Festa del Nome SS.mo di Gesù

«In nessun altro nome c’è salvezza» (At 4,12). L’autorevole affermazione di S. Pietro dinanzi ai capi, gli anziani, gli scribi ed il sommo sacerdote, Caifa a Gerusalemme, testimonia sin dagli inizi l’importanza teologica ed ecclesiale ed il saldo fondamento della fede nel Nome, cioè nella persona di Gesù Cristo, il Salvatore. Non solo Egli opera la salvezza, ma è la salvezza. Chiunque si accosta a Lui e vive di Lui, assapora già in terra il mistero della liberazione dal peccato e lo stato di grazia. Il nome di Gesù poi, secondo gli insegnamenti e l’esperienza di sant’Annibale Maria Di Francia, è garanzia di ascolto certo da parte di Dio Padre in ogni richiesta. Sul saldo fondamento evangelico di S. Giovanni, il santo canonico messinese fonda l’istituzione della novena di riparazione al Nome di Gesù e, il 31 gennaio, la grande Supplica all’Eterno Divin Genitore nel nome di Gesù. Ciò è cominciato nella sua Opera dal 1888 e tuttora permane nella sua validità e con l’impegno di tutti nelle diverse parti del mondo, essendo una delle devozioni “primarie”. Con 34 petizioni che richiamano gli anni della vita di Gesù, compresi i nove mesi nel grembo di Maria, e facendo memoria di quanto avvenuto, si presenta la gratitudine a Dio per l’anno trascorso, tutti i benefici ricevuti e la richiesta fiduciosa per il compimento di altri desideri ed opzioni. La presentazione della Supplica nello stesso orario, le ore 12.00, ed il coinvolgimento delle persone che ruotano attorno ai diversi Istituti maschili e femminili, parrocchie e santuari rogazionisti, testimonia la concordia e l’unità di intenti che rende feconda ed accolta ogni richiesta nella preghiera. Chi vuole può unirsi in sintonia spirituale. P. Angelo Sardone

Chiamati prima ancora di nascere

«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni» (Ger 1,5). Ogni chiamata del Signore, ogni vocazione, precede la stessa nascita del chiamato. Si tratta di un dono che Dio ha coltivato nel suo amore e nella pienezza dei suoi tempi rende manifesto a ciascuno. Quello del profeta Geremia è un esempio concreto. Nato ad Anatot presso Gerusalemme intorno al 645 a.C. spesso nel suo libro apre squarci autobiografici a cominciare dal racconto della sua chiamata come una vera e propria rivelazione da parte di Jahwé. Vive ed opera inizialmente in un tempo di pace segnato dalla cosiddetta “riforma di Giosia” (621). Il compito a lui affidato è quello di comunicare quanto il Signore gli rivela, senza avere paura, con la certezza di sapere che il Signore gli è sempre accanto, pronto a salvarlo da qualunque guerra potrà essere intentata contro di lui. Il mistero della chiamata, soprattutto quella di speciale consacrazione passa attraverso i parametri divini che superano la visuale umana a cominciare già dal tempo. Nel cuore di Dio è inscritto il nome di colui e di colei che nel suo amore gratuito vuole scegliere, eleggere per una missione. Ogni vocazione, soprattutto quella sacerdotale e di speciale consacrazione, trova il suo senso pieno, con il discernimento ed il dovuto accompagnamento, guardando al popolo di Dio. Nessuno vive per se stesso: anche la scelta del monachesimo, della clausura, come l’esercizio dei consigli evangelici nella vita attiva non si risolve nello spazio di un monastero, di un istituto religioso o di una casa canonica, ma negli spazi ben più ampi del mondo e dei cuori. P. Angelo Sardone.

