Sentinella a tutte le ore

Mattutino di speranza

31 maggio 2020

 

La Sacra Scrittura spesso riporta episodi di straordinaria valenza umana, alcuni anche molto toccanti, che contengono insegnamenti imperituri e situazioni emotive e spirituali nei quali si rispecchia la nostra vita. Uno di questi che mi ha sempre colpito e coinvolto emotivamente fino alle lagrime, si riferisce a situazioni concrete che vivo come sacerdote immerso nel servizio pastorale ai laici. Si trova negli Atti degli Apostoli (At 20,13-38) e riporta le raccomandazioni a cuore aperto di S. Paolo ed il saluto d’addio alla comunità cristiana di Efeso, in Asia minore. Tre anni di lavoro pastorale, giorno e notte, avevano cementato oltre che una solida amicizia in Cristo, uno sviscerato amore dell’Apostolo nei confronti di quei primi cristiani ed i collaboratori in particolare, che lo avevano accolto, ascoltato, amato e considerato come un padre. Altrettanto amore egli aveva dimostrato per loro, senza tirarsi mai indietro anche nelle dure prove, reggendosi con le sue stesse risorse, operando prodigi, predicando, ammonendo con fermezza e dolcezza, annunciando la volontà di Dio e predicando la conversione. Consapevole della sua responsabilità, del grande lavoro fatto e prevenendo una situazione che poteva crearsi dopo la sua partenza, in forza di quanto con tanta fatica e lagrime aveva compiuto, dà le sue ultime raccomandazioni che sono di una straordinaria finezza umana e pastorale. Infatti mettono in guardia piccoli e grandi, dai «lupi rapaci che non risparmieranno il gregge», e da alcuni, anche buoni, che «sorgeranno a parlare di cose perverse, per attirare dietro di sé i discepoli». La vigilanza, la memoria di quanto egli ha fatto e di ciò che hanno ricevuto, il ricorso alla preghiera, saranno il metodo più efficace di prevenzione e di resistenza al male subdolo. Quante volte mi sono ritrovato in considerazioni e situazioni analoghe, in tanti anni di servizio sacerdotale e pastorale in ambienti e luoghi diversi, con persone e relazioni simili. Certo, non ho la tempra carismatica di Paolo Apostolo, non sono stato rapito al terzo cielo, né tanto meno ho la capacità di guardare l’oltre con i poveri miei occhi se pure accorti, ma solo pochi elementi umani di sudata conoscenza acquisita sul campo e nel rapporto giornaliero con Gesù Eucaristia, di intuizione perspicace, di prevenzione e forse un minimo di capacità di leggere oltre le righe e guardare oltre le immagini. Quanta sofferenza provo nel vedere persone raccolte dal fango, ripulite e rivestite di Grazia, avviate a più spirituale fortuna, ma ancora molto fragili per poter camminare da soli, sottrarsi volutamente alla cura amorevole e lasciarsi cadere nelle trappole diaboliche, col prurito delle sensazioni e della novità facile ed attraente degli strilloni di turno, del sensazionalismo estetico fisico e verbale, in una pseudo appagante felicità dal tempo limitato di una stagione. Cosa mi resta? L’affidamento di queste persone al Signore ed alla sua grazia, che ha il potere di edificare e di santificare, la preghiera costante umile e fiduciosa, la continuazione dell’accompagnamento vigile e forse nascosto ai loro occhi, ma noto a Dio, l’offerta giornaliera sull’altare insieme col pane e col vino. I membri della comunità di Efeso accompagnarono Paolo alla nave: piangevano, gli si gettavano al collo e lo baciavano addolorati perchè non avrebbero visto più il suo volto. Quante volte questo copione è stata ed è la mia vita, coinvolto emotivamente e fisicamente, con la volontà e il desiderio unico di fare e di volere il bene di tutti e di chi, ancor più misteriosamente, il Signore ha posto sulla mia strada e collocato dentro il mio cuore. Nella sua bontà il Signore mi ha sorretto, nel suo amore mi ha illuminato e guidato, nella sua fiducia mi ha dato un nome: «Sentinella» (Ez 3,16). Ed io voglio esserlo non solo del mattino, ma anche del giorno e della notte (Is 21,11-12). Chiedo a Gesù sommo ed eterno sacerdote la forza di portare quest’onere di paternità e di viverlo nell’oblazione fino alla morte. Chiedo allo Spirito consolatore la grazia di fare luce e verità in me, perché possa dare luce e verità agli altri e continuare ad essere mio malgrado, “portatore di luce, di perdono e di vita”. Chiedo a Maria il dono del suo silenzio e della custodia di ogni cosa nel cuore. Chiedo anche a te che mi ascolti o che mi leggi una preghiera perché tutto questo possa esserlo fino in fondo. Grazie. P. Angelo Sardone

