La santa del “dolce Cristo in terra”

«Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna» (1Gv 1,5). Si può sintetizzare in questa espressione biblica che la Liturgia odierna riporta, la vita, l’opera apostolica e la santità di Caterina da Siena (1347-1380), patrona d’Italia, dottore della Chiesa, di cui si celebra oggi la festa. La sua testimonianza, anche se lontana nel tempo, è quanto mai attuale per la solidità della dottrina e l’esempio eroico delle virtù con le quali ha costruito la sua santità. Avviata sin da piccola nel cammino di perfezione cristiana, diviene Terziaria domenicana, «mantellata» con un mantello nero sulla veste bianca e, dotata di scienza infusa, vive la sua fede in rapporto mistico con Cristo, e le sue relazioni con personalità di alto rango che a lei si rivolgono. L’ambiente storico è particolare e travagliato per la Chiesa minacciata da movimenti ereticali e la società italiana da lotte e dissidi. Accanto alle superlative attività teologiche di cui sono espressioni le grandi opere «Il Dialogo della Divina Provvidenza», l’Epistolario e la raccolta delle Preghiere, si dedica alla carità verso i poveri, gli ammalati, i carcerati. Fenomeni particolari di bilocazioni, estasi, amore per i sacerdoti e, finanche, il dono delle stimmate, accompagnano la sua esistenza. Le sta a cuore particolarmente il ritorno da Avignone a Roma nella sede pontificia di papa Gregorio XI (da lei definito il «dolce Cristo in terra») e la riforma della Chiesa. Nella simbologia iconografica il libro ed il giglio nelle sue mani, rappresentano la dottrina e la purezza di vita che richiama il suo stesso nome che dal greco significa «pura». Auguri a tutte coloro che portano il suo nome, perché si ispirino a lei nella conduzione della loro vita. P. Angelo Sardone

Marco, evangelista

«Questa è la vera grazia di Dio. In essa state saldi! Vi saluta la comunità che vive in Babilonia, e anche Marco, figlio mio» (1Pt 5,12-13). La conclusione della prima Lettera di Pietro riporta questa importante annotazione che si riferisce a Marco, l’evangelista del quale oggi si celebra la memoria. Già nominato negli Atti degli Apostoli, come Giovanni detto Marco, compagno, aiutante di Paolo e Barnaba, fungeva forse da interprete, avendo ricevuto un’accurata formazione e conoscenza della lingua greca, comune allora come lingua commerciale. La figliolanza con Pietro non è certamente di ordine fisico, ma spirituale, determinato da un rapporto molto profondo. Proveniva infatti da Gerusalemme, sarà compagno di prigionia di Paolo e, come riferito da Papia, vescovo greco del II secolo d.C. fu «interprete» di Pietro, suo accompagnatore a Roma ed autore del secondo Vangelo. La citata Babilonia, inoltre non è altro che un nome ed una località simbolica, riportabile alla città di Roma, come riferito nella letteratura dei rabbini di allora e nell’Apocalisse. Dal momento che era nota la sua avversione verso Israele, per analogia facilmente faceva riferimento a Roma nella quale sia i costumi che l’ostilità verso Dio, determinarono la persecuzione contro i cristiani. Le poche informazioni sulla sua vita sono dovute a Pietro ed a Paolo, soprattutto nella residenza romana. Una tradizione antica lo vuole martire ad Alessandria legato con funi e trascinato per le strade. La leggenda vuole invece che mercanti veneziani l’anno 828 portarono il suo corpo nella città di Venezia di cui è Patrono. Auguri a tutti coloro che ne portano il nome, perché lo imitino nella fedeltà ai propri impegni di vita.  P. Angelo Sardone

In Maria il verbo si è fatto carne

La Liturgia ha trasferito alla giornata odierna la solennità dell’Annunciazione del Signore che cadeva quest’anno nel pieno della Settimana Santa. Prima della riforma liturgica il carattere era prevalentemente mariano. La Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963) prescrive che «l’animo dei fedeli sia indirizzato prima di tutto verso le feste del Signore, nelle quali, durante il corso dell’anno, si celebrano i misteri della salvezza» ai quali è associata la beata Vergine Maria. Per questo, l’evento è del Signore vero Dio e vero uomo: diede inizio al mistero dell’Incarnazione di Dio come uomo nel grembo di Maria, come sottolineato dalla scelta del 25 marzo, nove mesi prima del Natale. Un legame vitale unisce Gesù, il Figlio, a Maria, la Madre. Il dato biblico, datato intorno al 732 a.C. è legato al celebre oracolo di Isaia comunicato al re Acaz. La «giovane donna», Maria, concretizza il volere di Dio aderendo al nunzio celeste, l’angelo Gabriele che va da lei, residente a Nazaret, un villaggio fino ad allora mai menzionato nella Sacra Scrittura e le porta il lieto annunzio chiedendo la disponibilità al disegno di salvezza. Superate le titubanze la Vergine accoglie il messaggio dichiarandosi «la serva del Signore». In quell’istante il suo grembo fu fecondato dallo Spirito Santo e in esso il Figlio di Dio si fece carne. In pegno di ciò la tradizione cristiana e la pietà popolare invoca Maria tre volte al giorno, all’aurora, a mezzogiorno e al tramonto con la preghiera dell’Angelus Domini per ricordare questo evento di salvezza. La Santa Casa di Nazaret, custodita all’interno della basilica di Loreto, è la memoria visibile del mistero dell’Annunciazione-Incarnazione di Gesù. Auguri vivissimi a tutti coloro che portano il nome di Nunzio/a, Nunziatina, Tina e derivati. P. Angelo Sardone

