Riflettere sul comportamento

«Riflettete bene sul vostro comportamento! Avete seminato molto, ma avete raccolto poco» (Ag 1,6). Aggeo è un profeta non molto conosciuto. Pur appartenendo al gruppo dei profeti minori a causa dell’esiguità del suo testo scritto, 2 capitoletti appena, acquista una certa importanza perché si colloca in Palestina subito dopo il ritorno degli Ebrei a Gerusalemme. La sua predicazione coincide con la ricostruzione del tempio, ostacolata soprattutto dal facile scoraggiamento degli esiliati. Quattro piccoli discorsi costituiscono il testo biblico e fanno riferimento ad alcune parole chiave: si passa dalla punizione, tipica del periodo esiliato, alla consolazione data da Dio nel ripristino della storia di Israele, fino alla restaurazione esigita dalla nuova condizione di vita e dalla ripartenza della storia nel luogo più sacro, Gerusalemme. Per ben due volte la Parola di Dio sentenzia: «riflettete bene sul vostro comportamento» e cita le conseguenze di una forma di assopimento con la presentazione cruda delle situazioni: lavorare tanto e raccogliere poco, mangiare e non saziarsi, vestirsi e non coprirsi. La ragione fondamentale è perché ciascuno, anche nella paura, si è dedicato alle cose proprie, non pensando di ricostruire il tempio e restaurare ogni cosa. Sembra storia di oggi, quando anche tra i cristiani prevale facilmente il proprio interesse pur essendo venuti fuori da un tempo terribile come quello pandemico, correndo il rischio di vedere tutto vanificato. La tentazione della chiusura, della mancanza di speranza non deve impedire la ripresa con la pratica sistematica della vita cristiana sorretta dalla dimensione sacramentale, dalla partecipazione alla Messa domenicale e dalla confessione periodica! P. Angelo Sardone

Il santo dei poveri

«Dio ha fatto brillare i nostri occhi e ci ha dato un po’ di sollievo nella nostra schiavitù» (Esd 9,8). Nella seconda parte del libro di Esdra è narrata l’organizzazione della comunità giudaica a Gerusalemme da parte del sacerdote Esdra, esperto nei comandi del Signore e di Neemia quasi un governatore della Giudea. Riprende vita la città santa, purificata dagli abomini e sollevata dalla schiavitù babilonese da Dio stesso attraverso i nuovi eventi. Nella storia si ripetono avvenimenti analoghi legati non solo alla schiavitù fisica ma anche e soprattutto tutto a quella morale che rende gli uomini preda dell’ignoranza, del peccato e della sopraffazione dei forti. Nel secolo XVI il Signore suscitò in Francia uno dei più grandi esempi di carità e di servizio appassionato ai poveri, S. Vincenzo de’ Paoli (1581-1660), insigne apostolo dei bassifondi di Parigi, con la passione dell’evangelizzazione. Comincio dalle popolazioni rurali per finire poi nelle galere e nel servizio dei poveri, ammalati e sofferenti. La sua caratteristica fu la difesa dei diritti dei poveri e degli umili nei confronti dei potenti. La sua testimonianza fece breccia nel cuore di sacerdoti e laici, uomini e donne che lo seguirono e con i quali diede inizio alla Congregazione dei «Preti della missione», più noti come Lazzaristi, che si dedicano al servizio della carità verso gli ultimi della società che egli riteneva «duchi e marchesi». A Lui si ispirò nel suo apostolato carismatico S. Annibale M. Di Francia che intraprese il suo lavoro di redenzione dei piccoli e dei poveri nel malfamato Quartiere Avignone a Messina, luogo degradato ed inviso ai potenti. Anche lui considerava i poveri marchesi, principi e baroni e non lesinava attenzione e servizi anche eroici. P. Angelo Sardone

S. Pio da Pietrelcina

«Davanti a Dio e a Gesù Cristo, ti ordino di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo» (1Tim 6,13). In questo tratto, il più accorato della lettera, S. Paolo esorta Timoteo a tenere a bada la fede propagata dai falsi dottori, agendo con energia per conservare il comandamento ed il diritto della verità. Queste indicazioni sono state fatte proprie da S. Pio da Pietrelcina (1887-1968), del quale oggi si celebra la memoria. Figlio di contadini, nella nuova famiglia dei Frati Minori Cappuccini diviene sacerdote il 10 agosto 1910. Dotato di una salute precaria, dal 1916 dimora ininterrottamente nel piccolo paese di San Giovanni Rotondo sul Gargano dove rimane fino alla morte, visitato, il 1918, da Dio col dono-privilegio delle stimmate. Portandole addosso con grande sofferenza fisica svolge un apostolato straordinario di amministrazione della grazia sacramentale di Dio e di accoglienza di tantissime persone che accorrono a lui da ogni parte del mondo. La sua clientela è universale come la sua popolarità. Ha un occhio particolare per gli ammalati per i quali costruisce la Casa Sollievo della sofferenza. Nonostante possa sembrare ruvido, è dolce e penetrante nella sua azione apostolica e sacramentale verso tante anime che sistematicamente diventano figli e figlie spirituali. Ad essi indirizza le sue lettere, un vero e proprio itinerario formativo e di santificazione. Tenuto sotto controllo dalle autorità ecclesiastiche, vittima di severe ispezioni, impedito per un po’ di tempo finanche dalla celebrazione della Messa in pubblico, con umiltà ed obbedienza accoglie tutto, soffre ed offre. La sua santità lo rende tutt’oggi invocato e venerato in ogni parte del mondo. Auguri vivissimi a quanti ne portano il nome o s’ispirano a Lui. P. Angelo Sardone

