Pietro di ieri e Pietro di oggi

Mercoledì di Pasqua. «Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!» (At 3,6). Con l’autorità che gli veniva direttamente da Cristo e da Lui conferita prima della sua passione in un momento di grave difficoltà di coerenza, l’apostolo Pietro intìma allo storpio di Gerusalemme di alzarsi da terra e camminare. Le parole sono precedute da altre eloquenti, proclamate con grande coscienza rinnovata e potenziata dallo Spirito Santo appena ricevuto: «Guarda verso di noi!». Non si tratta evidentemente della persona di Pietro e Giovanni che si recavano al tempio, ma della loro assoluta trasparenza di Cristo risorto, il vivente, il Signore, l’unico che poteva operare un miracolo. Il coraggio tornato nelle viscere di quel pusillanime apostolo dagli sprazzi emotivi contraddittori, era il frutto del suo bagno salutare nel mistero della morte e risurrezione di Cristo che dal suo sepolcro aveva tirato fuori il pescatore di Galilea per farne il suo vicario in terra. Pietro di oggi si chiama Francesco: avrà tutti i limiti di questo mondo, ma è stato messo su quel soglio dallo stesso Spirito che ha operato duemila anni fa sul fratello di Andrea. Potrà dare fastidio a qualche altolocato ormai assuefatto alle porpore ed agli agi di una certa condizione, potrà essere di inciampo a qualche fanatico retrogrado dei fasti di fumi e di auto lussuose, potrà fare tenerezza per suo incedere claudicante, ma è lui, solo lui, la guida ed il pastore del popolo santo di Dio. E, in analogia, lo sono i vescovi ed i sacerdoti in comunione con lui. P. Angelo Sardone

Martedì di Pasqua: cosa dobbiamo fare?

Martedì di Pasqua. «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?» (At 2,37). È la domanda che sgorga spontanea dalla partecipazione viva e coinvolgente al mistero della Risurrezione di Gesù. I parametri essenziali sono collegati alla sua passione e morte che vanno rivissuti in maniera analoga nelle scelte di vita e nell’attuazione di un serio programma, ormai segnato dall’Alto. La risurrezione di Cristo implica necessariamente una vita nuova, la ricerca delle cose essenziali, il pensiero rivolto alle cose di lassù. La prima predicazione apostolica è fortemente caratterizzata da un inciso necessario ed efficace: «pentirsi dei propri peccati», innanzitutto. È indispensabile questa azione catartica, diversamente si rende vano ciò che si professa. Il salmo lo aveva previsto in questo senso, applicato direttamente a Gesù: «quale utilità ne verrà dal versamento del mio sangue?» (Sal 29,10) Il pentimento è indice di ripensamento e di affidamento. Pensando al male fatto si riconosce la grandezza dell’amore di Dio al quale ci si affida, rispondendo con una contrizione perfetta delle malefatte di ogni ordine e grado nella propria vita comportamentale, spirituale e morale. La conseguenza ed anche il modo concreto per adire a questa nuova stagione di vita è il Battesimo, cioè il tuffo nell’acqua della Misericordia di Dio che genera a sua volta la misericordia verso i propri simili. La Pasqua è passaggio che si attua concretamente con questi indispensabili elementi. Tutto il resto potrebbe essere facile retorica e consuetudine religiosa che non porta da nessuna parte. P. Angelo Sardone

Pasquetta, continuazione della Pasqua

Lunedì di Pasqua. «Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (At 2,24). La Pasqua è un giorno senza tramonto. Liturgicamente è la fonte da cui scaturiscono insieme con i giorni santi, tutti i giorni che compongono l’anno e che cantano la gloria di Dio ed il suo amore per gli uomini. Come nella mentalità e prassi ebraica, le grandi feste cristiane durano un’intera settimana. Ecco perché la Pasqua si prolunga nella sua ottava per i prossimi giorni che sono caratterizzati dalla stessa preghiera nella Liturgia delle ore, dalla proclamazione del “Gloria” nella S. Messa e da un particolare clima gioioso. L’intento è quello di sottolineare la grandezza e la centralità del mistero della risurrezione di Cristo, base stessa della fede cristiana che non avrebbe senso se non a partire da questo evento. La risurrezione è un fatto storico, verificato ed accertato prima di tutto dalla tomba vuota, dalle numerose apparizioni di Gesù e dalle annotazioni storico-teologiche degli evangelisti e dagli apostoli, i testimoni della risurrezione. Gesù ne aveva parlato esplicitamente diverse volte, anche se solamente dopo la Pentecoste cominciò ad essere oggetto di fede. Essa afferma la divinità di Gesù: la coglie la fede, non l’osservazione del fatto. La morte non fu in grado di tenere Cristo sotto il suo potere: il Padre lo ha risuscitato facendo in modo che portasse a termine il mistero della redenzione. Il risorto libera dal potere di Satana e dalla morte e trasferisce nel regno del Padre. Tradizionalmente questo giorno viene detto “pasquetta”, cioè prolungamento della Pasqua o “lunedì dell’Angelo”, perché si ricorda l’incontro dell’Angelo con le donne giunte al sepolcro di Gesù. P. Angelo Sardone