Il peccato di Davide

«Tu sei quell’uomo!» (2Sam 12,7). La vicenda trionfale di Davide si scontra con il limite umano determinato dalla sua passione ingannatrice e dalla morsa del peccato nel quale cade vistosamente e la pianificazione sistematica del suo intervento omicida. Il fascino di una donna avvince il suo cuore: avrebbe potuto averne molte, ma sedotto dalla bellezza ha ripiegato su Betsabea, coniugata con Uria l’Ittita. La sua gravidanza lo mette nella condizione di agire disonestamente prendendosi poi le sue responsabilità. Le conseguenze sono drammatiche: pur essendo ligio al suo dovere di soldato ed avendo rifiutato tutte le subdole azioni del re che avrebbe voluto coinvolgerlo personalmente nella responsabilità del concepimento di suo figlio, il soldato Uria viene rinviato in battaglia, fatto mettere volutamente in prima fila per essere ucciso. Seppure si è sbarazzato di lui, il re non la fa franca perché il Signore gli manda il profeta Natan che lo svergogna e lo richiama alla sua terribile responsabilità. Attraverso l’espediente letterario della pecora sottratta da un re ad un povero che aveva in lei tutta la sua ricchezza ed i suoi affetti, il profeta smaschera Davide indignato per il comportamento autoritario del re della parabola, dicendogli apertamente che quel re è proprio lui ed il suo comportamento nei confronti di Uria è lo stesso di quello sciagurato re. Davide ammette: ha peccato, ma è sinceramente pentito. Il perdono del Signore lo avvince, ma non gli risparmia la giusta penitenza. Anche per il peccato più grave Dio concede il perdono quando uno è davvero pentito. P. Angelo Sardone

S. Tommaso d’Aquino sublime modello di santità e cultura teologica

«Il granello di senape cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto» (Mc 4, 31-32). Nella sua predicazione Gesù spesso fa ricorso ad immagini tratte dal mondo rurale, vicino e comprensibile al suo uditorio. Nella proclamazione del Regno e nell’attestazione della sua entità l’immagine diviene davvero efficace: il Regno, cioè la sua persona, l’annunzio del Vangelo, è una piccola realtà, come un minuscolo granello di senape. Quando cresce diviene un alberello sul quale possono posarsi anche gli uccelli. Il dovere di annunziare il Vangelo affidato agli apostoli è passato attraverso i secoli sulle spalle e nelle vite di uomini e donne, religiosi e laici, che nella semplicità, nella piccolezza e nel nascondimento hanno fatto fruttificare un bene così prezioso. Il domenicano S. Tommaso d’Aquino (1225-1274), uno dei massimi dottori della Chiesa, di una cultura enciclopedica ed una sistematicità di esposizione eccezionale, si pone in questa scia. La sua santità e le sue opere corpose sono un monumento filosofico e teologico di straordinario valore, mirabile compendio (Lui stessi ne definì alcune “Summae”), che sfida il tempo e condiziona tuttora lo scibile teologico. Pur indirizzato alla vocazione benedettina, dopo alcuni studi all’università di Napoli scelse egli stesso l’Ordine di S. Domenico. S. Alberto Magno che insegnava a Parigi e l’ebbe come alunno, comprese la sua enorme capacità ed il suo genio intellettuale. Preghiera, meditazione, studio incentrato in Gesù Cristo, insegnamento accademico, furono gli elementi che contraddistinsero fino in fondo la sua vita. Tutt’oggi si rimane sbalorditi dinanzi a tanta sapienza e santità di vita. P. Angelo Sardone

Davide e l’Arca dell’Alleanza

«La parola che hai pronunciato sul tuo servo e sulla sua casa confermala per sempre e fa’ come hai detto» (2Sam 7,25). Arso di zelo per il Signore e non volendo che di Dio presente nell’Arca avesse una dimora impari al suo palazzo reale, Davide annunzia al profeta Natan la sua intenzione di costruire una casa apposita per Dio invece della tenda. Il profeta appoggia l’idea, ma è Jahwé stesso a fargli comunicare solennemente che sarà Lui stesso a fare a Davide una casa, intesa come stabilità in un luogo, manifestazione della sua protezione, della sua paternità, la dinastia attraverso la quale verrà il Messia. Si tratta di una delle più grandi ed importanti profezie messianiche che attestano la discendenza davidica dalla quale nascerà Gesù. Attraverso il profeta, Dio dispiega agli occhi del re, in risposta al suo desiderio di dare stabilità all’Arca dell’Alleanza, il suo volere di dare stabilità al suo regno che troverà in Gesù Cristo l’espressione massima. Dinanzi a questa manifestazione Davide non può fare altro che gioire e la sua gioia diviene una intensa preghiera. Partendo dalla presa di coscienza della sua identità e facendo memoria del suo passato, della scelta di Dio e di tutte le azioni che Egli ha compiuto, il santo Re chiede a Dio di dare conferma a quanto ha detto e fatto, per sempre. È un bellissimo prototipo di preghiera al quale potersi ispirare quando ci si incontra con Dio e da Lui si ricevono istruzioni precise sul da farsi. Il desiderio dell’uomo si compie così nel confronto col desiderio di Dio che ha necessariamente il sopravvento per il bene stesso dell’uomo. P. Angelo Sardone