La priorità dei poveri

«Quelli che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell’inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione» (1Tim 6,9). La seconda parte della prima lettera a Timoteo contiene raccomandazioni pratiche che fanno riferimento a categorie diverse di persone: le vedove, i presbiteri, gli schiavi i falsi dottori. Soprattutto verso questi ultimi Paolo adopera una sottile ironia soprattutto quando affronta l’argomento della pietà che, dice, è utile a tutto ed è un grande guadagno spirituale. Esso è tale, quando non vi si specula sopra e ci si sa accontentare di ciò che è indispensabile per vivere. Si tratta di realtà molto comuni a quel tempo, di fronte al pericolo della ricchezza, divenute come massime, saggiamente riportate dall’Apostolo, così come rilevate dalla sapienza dell’Antico Testamento. E ciò vale in tutti i campi, da quello propriamente sociale ed economico a quello spirituale e religioso. Il denaro e la ricchezza traggono facilmente in tentazione perché l’uomo, per la natura contaminata dal peccato, è incontentabile, desidera sempre più ed a tutti i costi. Questo modo di essere e di fare, determina rovina e perdizione che sono frutto talora di desideri insensati ed oltremodo dannosi. La realtà della vita di ogni giorno fa fare i conti con queste situazioni per niente insolite che vedono anche buoni cristiani di tutti i ceti, vittime incaute della ingordigia del possesso e del dominio. Il Signore Gesù ha offerto come antidoto la scelta preferenziale della povertà che non soltanto rende liberi, ma dà la garanzia del possesso del regno dei cieli. P. Angelo Sardone

L’esattore convertito

«A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo» (Ef 4,7). La liturgia odierna celebra la festa di S. Matteo, apostolo ed evangelista. Parlando della sua chiamata è l’unico che riporta il suo primo nome, Matteo, il pubblicano e peccatore. Gli altri evangelisti lo chiamano Levi. L’incontro con il Signore Gesù e la sua misericordia gli ha cambiato la vita: è rinato da un’esistenza egoista che ruotava attorno alla sua professione di esattore delle tasse asservito ai Romani. L’economia della sua vita era basata sul guadagno, a volte anche disonesto, rimproverato dai suoi conterranei che lo consideravano alleato dei dominatori. Gesù ha un conto da saldare con lui. Va ad incontrarlo direttamente al banco delle imposte e non si perde in parole, gli dice soltanto «seguimi!». In quell’incontro, nello sguardo amorevole di Cristo c’è tutto un condensato di grazia, perdono, misericordia e di amore che lo chiama alla sequela. Lo squarcio di luce intensa penetra nel suo cuore e nella sua anima mettendo in luce la realtà di grazia che il Maestro gli offre ed eludendo il buio della sua riprovevole condizione morale e relazionale. Gesù gli dice semplicemente «seguimi», cioè «imitami». E lui, docile, si alza e lo segue senza proferire parola. Il Vangelo annoterà il pranzo da lui preparato per il maestro. Sarà l’esemplificazione della nuova vita intrapresa staccandosi a quella antica, con disagio di comprensione da parte di tanti. La scelta e la sequela di Cristo comporta un cambiamento radicale lasciando al passato ciò che è passato, compresi ricordi, testimonianze, nostalgie, ed affidandosi unicamente alla grazia che ha reso nuova l’esistenza. Auguri a tutti coloro che portano il nome di Matteo, che dall’ebraico significa «dono di Dio». P. Angelo Sardone