La Veglia di tutte le veglie

«La madre di tutte le veglie». Così il grande Agostino di Ippona definisce la veglia di Pasqua, nella quale si porta a compimento il cammino penitenziale della Quaresima. Attraverso la ricchezza della Parola e i riti esplicativi, viene significata la rinascita dell’uomo che prende piede e si realizza nella morte e risurrezione di Cristo. Questo mistero è immediatamente evocato dalla Liturgia con la benedizione e l’accensione del Cereo pasquale, il segno del Cristo risorto, introdotto nel buio della chiesa per illuminare coscienze e vite ed accenderle dalla luce che è Gesù. Il canto del «preconio pasquale» o «exultet» antichissimo inno pasquale davanti al cereo intronizzato, sancisce in forma poetica e teologica il senso della risurrezione di Cristo vissuta attraverso i segni sacramentali che richiamano la storia dell’esodo e la vera Pasqua. In Cristo e con Lui viene rivisitata la Scrittura veterotestamentaria (sette letture ad indicare la pienezza), soprattutto quella profetica, indispensabile prologo degli avvenimenti che, agganciati alla lezione catechetica di S. Paolo ai Romani ed al racconto evangelico, trovano compimento nell’oggi della storia e della Chiesa. La Risurrezione è un battesimo di luce nel mistero della morte di Cristo ed esemplificato dall’acqua che richiama il sacramento fontale della Chiesa e gli impegni da esso conseguenti che si rinnovano in forma solenne. Il cammino si esplica ulteriormente nella memoria della cena pasquale nella quale si mangia il corpo e si beve il sangue di Cristo, principio della nostra risurrezione. Buona e santa Pasqua. P. Angelo Sardone

Sabato santo

Sabato santo. Giorno della sosta, del silenzio e dell’attesa. Non si può comprendere il significato e la portata di questo giorno, fino a quando non si è sperimentata la morte di una persona cara e la veglia accanto ad un corpo esamine. Il grande silenzio si riempie di ricordi, di sentimenti, di rimpianti. Tornano alla mente parole, sensazioni, insegnamenti, ma tutto è fermo dinanzi al freddo di un corpo immobile, di una storia e di una vita che non ha ritorno. Per Gesù non fu così. Probabilmente i sentimenti di tutta la gente che lo amava e che lo aveva seguito sino alla fine, pur con paura, confusione e timore, nonostante fosse stata irrorata da una parola di verità più volte pronunziata dal Maestro, furono sopraffatti dall’incertezza e dalla poca fede che non faceva loro guardare oltre il grande masso di pietra rotolato all’imboccatura del sepolcro, perché nessuno lo violasse. Ma c’era chi in questo trambusto di pensieri andava covando non senza uno sconsiderato ardire, l’idea che in fondo tutto quello che era stato previsto dalla Scrittura e dai Profeti. Tutto ciò che il Messia aveva detto, si era sistematicamente realizzato. Con questo ardore ed un pizzico imprudenza si preparavano a recarsi al sepolcro. Erano le donne, quelle innamorate davvero di Gesù, coloro che avevano sperimentato in prima persona la ricchezza di un amore gratuito, senza compromessi, di assoluta misericordia. Nel silenzio e nella preghiera sostavano pensose e vivevano la «veglia del Signore» insieme con Maria, non sapendo che era lo stesso Gesù a vegliare su di loro «nel suo dormire della morte» (S. Cromazio). Silenzio. Vegliamo perché Cristo veglia su di noi e risveglia il bisogno di tornare a Lui con un cuore libero ed un animo purificato dalla grazia sacramentale della Penitenza. P. Angelo Sardone

Venerdì santo: la morte di Gesù

Venerdì santo. Giorno della morte di Gesù di Nazaret. Il criterio teologico ed evangelico dell’apostolo Giovanni colloca ed identifica nel venerdì santo la esaltazione di Cristo, facendola coincidere con la Pasqua ebraica. Sul Golgota con la morte in croce si compie il disegno del Padre: fare di Cristo il cuore del mondo. La solenne azione liturgica pur nella sobrietà e l’essenzialità dei segni, sostenuti dal vigore espressivo della Parola, si muove nel quadro drammatico del racconto e della celebrazione della Passione. Il Quarto Canto del Servo di Jahwé con toni acerbi che richiamano in forma cruenta l’identità di virgulto di radice in arida terra ed il mistero di torture psicologiche e fisiche inflitte al «servo», disprezzato, esperto del patire, conclude la presentazione di chi, umiliato, percosso da Dio si è addossato il peccato del mondo e con un sacrificio di riparazione, in pieno abbandono a Dio, è stato messo a morte. Gesù, il vero sommo sacerdote, col suo sacrificio causa il dono della misericordia e della grazia. Attraverso un assurdo ed ingiusto, processo sbattuto da una parte all’altra dalle autorità, sbeffeggiato dai soldati, tradito e rinnegato dai suoi, dopo uno straziante cammino con la croce, viene in essa confitto e dopo una lenta agonia muore. Nel suo nome ha senso ed efficacia la preghiera universale elevata al Padre e l’adorazione della croce che, mai, come in questo giorno, riverbera ed evoca la croce da cui ciascuno è afflitto: malattia, sofferenza, solitudine, delusione, povertà, guerra, morte. Non bastano e non servono più parole, anche quelle più auliche e confortanti, per descrivere il silenzio di tomba che però racchiude e nasconde gli albori della vita. P. Angelo Sardone