La Divina Misericordia

«Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore» (At 4,33). Nella preghiera proclamata subito dopo la liberazione dal carcere, Pietro e Giovanni invocarono il Signore perché si compissero miracoli e guarigioni nel Nome di Gesù. E Dio concesse loro questa capacità espressa in grandi segni di potenza. A quella della Parola annunciata con coraggio si aggiungeva ora la forza dei miracoli. Da allora questa forza viene esercitata nella Chiesa da Cristo morto e risorto, manifestazione concreta della Divina Misericordia di cui è apostola la mistica polacca S. Faustina Kowalska, a seguito delle rivelazioni e dei suoi scritti. S. Giovanni Paolo II, tenendo conto che «soprattutto nel mistero pasquale l’amore di Dio verso gli uomini risplende in massima misura», e volendo esaltare questo grande dono, nell’anno 2000 concesse che nella domenica successiva alla Pasqua, detta «Domenica in Albis», fosse aggiunta la dizione «della divina Misericordia». La ricchezza delle celebrazioni liturgiche di questi giorni è la luce più adatta per comprendere tale devozione: il «Cristo pasquale è l’incarnazione definitiva della misericordia di Dio e suo segno vivente». Nella notte di Pasqua i neo battezzati ricevevano una veste bianca; la domenica successiva tornavano in Chiesa e la deponevano. Di qui l’espressione classica «in albis depositis vestibus», cioè deponendo le vesti bianche. Il segno della nuova dignità di figli di Dio, configura l’identità dei cristiani battezzati come re, sacerdoti e profeti ed insieme a tutti gli uomini sulla terra, li rende oggetto della infinita misericordia di Dio. P. Angelo Sardone

La potenza della fede

«Per la fede riposta in lui, il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo che voi vedete e conoscete la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi» (At 3,16). La guarigione dello storpio aveva destato tanto scalpore e stupore nel popolo. Approfittando di ciò, sotto il portico di Salomone, Pietro avvia la sua predicazione chiarendo innanzitutto che non procede da lui la forza del miracolo né tanto meno dalla sua bontà, ma è opera di Cristo mediata dalla fede avuta dal noto malato. Questa fede è resa possibile proprio da Gesù risorto che gliel’ha data unitamente alla perfetta guarigione del corpo. La fede ha provocato il miracolo. L’intervento è divino e per essere efficace richiede l’apertura dell’uomo, entrare in relazione di fiducia e di abbandono al Signore che è l’unico in grado di operare prodigi di questo genere. La fede è donata dal Risorto ed è mediata dalla predicazione apostolica. Gli effetti della stessa e della fede che essa suscita diventano palesi ed a tutti si manifestano. Proprio la predicazione, coraggiosa e franca da parte di Pietro, prima pauroso e vigliacco, chiarisce che le azioni ed i comportamenti dei Giudei ostili a Gesù sono stati determinati da ignoranza, la stessa per la quale Gesù dall’alto della croce aveva chiesto al Padre il perdono. Tutto comunque si è adempiuto dando ragione alla letteratura profetica che aveva previsto anche il tragico epilogo della vita del Figlio di Dio. Va ribadita ogni giorno l’importanza della fede nel Cristo risorto come atto di grande fiducia perché, come affermava il grande teologo gesuita, il cardinale Henry De Lubac (1896-1991) «si può credere a molte cose; ma non si dà la propria fede se non a qualcuno». P. Angelo Sardone

Gesù è il Signore

«Gesù di Nàzaret l’avete crocifisso e ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (At 2,22-24). La Risurrezione di Gesù è il tema dominante della prima predicazione degli Apostoli dopo la discesa dello Spirito Santo nel Cenacolo. Viene denominata col termine classico di «kérigma», cioè annunzio. Ormai non hanno più timore di nulla e di nessuno. L’incertezza, i dubbi, la paura che avevano manifestato nel corso della passione e della morte di Gesù sono stati annientati dall’evento della tomba vuota, dalla constatazione oculare fatta da alcuni di loro e, soprattutto, dall’apparizione che il Risorto stesso ha riservato loro. Il disegno di Dio si è compiuto pienamente in Gesù di Nazaret che, sottoposto al duplice giudizio umano, religioso dei Giudei e civile dei Romani, è stato condannato e messo a morte sulla croce. Il merito della Risurrezione è del Padre e della sua potenza, lo stesso che aveva operato grandi prodigi per opera di Gesù. Il suo corpo non poteva essere preda della corruzione e rinchiuso in un sepolcro. Il canto di Davide era profetico: «non abbandonerai la mia vita nel sepolcro né lascerai che il tuo santo veda la corruzione» (Sal 16,10). Ora tutto è chiaro, tutto è realizzato. Alla massima solennità dell’anno liturgico, segue la settimana dell’Ottava di Pasqua col giorno successivo denominato Pasquetta o «Lunedì dell’Angelo», perché ricorda l’incontro dell’angelo con le donne che erano giunte al sepolcro di Gesù e l’invito fatto loro di andare a comunicare agli Apostoli la notizia della risurrezione. C’è sempre un angelo sulla nostra strada che oltre comunicare la gioia degli eventi salvifici, indica una strada da percorrere per la vera felicità. P. Angelo Sardone