I santi martiri coreani

«La casa di Dio è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità» (1Tim 3,15). Particolarmente ricco di dottrina ecclesiologica è questo versetto col quale S. Paolo avverte Timoteo su come comportarsi nella casa di Dio, la Chiesa. Essa è molto grande: chi la guida deve conoscere bene l’arte del servizio ecclesiale per evitare che ci si improvvisi come capi. La Chiesa è casa dove Dio abita ed incontra i suoi figli. Ma é anche robusta, perenne e stabile: ciò è dato dalle verità che essa proclama. Non c’è pienezza di verità se non nella Chiesa di Dio. Su queste verità si è fondata la testimonianza cruenta dei martiri coreani 103 (10 stranieri, 3 vescovi 7 sacerdoti, catechisti e fedeli), tra cui Andrea Kim Taegon, il primo presbitero coreano ed il laico Paolo Chong Hasang. Di essi si celebra oggi la memoria liturgica. A partire proprio da un laico, nel 1784 la fede cattolica si era impiantata nel paese e fu sottoposta a tante persecuzioni che determinarono al contrario uno sviluppo significativo dei cristiani e la fede che era ritenuta dal governo un’autentica “follia”. Secondo ricostruzioni storiche e biografiche nelle persecuzioni perirono più di 10.000 martiri. Il martirio ed i martiri cristiani non sono solo un fenomeno dei primi tempi del cristianesimo ma una realtà che continua anche oggi in tutto il mondo. Centinaia e centinaia di cristiani sono torturati, massacrati, le chiese incendiate, vescovi e sacerdoti vessati da autorità senza scrupoli. Vince sempre la costanza nella fede ed il coraggio indomito di uomini e donne che credono davvero e con la loro testimonianza ed il martirio, come diceva Tertulliano, sono seme di nuovi cristiani. P. Angelo Sardone

La Madonna della Salette

«Avvicinatevi figli miei, non abbiate paura: sono qui per annunciarvi un grande messaggio». Con queste parole, il 19 settembre 1846 la Madonna invitava
due pastorelli, Maximin Giraud e Mélanie Calvat, di 11 e 15 anni, che pascolavano le mucche sul monte della Salette vicino ad una fontana disseccata. Intorno alle due pomeridiane, furono attratti da una luce folgorante che mise in evidenza i contorni di una donna, seduta sulle pietre poste attorno alla fontana, con uno scialle ed un grembiule giallo. Una corona di rose le scendeva dal collo, con due catene, una delle quali col crocifisso al cui lato c’erano una tenaglia ed un martello. Con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e la testa tra le mani, piangeva in silenzio e le sue lagrime scendevano vistosamente. Era la Santissima Vergine. Si trattenne coi due pastorelli circa un’ora e prima in lingua francese, poi nel loro dialetto parlò loro: «il braccio del Figlio è appesantito per le mancanze degli uomini in particolare per l’inosservanza del precetto festivo della domenica, la bestemmia contro il suo Nome e la burla della religione. Se si continua così il grano sarà mangiato dagli insetti, quello maturo ridotto in polvere, le noci guastate e l’uva marcia». La Vergine comandò quindi di far conoscere questo a tutto il popolo ed affidò a ciascuno di loro un segreto. Il 1851 a seguito dei risultati d’una commissione d’inchiesta, il vescovo di Grenoble dichiarava: «l’apparizione ai due pastorelli sulla montagna de La Salette porta in sé tutte le caratteristiche della verità e che i fedeli possono fondatamente crederla indubitabile e vera». La Vergine fu invocata come Riconciliatrice dei peccatori. Sul monte de La Salette, nacque la Congregazione dei Missionari di Nostra Signora de La Salette che fece proprio il messaggio della Vergine. Mélanie Calvat sarà a Messina nell’istituto delle Figlie del Divino Zelo nell’anno di benedizione 1897-1898 e morirà ad Altamura. Qui S. Annibale aprirà il 1916 una Casa dedicata alla Madonna della Salette per conservare le spoglie mortali della pastorella. P. Angelo Sardone

L’Addolorata Maria

«O quam tristis et afflícta fuit illa benedícta Mater Unigeniti!» Quanto grande è il dolore della benedetta fra le donne, Madre dell’Unigenito! (Dallo Stabat Mater). Collegata direttamente alla festa di ieri, si celebra oggi la memoria liturgica della Beata Vergine Maria Addolorata che ha significativa importanza dottrinale e pastorale perché associa la Madre alla passione salvifica del Figlio. In Lei si concentra il dolore dell’universo per la morte di Cristo e si personificano le madri che, lungo la storia, hanno pianto e piangono la morte di un figlio. Questa devozione è una delle più commoventi e tenere perché esprime il più intimo e filiale affetto verso la SS. Vergine. Sotto la croce, il dolore di Maria diventa sommo. L’impossibilità e l’incapacità di fare qualcosa per il crocifisso Gesù, straziano il suo cuore di madre: Lo contempla innalzato da terra, scorge attorno a sé il vuoto del tempo e dello spazio, ha paura, vede l’inesorabile fuga di tutti. Maria diviene tutt’uno con Gesù, così com’era nel tempo della gravidanza e genera ancora una volta divenendo Madre di tutti. Sotto la croce, ancor più di altre volte, la spada profetizzata da Simeone trafigge il suo cuore. La popolare sequenza dello «Stabat Mater» attribuita a Jacopone da Todi, che in genere accompagna la Via Crucis ed è molto amata dai fedeli, è recitata in maniera facoltativa durante la Messa. Guardando Maria che ha tanto sofferto, il suo cuore, bersaglio delle sventure e delle afflizioni, i cristiani tribolati si sentono rianimare e La invocano in aiuto nelle difficoltà e nei travagli della vita. La devozione popolare mariana ha collegato alla Madonna Addolorata i sette dolori, traendoli dai testi evangelici, dalla profezia di Simeone fino alla deposizione di Gesù nel sepolcro. P. Angelo Sardone