Giovedì santo

Giovedì santo, memoriale dell’Eucaristia e del Sacerdozio. Dall’abisso di un amore immenso, questi due sacramenti sono il «parto gemello del Cuore di Gesù» (S. Annibale M. Di Francia), la manifestazione più alta dell’interesse di Cristo per l’intera umanità. In questa maniera Egli ha voluto assicurare la sua presenza senza fine in mezzo agli uomini attraverso «la più grande di tutte le meraviglie, il documento mirabile del suo amore» (S. Tommaso d’Aquino), l’Eucaristia. E perché ciò potesse perpetuarsi nel tempo e nella storia, ha istituito il Sacerdozio, intimamente legato all’Eucaristia e ad essa riferito. Il memoriale di queste meraviglie operate dal Signore nel Cenacolo di Gerusalemme, si rinnova oggi in due momenti distinti e convergenti: la «Messa crismale» nella quale insieme con la benedizione degli olii, il vescovo si ritrova col suo presbiterio e rinnova l’impegno degli inviolabili vincoli sacerdotali che li uniscono a Dio ed al popolo loro affidato. In serata la «Messa della Cena del Signore» che rinnova i connotati essenziali dell’amore che passa attraverso la pedagogica umiliazione davanti agli apostoli col servizio della lavanda dei piedi ed il memoriale della Pasqua del Signore, che si rinnova perennemente nella Santa Eucaristia. È il giorno dei trionfi: l’Eucaristia donata, ricevuta in cibo, adorata nel corso della intera notte (e non il sepolcro), nel segno del pane transustanziato e la stola sacerdotale, segno dell’alto e misterioso ministero di amore e di oblazione affidato a poveri uomini trasformati ontologicamente per il servizio del popolo di Dio per tutto ciò che riguarda Dio. Noi sacerdoti siamo nati oggi. Se viene meno il sacerdozio, viene meno l’Eucaristia. Se non c’è l’Eucaristia non c’è la Chiesa. È tutta una conseguenza. Auguri a tutti i sacerdoti ed alla Chiesa che, come vera madre, ci ha generato. P. Angelo Sardone

Mercoledì santo

«Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Is 50,6). In maniera  sapiente la Liturgia della Chiesa nella celebrazione eucaristica dei tre giorni che precedono il Triduo Pasquale, proclama e propone alla riflessione i Canti del Servo di Jahwé, sintesi mirabile poetica e teologica del mistero della sofferenza che Cristo si è addossato. La salvezza dell’uomo è costata il sacrificio cruento del Figlio di Dio che, assumendo la condizione umana l’ha redento dal peccato. Il prezzo pagato è stato quello dell’oblazione, dell’inaudita ed atroce sofferenza che non si è consumata solo sul Calvario, ma è cominciata con altrettanta intensità nell’Orto degli ulivi. Il Terzo Canto del Servo, anche nella sua brevità compositiva, condensa in forma fortemente espressiva la struggente passione espressa in termini realistici di coinvolgente efficacia emotiva. L’intento è propriamente didattico e sapienziale. L’orecchio attento di chi ascolta è l’atteggiamento intelligente e saggio di chi vuol essere davvero discepolo. Le varie parti del corpo enarrate nella cruenta descrizione dall’autore sacro, evidenziano come nessuna componente somatica del corpo di Gesù è stata risparmiata nell’inspiegabile eccesso di violenza e crudeltà umana contro, in fondo, un innocente riconosciuto tale sia da Pilato che dagli astanti nel pretorio e sotto la croce. La flagellazione, gli sputi, segno evidente di disprezzo, gli insulti generosi e gli sberleffi a Lui rivolti non piegano affatto il malcapitato che è sorretto da Dio ed al contrario, da Lui viene reso forte, duro come una pietra. La drammatica sequenza della passione deve far pensare seriamente come ogni azione dei carnefici, ad ogni livello e in qualunque epoca storica, nei confronti di chiunque, soprattutto inerme ed innocente, è quell’azione che purtroppo anche oggi continua ad affliggere ed a far male al martoriato Gesù. Nella nostra diocesi di Matera-Irsina viene anticipata al tardo pomeriggio di oggi la «Messa crismale» nella quale noi sacerdoti rinnoveremo le promesse sacerdotali. P. Angelo Sardone