Pentecoste

Pentecoste. L’Apostolo Giovanni riferisce nel suo Vangelo che la stessa sera della Risurrezione, preceduto dal saluto di pace e dal mandato missionario, Gesù diede agli Apostoli il dono dello Spirito Santo, insieme col potere di rimettere i peccati. Gli Atti degli Apostoli narrano invece che l’effusione dello Spirito avvenne il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua, nel contesto dell’antica festa di Pentecoste nella quale si ricordava il dono della Legge data a Mosè. Lo Spirito Santo scende sugli Apostoli e Maria nel Cenacolo sotto forma di lingue di fuoco e dà loro il potere di proclamare in lingue diverse le grandi opere di Dio ai tanti stranieri che affollano Gerusalemme. È il fenomeno della glossolalìa. Si può dire «Gesù è Signore!» solo sotto l’azione dello Spirito Santo che distribuisce carismi e ministeri nelle diverse attività. A ciascuno viene data una sua particolare manifestazione per il bene comune. Siamo stati battezzati e dissetati da un solo Spirito: per questo camminiamo nello Spirito. P. Angelo Sardone

Il “grande sconosciuto”

Mattutino di speranza, Sabato 30 maggio 2020.
Per tanto tempo lo Spirito Santo è stato il «grande sconosciuto». Questo rilievo fu fatto da San Josemaría Escrivà (1902-1975), fondatore dell’Opus Dei ed anche dal cardinale belga Léon-Joseph Suenens (1904 –1996) uno dei protagonisti del Concilio Vaticano II. Il teologo svizzero, Hans Urs von Balthasar (1905-1988) vi aggiunse: «Lo sconosciuto che viene oltre il Verbo». Nel corso di questi ultimi 50 anni, grazie alla nuova coscienza pneumatologica nata dal Vaticano II e dai Movimenti ecclesiali che ne fanno specifico riferimento, il santo e divino Spirito è più conosciuto. La terza persona della SS.ma Trinità, uno col Padre e col Figlio come proclamiamo nel Simbolo della fede, è comunione ed amore tra le divine persone, forza, potenza, dono. Per dinamismo delle sue azioni si configura in una serie di simboli: l’acqua nel Battesimo, l’unzione dell’olio nell’iniziazione cristiana e nel sacramento dell’Ordine, (Gesù è costituito “Cristo” dallo Spirito Santo), il fuoco che brucia e trasforma, la nube, la luce, l’ombra che copre la Vergine Maria e la rende Madre di Gesù, il sigillo, il marchio che indica l’effetto indelebile della sua unzione, l’imposizione delle mani nella epiclesi per la consacrazione durante la Messa, il dito di Dio, la colomba che scende su Gesù dopo il suo battesimo. Queste nozioni catechetiche sono i primi elementi per comprendere e valorizzare lo Spirito Santo che abita in noi: «In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28). Per tanti cristiani, oggi, purtroppo, vale la stessa espressione di quelli di