La Santa Famiglia

«Il Signore visitò Sara, e fece come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia. Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito» (Gn 21,1-3). Quest’anno la festa della Santa Famiglia è evocata nella liturgia eucaristica da un significativo passo del libro della Genesi che ha come protagonisti Abramo, sua moglie Sara ed il figlio Isacco. È nota la storia del grande patriarca che da Ur dei Caldei, si era trasferito con la sua famiglia a Carran e, di seguito, obbedendo alla chiamata di Dio, a Canaan. Le promesse che lo stesso Dio più volte aveva rese note al suo interlocutore, uomo di vera fede, facevano riferimento ad una discendenza numerosa come le stelle del cielo e la sabbia del mare. Ma tutto questo era sconfessato dall’età di Abramo e la sterilità di Sara sua moglie che si aggiungeva anche per lei, all’età non più florida. L’onnipotenza di Dio fece il miracolo visitando Sara che concepì e partorì ad Abramo un figlio cui, come era stato espressamente indicato, posero il nome di Isacco, cioè «Dio sorrida, sia favorevole» (Gn 17,19). Si tratta di una famiglia singolare che diviene un’icona biblica per tutti i tempi. In analogia ad essa ed in pieno clima natalizio, si celebra oggi la festività liturgica che presenta il modello cristiano di famiglia, Giuseppe, Maria e Gesù nella casa di Nazaret. Al dire di S. Paolo VI che visitò la santa casa di Nazaret il 5 gennaio 1964, guardando questa famiglia si comprende «il modo di vivere in famiglia, la comunione di amore, la bellezza austera e semplice, il carattere sacro ed inviolabile, l’insostituibile fonte di educazione». In un’epoca nella quale si combatte il valore sacro ed inalienabile della famiglia con leggi che non la tutelano affatto, che la imbrattano di diritti alienanti i principi naturali, nella generale confusione di menti e di valori e con poche voci che la difendano nei suoi principi naturali e cristiani, si alzi un grido implorante di richiesta di perdono a Dio, e si proclami con S. Giovanni Paolo II: «Famiglia diventa ciò che sei!» P. Angelo Sardone

I tre capisaldi del mondo

«Non amate il mondo, né le cose del mondo! Tutto quello che è nel mondo la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita non viene dal Padre, ma viene dal mondo» (1Gv 2,15-16). La breve unità letteraria riportata da S. Giovanni all’inizio della sua prima Lettera ai cristiani, è una delle più studiate ed approfondite. Manifesta un carattere parenetico, cioè esortativo o di ammonimento. Aveva tutte le ragioni il santo Apostolo, di raccomandare ciò scrivendo a comunità cristiane che ieri, come oggi, erano funestate dallo spettro dell’eresia e dal facile accomodamento alla mentalità mondana più convincente ed edonistica. L’eterno male del mondo è codificato in tre espressioni secche e precise: la concupiscenza della carne, cioè la debolezza e la fragilità della dimensione umana dominata da istinti e passioni anche contro natura; la concupiscenza degli occhi, ossia le passioni per cupidigia, curiosità ossessiva, la ricerca insaziabile dei beni ed il godimento sfrenato della vita; la superbia della vita, il fasto della vita, ossia la presunzione nell’uomo determinata dal possesso dei beni e della loro assoluta importanza, la ricerca dello sfarzo e l’ostentazione del lusso. Tutto questo, con buona pace di chi, anche cristiano pio e devoto, afferma il contrario, non viene da Dio. Si tratta di aspetti ingannevoli della vita che da sempre dominano le menti umane che devono difendersi, oggi soprattutto, dalle influenze di persone, modi di pensare e di agire, favoriti dall’uso incontrollato ed irresponsabile dei mezzi di comunicazione sociale, diventati comuni in nome del progresso e di una modernità che tante volte rasenta ed esprime volgare stupidità. P. Angelo Sardone

La strage degli innocenti: ieri ed oggi

«Se camminiamo nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato» (1Gv 1,7). Sotto il nome dell’apostolo Giovanni la Tradizione cristiana ha trasmesso tre lettere alle prime comunità. La prima, una sorta di lettera enciclica inviata alle comunità dell’Asia Minore minacciate dalle eresie, è «uno splendido trattato sulla fede e sull’amore» (Ravasi). In essa si compendiano i temi e l’essenza della sua singolare esperienza religiosa. Il sangue di Cristo che purifica da ogni peccato, in essa citato, evoca la festa odierna dei santi Innocenti, molto antica, risalente alla prima metà del secolo V. Celebra il martirio di bambini innocenti al di sotto di due anni, una ventina circa passati a fil di spada, un vero e proprio massacro perpetrato da Erode il Grande nel territorio di Betlemme con l’intento di uccidere il Bambino nato proprio a Betlemme che, a dire dei Magi, era re e che poteva usurpargli il trono. Gesù scampò alla strage perché un angelo avvertì in sogno Giuseppe, ordinandogli di fuggire in Egitto. Essi sono il prototipo delle innocenti vittime di ogni tempo dell’ostilità dei potenti e primizia dei redenti che seguono l’Agnello in bianche vesti. Il pensiero va oggi ai tanti bambini e bambine vittime della violenza già nel grembo materno, cui non è permessa la luce e la vita, ai tantissimi abortiti; ai bambini seviziati e trucidati dalla furia omicida di persone senza scrupoli in nome della vendetta e del sopruso egemonico, ai tanti annegati nel Mediterraneo con i loro genitori sulla rotta della salvezza e della libertà, con l’illusione di una vita diversa, ai tanti torturati dalle incontinenze verbali e comportamentali nel diffuso e stucchevole buonismo e permissivismo della società attuale, frutto di una ideologia perversa e corruttrice. Questi bimbi celebriamo oggi, icona di innocenza, angeli di terra che ingrandiscono le file degli Angeli in cielo. P. Angelo Sardone

Desiderio e promessa

Una delle più famose profezie messianiche è quella proclamata da Natan al re David, su mandato esplicito del Signore. La storia racconta che il grande re d’Israele una volta stabilitosi a Gerusalemme si pose il problema della «Casa di Dio», la costruzione di un’abitazione nella quale poter collocare in maniera adeguata l’Arca dell’alleanza fino allora custodita sotto una tenda che migrava col cammino pellegrinante del popolo. In un primo tempo il profeta, consapevole della bontà del desiderio del re, lo esortò a mettere in pratica quanto aveva pensato. Ma a seguito di una rivelazione notturna di Jahwé e della relativa ingiunzione a riferire testualmente quanto ricevuto, Natan comunicò a Davide la volontà di Dio: sarà Egli stesso a costruirgli la casa. Ciò avverrà secoli dopo non con un manufatto edile sontuoso e degno del Signore, cosa che realizzerà Salomone suo figlio con la costruzione del tempio, ma attraverso un discendente il cui regno sarà stabile per sempre. La relazione tra Dio e questo promesso re sarà la medesima di un padre col figlio ed esprimerà il messianismo regale. Nella dinamica provvidenziale storico-teologica si innesta questa profezia basilare che circa mille anni prima annunzia la nascita di Cristo Salvatore come preannunziato dall’Angelo alla vergine Maria a Nazaret. I legami storici sono di puntuale attuazione del progetto divino di salvezza attraverso Gesù il cui nome significa «Dio salva». P. Angelo Sardone