. Per questo all’ingresso delle nostre Case religiose si trova una immagine del Cuore di Gesù con l’iscrizione «Io sono il Padrone di questa casa e di coloro che l’abitano e mi amano». Buona Solennità del S. Cuore con una particolare preghiera per noi sacerdoti, perché possiamo sempre agire per la massima consolazione del suo Cuore e praticare un cammino autentico di santificazione e di servizio e testimonianza per la Chiesa intera. P. Angelo Sardone

Natività di S. Giovanni Battista

«Mio servo tu sei, sul quale manifesterò la mia gloria» (Is 49,3). La solennità liturgica del S. Cuore di Gesù fa anticipare ad oggi la solennità della Natività di S. Giovanni Battista, il precursore di Cristo, il “più grande tra i nati di donna” (Mt 11,11). L’affermazione di Cristo sul Dio precursore, qualifica senza alcun dubbio la grandezza teologica e la statura morale del figlio di Elisabetta e del sacerdote Zaccaria, avuto come dono di Dio in premio alla loro fedeltà. Dopo Gesù e Maria la Chiesa ha riservato al profeta che fa da raccordo tra il vecchio ed il nuovo testamento, il privilegio della celebrazione liturgica della sua natività. Secondo la ragione e la condizione umana, trattandosi di una donna anziana e sterile, non sarebbe stato possibile per Zaccaria avere una progenie da Elisabetta. Ma la sua preghiera fu accetta al Signore che gli assicurò il dono di un figlio cui avrebbe posto il nome di Giovanni, qualificandolo già da allora come “grande davanti al Signore”, emulo dello zelo e della grandezza di Elia. La sua nascita avvenne alla presenza di Maria di Nazaret, che, per accudire negli ultimi tre mesi la cugina Elisabetta, scese appositamente ad Ain Karin, poco distante da Gerusalemme. Del loro incontro parla diffusamente l’evangelista Luca descrivendo con pennellate magistrali anche l’incontro tra i due bimbi celati nel grembo delle rispettive madri: Gesù, il Figlio di Dio e Giovannino. La nascita di Giovanni destò molta gioia in tutta la regione montuosa della Giudea, nella quale si discorreva di queste cose. Auguri a tutti coloro che portano il nome di Giovanni, perché possano rispecchiare e riprodurre nella loro vita ciò che esso significa: «Dio è benigno». P. Angelo Sardone

La riforma di Giosia

«Lesse alla loro presenza tutte le parole del libro dell’alleanza» (2Re 23,2). Nella storia del popolo eletto un momento importante di crescita nella fede in Dio è costituito dalla cosiddetta riforma religiosa di Giosia, re di Giuda, che divenne tale all’età di 8 anni e regnò 31 anni. Il testo sacro lo descrive come uomo retto, in tutto fedele a Dio come Davide. In quel frangente, precisamente l’anno 622, il sacerdote Chelkia, trovò nel tempio di Gerusalemme il rotolo del “libro della legge” cioè il Deuteronomio con la sua sezione legislativa. Fu una scoperta importante del libro dell’alleanza redatto al tempo del re Ezechia, e qui perduto, abbandonato o dimenticato nel corso del tempo di infedeltà a Dio sotto il regno di Manasse. Da allora fu avviata una radicale e profonda riforma del culto con il rinnovo dell’alleanza con Jahwé. Tra le altre cose fu stabilito che i sacrifici prescritti dovevano essere compiuti solo a Gerusalemme onde evitare misture con culti sincretistici ai Baal e si riprese la celebrazione della Pasqua. Un elemento importante e determinante fu la lettura del testo fatta prima alla presenza del re e poi dell’intero popolo perché tutti potessero ascoltare ed apprendere. Per la crescita e la maturità spirituale del popolo di Dio di ogni tempo, è assolutamente indispensabile la conoscenza e la lettura sistematica della Parola di Dio. Ciò avviene in particolare nella sacra Liturgia, soprattutto nella Messa: ogni giorno attraverso la proclamazione della Parola nel corso di tre anni, viene presentata ed offerta alla meditazione, gran parte della Bibbia perché sia davvero il nutrimento indispensabile per la vita del cristiano. P. Angelo Sardone