Efeso al tempo dell’apostolo Paolo: «Non abbiamo nemmeno sentito che esista uno Spirito Santo» (At 19, 2). Lo Spirito che è vita, luce e guida, conferisce sette doni (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio) e produce nove frutti indicati nella lettera ai Galati: amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5, 22). Sono spazi di amore e realtà di vita nei quali entrare per lasciarsi dominare dallo Spirito e in Lui camminare. Lo Spirito infatti forgia e custodisce la vita spirituale, mettendola in decisa opposizione ai ben noti desideri della carne (fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; Gal 5,19-21). Possono sembrare realtà di altri tempi, retaggi scolastici del Medioevo, tranelli architettati per tenere sotto scacco e dominio psicologico i fragili, gli illusi, asservendoli ad assurde privazioni o ad anguste concezioni che rendono la vita ed il piacere frustranti, inconcludenti, dannosi. Sono invece le realtà spirituali della vita da riscoprire, valorizzare, e adoperare rettamente per dare un senso adeguato a ciò che si crede ed a come si crede. Non ci si può attendere qualche vigorosa sferzata dello Spirito su una possibile via di Damasco né tantomeno subire lo sconvolgimento globale di una terribile pandemia con contagi, paura e morti in quantità, per aprire gli occhi e rendersi conto che nella vita non c’è solo materia, accumulo e consumo di denaro, frenesia di dominio, perversioni morali, corruzione ad ogni livello, superbia. Ci sono tante altre cose che si vedono, si leggono e si comprendono solo con gli occhi dello Spirito, con la luce della interiorità, con la purezza dell’animo, con la retta intenzione, diretti dalla forza imperativa dell’amore che vede ed orienta al bene. Spero tanto, e me lo auguro davvero con tutto il cuore che la precaria situazione dalla quale sembra che gradualmente stiamo uscendo, almeno abbia fatto aprire gli occhi per rendersi conto che non siamo solo materia da alimentare, corpi da vestire e soddisfare nei bisogni naturali o indotti. C’è bisogno di un cammino e di una alimentazione spirituale che avviene efficacemente con l’uso della Grazia e dei Sacramenti. C’è bisogno di un rivestimento sicuro che è quello dello Spirito, di un lavorìo che forgia l’animo, la mente, il cuore ed è affidato al cesello dello Spirito. C’è bisogno di una lingua di verità che si opponga alla babele ed alla confusione di lingue, comportamenti ed azioni. C’è bisogno di un dono che faccia piena chiarezza e verità dentro di noi, di un amore superlativo che contagia e guarisce. C’è bisogno davvero e con urgenza di aprire la vita allo Spirito Santo nella sua perenne effusione d’amore. P. Angelo Sardone.