La croce esaltata

«O croce santa, segno di vittoria e di salvezza, guidaci al trionfo nella gloria di Cristo» (Antifona liturgica). Si celebra oggi la festa dell’Esaltazione della Croce di Cristo, storicamente legata alla costruzione della basilica del santo Sepolcro a Gerusalemme ad opera di Costantino, la cui dedicazione avvenne il 13 settembre 335 e l’indomani vi fu l’ostentazione di quel che rimaneva della croce. Essa è strumento e simbolo di salvezza, talamo, trono ed altare come canta il prefazio della Messa; è «espressione del trionfo sul potere delle tenebre, segno di benedizione sia quando viene tracciata su di sé che su altre persone e oggetti» (Direttorio pietà popolare). La croce è il simbolo cristiano più diffuso e noto in tutto il mondo: richiama il supplizio inflitto a Gesù Cristo, l’opera «più meravigliosa di ogni miracolo di Cristo» (S. Giovanni Damasceno). Platone nella sua opera sullo Stato la «Politeia», prova ad immaginare quale destino sarebbe riservato in questo mondo al giusto perfetto e giunge alla conclusione che egli sarebbe stato crocifisso. Gesù Cristo è Il crocifisso per eccellenza, «Scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani», manifestazione della più grande sua impotenza, l’amore fino alla morte. La croce è l’atto finale di un Dio che stupisce col suo nuovo stile di amare (Benedetto XVI), trono dal quale domina da vero re e al quale attira tutti. S. Annibale Di Francia riferisce alla croce parole mirabili: «È un libro nel quale possono leggere ed imparare i dotti e gl’ignoranti, i grandi e i piccoli, i giusti e i peccatori. … libro aperto per tutti, nel quale si può apprendere la più sublime teologia degli attributi di Dio, la sua potenza, la sua misericordia, la sua giustizia, la sua carità; libro nel quale a caratteri di sangue non terreno, sta scritto e spiegato il mistero dell’amore eterno di un Dio verso gli uomini. … in esso si sono formati i più grandi santi della Chiesa, e senza di esso è impossibile comprendere e praticare virtù alcuna». Verità sapiente e perenne della croce, unica nostra speranza. P. Angelo Sardone

Il Santissimo Nome di Maria

«Anna si purificò, porse il seno alla bimba e la chiamò Maria» (PdG, V). Così il testo apocrifo denominato «Protoevangelo di Giacomo», annota, dopo la nascita da Anna moglie di Gioacchino, l’imposizione del nome Maria dato alla bambina tanto desiderata. È il tratto più significativo della «bibbia che non fu scritta da Dio», come recita una nota raccolta degli Apocrifi, che si riferisce a Maria la Madre di Gesù, della quale oggi si celebra il Nome santissimo. La devozione, molto popolare, è coeva a quella del nome di Gesù e fu introdotta in ambito liturgico alcuni secoli fa. Il nome Maria richiama diverse etimologie che restano comunque probabili e che vanno da Myriam, «amarezza» da una radice ebraica, a «maestra e signora del mare», messa in parallelo con la sorella di Mosè ed il passaggio del mar Rosso; a «stella del mare»: in lei, mare di grazia, sono confluite tutte le grazie degli angeli e dei santi. Ed infine, «altezza», indicando il Padre e Colei che ha generato il Figlio. Il Nuovo Testamento in maniera succinta riporta le vicende di Maria. Anche il Corano, testo sacro dei Musulmani la cita 70 volte. Maria fu dato come primo nome a S. Annibale Di Francia e ciò fu per lui come un segno di predestinazione a coltivarne un’autentica e vera devozione. «Beato e mille volte beato chi ha la fortuna di portare un sì augusto Nome, perchè Maria gli darà grazie speciali; io esorto tutti i padri e le madri di famiglia ad imporre ai loro figliuoli questo Nome», soleva ripetere ai fedeli, ed ancora «Al tuo Nome di Maria, il demonio fugge via, nell’abisso si confina». Auguri a tutte coloro che portano questo bellissimo nome, perché sull’esempio di Maria di Nazaret siano docili all’azione dello Spirito e testimonino la scelta del Padre nell’amore del Figlio. P. Angelo Sardone