Lo scalpellino della tenerezza

Mattutino di speranza
Venerdì 29 maggio 2020
La remissione dei peccati è il dono che scaturisce dalla Pasqua. Gesù lo diede agli Apostoli la sera stessa della Risurrezione, insieme al mandato missionario ed all’effusione dello Spirito Santo. Dio concede il perdono dei peccati attraverso il ministero sacerdotale degli Apostoli cui fu conferito con le solenni parole: «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23). Questa è una verità rivelata, cospicua eredità che Gesù Cristo ha lasciato alla sua sposa, la Chiesa, santa ma sempre bisognosa di purificazione e rinnovamento. Il sacramento, nella sua molteplice accezione terminologica di riconciliazione, penitenza, conversione, confessione, perdono dei peccati, è legato indissolubilmente al ministero sacerdotale ed all’opera vivificante dello Spirito che è virtù di conoscenza e dono di amore. Nel Cenacolo irradiato dalla gioia di vedere, accogliere ed ascoltare il Signore la sera stessa della risurrezione, si svolsero le azioni complementari del Maestro, propedeutiche al dono sacramentale: il saluto di pace dato due volte e l’ostensione delle ferite e del costato aperto. Questo sacramento è il dono incommensurabile scaturito dal Cuore misericordioso del Padre attraverso il mistero della morte e risurrezione del Figlio, con l’effusione dello Spirito Santo! Dio solo perdona i peccati. Ma, per espresso suo volere questa delicata e grave responsabilità è affidata alla Chiesa ed ai suoi ministri che esercitano il potere di assolvere e di perdonare i peccati, come quello di consacrare le specie eucaristiche, esclusivamente in nome ed in persona Christi. Mi convinco ogni giorno sempre di più che la riconciliazione, affidata da 40 anni anche al mio cuore ed al mio ministero sacerdotale è il sacramento più umano, più sensibile e delicato, che trasforma e plasma prima di tutto la mia persona e raggiunge direttamente l’uomo e la donna che mi si affida, la sua grandezza, la sua nobiltà e miseria, attraverso la mediazione di chi non è depositario, ma canale di trasmissione del perdono e della misericordia infinita del Signore. Pur essendo rivestito di debolezza ed inzuppato di fragilità e vulnerabilità dovute al peccato di cui è anch’egli contaminato, il sacerdote è scelto da Dio e dotato principalmente di quella compassione “giusta” e necessaria per quelli che sono nell’ignoranza (Eb 5,2-3). Questa sua identità e matura consapevolezza lo porta e mi porta ogni giorno sull’altare ad offrire il sacrificio per i peccati, a cominciare dai miei e quelli del popolo e, come, Gesù a diventare garante di una “alleanza migliore” e di una intercessione costante per coloro che si avvicinano a Dio (Eb 7,25). A differenza di Gesù che è “santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori” (Eb 7,26), io ho bisogno di offrire sacrifici ogni giorno sull’altare ed essere mediatore dell’amore misericordioso del pastore che va in cerca della pecorella smarrita, gioisce quando l’ha ritrovata e ricondotta all’ovile, accoglie il peccatore e con la tenerezza della madre e la fermezza del padre l’accarezza, l’asseconda, la pone nel segreto più intimo del suo cuore dove ciascuno non è un estraneo, ma prende posto e vi rimane unica ed irripetibile perla incastonata nell’anfratto più segreto e sacro della intimità sacerdotale che rimane misteriosa perché appartiene a Dio. Nell’esercizio di questo grande e fascinoso ministero che racchiude il grande, spaventoso ed inesauribile mistero dell’amore di Dio, il Signore misericordioso ogni giorno mi dona lagrime di compassione e condivisione, anime da amare, e alla rigida scuola della croce, della preghiera e del sacrificio, mi forma e mi abilita cesellatore di speranza, paziente scalpellino della misericordia e del perdono, orafo della tenerezza e dell’amore senza limiti, umile medico che scopre, pulisce e cura le ferite, eterno viandante e compagno di viaggio, cireneo di carità, fratello, amico e soprattutto padre. A tutte le ore ed in ogni ambiente geografico o virtuale. Il dono della grazia santificante supera la pedagogia scientifica ed accademica e la competenza esperienziale del discernimento e dell’accompagnamento e riveste e riempie la mia povera persona di una paternità che non s’inventa, ma che si forma alla scuola dell’amore, trattando miserie, leggendo volumi interi delle storie degli altri, dalle più avvincenti alle più perverse, dai capitoli più esaltanti alle note più terrificanti, gustando gli odori e l’ebrezza dell’innocenza, della bellezza e della virtù, provando ribrezzo per le contaminazioni, le perversioni e gli stravolgimenti di vita dovuti al peccato ed agli operatori di iniquità, voraci avvoltoi delle miserie e delle fragilità umane, ed alle facili ed allettanti menzogne diaboliche. Il Signore dota infine il sacerdote anche di un po’ di follia, quella dell’amore generoso e senza interessi e di un sentimento particolare che va opportunamente compreso, quello che S. Paolo chiama «una specie di gelosia divina». Anche lui, infatti, soprattutto nell’esercizio del ministero della riconciliazione e dell’accompagnamento spirituale, promette l’anima che gli si affida «a un unico sposo, per presentarla a Cristo come vergine casta» (2Cor 11,1-2). Per questo chiedo anche a te il supporto di una preghiera costante perché io non cada sotto il peso della responsabilità della onerosa gestione spirituale e sacra delle anime a me affidate e, soprattutto, perché possa essere via di bene, sentinella di verità e “trasparenza” di quell’amore che accoglie, perdona, condivide, si esalta nel dono, asciuga le lagrime piangendo con chi piange, esulta e gioisce con chi è felice. P. Angelo Sardone

La Messa ed il sacerdote

Mattutino di speranza

Giovedì 28 maggio 2020

 

La celebrazione quotidiana della S. Messa per il sacerdote è un valore insostituibile, anche se non vi fosse il concorso dei fedeli. Così sentenzia il canone 904 del Codice di Diritto Canonico, «lo strumento per assicurare il debito ordine sia nella vita individuale e sociale del cristiano, sia nell’attività stessa della Chiesa» (S. Giovanni Paolo II). Infatti, come afferma il decreto del Vaticano II Presbiterorum Ordinis sul ministero e la vita sacerdotale, nella celebrazione dell’Eucaristia, «è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo» (PO 5). Senza Cristo non c’è Chiesa, non c’è vita. In questi ultimi mesi falcidiati dalla pandemia e dolorosamente segnati da prescrizioni e rigide normative che hanno impedito la partecipazione comunitaria alla celebrazione eucaristica sia giornaliera che festiva, tutti abbiamo sofferto ed anche pianto. Noi sacerdoti per primi, vedendo i banchi vuoti, la chiesa chiusa, e ripetendo “Il Signore sia con voi… fratelli e sorelle”, a persone che solo virtualmente erano presenti e che partecipavano con lo stesso stato d’animo, attraverso i canali della comunicazione in tempo reale. Ho pensato al profeta Gioele e ad una sua affermazione quanto mai attuale: «Tra il vestibolo e l’altare piangano i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: Perdona, Signore, al tuo popolo» (Gl 2,17). Spesso, pur sapendo bene che la Messa è l’azione sacra per eccellenza, che ha un valore universale e non è mai un fatto privato anche quando il sacerdote la celebra senza il popolo, pensando a te, ho pianto. Le mie lagrime hanno bagnato i manuali della tastiera e si sono mescolati con l’acqua ed il vino nel sacro calice. I sospiri si sono integrati con la mia voce sostenuta dalle note armoniose dell’organo che riempivano il grande e vuoto volume dell’aula liturgica, e che sono tornato a suonare ogni giorno dopo diversi anni. Mentre calcavo la pedaliera, immaginavo di tornare a percorrere le strade e a dare espressione all’apostolato pastorale e vocazionale che da sempre caratterizza il mio sacerdozio. Ma pensavo anche al disagio, alla commozione, al bisogno del nutrimento eucaristico, al dolore ed alle lagrime di tante persone che dovevano accontentarsi di partecipare virtualmente alla S. Messa, cibandosi unicamente della ricchezza della Parola di Dio, creando una intimità di rapporto con il santo tabernacolo o l’ostensorio che anche il Papa adorava al termine della Messa mattutina. Poi, per fortuna, la cosa si è allentata e siamo tornati, seppure con tutte le cautele e le altre rigide norme imposte, a calcare le nostre chiese e a partecipare alle liturgie. L’assemblea eucaristica è tornata di nuovo, nonostante il distanziamento e le restrizioni numeriche ad essere il centro della comunità dei cristiani presieduta dal sacerdote. Le lagrime di dolore si sono trasformate in lagrime di gioia. Ho pensato, non solo per me che ci rifletto e me lo ripeto ogni giorno, ma anche per i fedeli laici, adulti e giovani, a quell’eloquente adagio che spesso si trova affisso nelle sagrestie: «Celebrerò questa Messa come se fosse la mia prima Messa, come se fosse l’ultima Messa, come se fosse la mia unica Messa». In essa, infatti, io offro la vittima divina a Dio Padre ma anche, in unione con questa vittima, offro la mia vita e quella di coloro che il Signore mi ha affidato come pecore del suo pascolo, spighe della sua messe, acini del suo grappolo. Mi rendo conto sempre di più che il compito del sacerdote, il mio compito, soprattutto con la celebrazione eucaristica, con l’amministrazione dei sacramenti, la testimonianza della vita, l’oblazione completa del mio tempo, della mia vita e del mio amore a Dio ed ai fratelli, non finisce e non finirà mai, perché andrà oltre la morte. Come Gesù anche io prima o poi dovrò dire: “Tutto è compiuto”, “Nunc dimittis”, “ora lascia che il tuo servo vada in pace”. Oggi, però, voglio dire, e lo dico con verità e profonda commozione a tutti quelli che Dio mi ha affidato e ad alcuni in particolare che sento come un dono misterioso di Dio, perle preziose depositate da Dio nello scrigno del mio cuore, dei miei pensieri, dei miei affetti e dei miei interessi “Io sarò con te, sempre”. Questo mio amore è fedele, anche quando tu non mi pensi, anche se tu dovessi chiudermi nei tuoi passati ricordi senza nostalgia e senza ritorni, anche se posso aver sbagliato, anche se sono e rimango un povero prete che spinto da un amore irrefrenabile, mi getto nelle imprese che riguardano unicamente la gloria di Dio ed il bene delle anime. Io ci sarò sempre. La mia fede, infatti, e il mio sacerdozio, è la mia stessa vita.  P. Angelo Sardone

Il valore della testimonianza

Mattutino di speranza

Mercoledì 27 maggio 2020

 

Uno degli elementi propri della fede e della vita cristiana è la testimonianza. Non si tratta semplicemente di un principio giuridico e sociale, ma di un elemento religioso e spirituale che consiste nel tradurre «con parole ed opere» nella vita di ogni giorno ciò in cui si crede, si spera, si ama. È la manifestazione di aver acquisito conoscenze, valori di fede e di tradurli praticamente nel contesto sociale e relazionale. La testimonianza è prima di tutto il frutto maturato nell’intimità di rapporto con Dio, attraverso la preghiera e la vita sacramentale e cresciuto nella Chiesa, in condivisione, alterità, servizio. La testimonianza è l’applicazione della fede alla vita, la traduzione delle verità che sono via al cielo nel contesto terreno delle relazioni, dell’impegno sociale, civile e religioso, nel servizio per il bene comune.  È alimentata dalla forza e dalla grazia dello Spirito Santo che guida alla verità tutta intera, ricorda quanto Gesù ha detto e con i suoi doni qualifica e dà vigore all’agire. La Chiesa oltre che la casa della comunione, è una vera e propria “scuola di testimonianza” nella misura in cui le verità della fede in essa proclamate, credute e celebrate, vengono assimilate e diffuse non per proselitismo, ma per attrazione, come afferma costantemente papa Francesco. La didattica e la dialettica relazionale sono vie abituali di testimonianza perché, permettono di tradurre in azione la concezione della vita, il valore della fede, l’efficacia delle virtù, il senso civico, il senso religioso. La testimonianza cristiana è una dichiarazione degna di fede che costituisce un attestato, una prova, un indizio sicuro e dimostrativo della verità in cui si crede, oltre che la comunicazione di una esperienza vissuta in prima persona. Può essere per questo convincente, superficiale, favorevole o sfavorevole. La testimonianza si riferisce prima di tutto al bene inteso nella globalità della sua accezione. Gli scolastici medievali avevano racchiuso in una sentenza fortemente espressiva il suo valore, la natura, la sua azione primordiale: «Bonum diffusivum sui», il bene si diffonde di per se stesso. Quando prende corpo e si radica nella vita di una persona, l’avvolge e quasi lo costringe ad operare per il bene stesso. L’afferma con vigore S. Paolo: «Caritas Christi urget nos!» (2Cor 5,14), la carità, l’amore di Cristo urge, cioè è la ragione stessa della mia vita, mi spinge ad essere quello che sono e a fare quanto la grazia di Dio richiede in parole ed opere. Quella di Gesù Cristo fu la testimonianza della verità, e per questo, come Giovanni Battista, andò incontro alla morte. La testimonianza più persuasiva sono le sue opere. Prima di ascendere al cielo conferì agli Apostoli il mandato di testimonianza quale elemento primordiale di evangelizzazione: «Mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). Lo Spirito Santo continua nella vita del mondo e della chiesa la testimonianza di Cristo attraverso la testimonianza dei fedeli cristiani, guidandola, sorreggendola, potenziandola con la sua forza, proprio come fece con S. Paolo: «Coraggio! Come hai testimoniato a Gerusalemme le cose che mi riguardano, così è necessario che tu dia testimonianza anche a Roma» (At 23,11). Oggi c’è tanto ed urgente bisogno di testimonianza da parte dei cristiani, piccoli e grandi, con un vero e proprio servizio umile e coerente. Paolo VI, grande maestro e santo dei tempi moderni nel discorso al Pontificio Consiglio dei laici del 2 ottobre 1974, riportato poi nel n. 41 dell’enciclica Evangelii Nuntiandi dell’Anno santo 1975, affermava: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». La testimonianza implica la coerenza, ma non è semplice coerenza, ma piuttosto, rimando al mistero di Dio. Il “testimone”, infatti, non indica se stesso, ma attesta l’evento che “ha visto” e di cui è stato “reso partecipe”. Questa è in fondo la ricchezza dell’incontro con Dio che deve tradursi in comunicazione credibile, attraverso la pratica dei comandamenti. In qualunque ambiente di vita e nella realizzazione della personale vocazione, ognuno di noi è chiamato a dare testimonianza della sua fede con la vita prima di tutto e poi con le parole, per non correre il rischio di sentirsi additato come colui che “predica bene e razzola male“ o peggio, sentir dire da Gesù: «Fate come essi dicono, ma non fate come loro poiché dicono e non fanno» (Mt 23,3). Testimoniamo dunque, con la coerenza, laddove le parole si traducono in vita, l’amore di Dio, la sua misericordia, la gioia di vivere e partecipare la fede, la gioia stessa del Vangelo. P. Angelo Sardone.

Un serio accompagnamento spirituale

Mattutino di speranza

Martedì 26 maggio 2020

 

Il cammino di sequela del Signore richiede ogni giorno attenzione, dedizione ed un serio e perseverante impegno. Non si può giocherellare con Dio e le cose sante, con i sentimenti, con le espressioni di fede. La maturità vera non è sempre l’età. L’alleanza che Dio ha stabilito con l’uomo, lo ha messo di fatto nella condizione di essere come alla pari con noi, di scendere al nostro stesso livello pur essendo in dignità, grandezza, superiore a tutto ed a tutti. L’uomo-Dio Gesù Cristo si è fatto simile a noi in tutto fuorché nel peccato; si è calato nel nostro limite per darci la forza per vivere e sperare, per credere, risalire la china del peccato e andare verso la luce, sapendo di potercela fare con la sua grazia e la corrispondenza della nostra volontà. Se ciascuno si affida veramente al Signore ed intraprende con Lui un serio cammino di vita spirituale, ne risentirà positivamente tutta quanta la sua vita, la sua fede, la sua realizzazione. Al contrario, se uno si lascia andare in balia dei sensi, dei sentimenti passeggeri, delle emozioni di turno, degli incontri e situazioni più o meno provocati da ingordigia mentale, istintivi desideri corporali ed incontrollate pulsazioni psicofisiche, da superbe manie di affermazione, si trova a cavallo di un destriero irrefrenabile che porta verso una meta fatua e senza premio. Quante volte, nelle diverse età della vita, anche nella spigliata giovinezza adulta, si percorrono strade di evidente disordine morale e comportamentale perché, forse, senza saperlo, si va alla ricerca di una soluzione per problemi inconsci che uno si porta dentro, magari sin dall’infanzia, situazioni e fatti che possono aver segnato la mente, il cuore, il corpo, lasciando vistose ferite il più delle volte mai fatte vedere, ripulite e suturate. Quante volte queste ferite reclamano un intervento terapeutico efficace per una completa guarigione e, mancando accanto una guida spirituale ferma e sicura, ed un valido aiuto psicologico, menano ancora per strade impervie ed ingannevoli che non portano al bene ma provocano ancora rotture inesorabili e graduale allontanamento da se stessi, da Dio e dagli altri. Tante ferite, incise nella mente e nella fisicità, facilmente condizionano i desideri, le opzioni, le azioni, alimentando false illusioni di vivere chissà quale felicità e di stare a fare chissà quale cammino soprattutto spirituale. È frequente la delusione che ti fa ritrovare sempre al punto di prima. La storia di amore col Signore è una cosa seria, a qualunque età essa cominci e con qualunque modo e mezzo viene vissuta. È una storia bella, feconda che, oltre il quotidiano peso della croce preannunziato da Gesù stesso, porta con sé pace, tranquillità, ed elimina le contraddizioni di un immediato e facile appagamento, frutto di un istinto o di un vuoto da colmare. È di grande aiuto ed insegnamento S. Agostino, un uomo che ha vissuto un fragoroso trambusto di mente, di cuore, di corpo, impegnandovi fino in fondo sé stesso, latore di una fine ed acuta intelligenza e di una spiritualità oltremodo profonda. È celebre la sua affermazione: «Signore, il nostro cuore sarà sempre inquieto finché non riposerà in Te!» (Confessioni, 1,1.5). L’inquietudine che è compagna di vita, può essere superata se ci si ferma, si rientra in se stessi, si rilegge la storia dei giorni passati contrassegnati da date precise, persone, ambienti, situazioni e poi ci si affida al Signore e ad una seria e matura guida spirituale, un sacerdote inviato da Dio e scelto dopo attenta preghiera e copiose lagrime versate. Il sacerdote, cercando unicamente il bene, con pazienza, costanza, tanta preghiera e a volte anche con grandi sofferenze, come un padre conduce per mano ad una purificazione radicale della memoria e della vita e con un accompagnamento sistematico, porta al discernimento della vocazione e della vita. Gli elementi indispensabili sono molteplici: prima di tutto la preghiera, personale, comunitaria, liturgica; poi i sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia e, secondo l‘esperienza dei padri dello Spirito, la custodia dei sensi e la mortificazione che è detta «l’abc della vita spirituale». Non tutto e subito si può vedere e sperimentare a tutti i costi. Passino anche gli applausi del mondo oggi ricercati e visibili con i «like – mi piace» di Facebook e lo specchio della propria anima sostituito talora dai «selfie». Bisogna dare inizio ad una vita nuova, diversa, con costanza, mettendovi tutta la buona volontà, lottando per la virtù, tenendo sotto tiro gli istinti provocati da naturali pressioni fisiologiche e situazioni psicologiche, praticando un cammino spirituale semplice ed ordinato, non bigotto ma equilibrato, per non correre il rischio di trovarsi con l’amara illusione di stare al punto di prima e con le spalle cariche di responsabilità. Dio non permetta questo. P. Angelo Sardone