Ignazio, infuocato di Cristo

«Io non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo, prima, come del Greco» (Rom 1,16). L’incarico ricevuto direttamente da Cristo di proclamare il Vangelo, rese Paolo fermo nelle sue profonde affermazioni di fede, convinto e coraggioso testimone delle verità pronunziate dal Maestro, che sono via al cielo. Il suo impegno lo rese intrepido dinanzi alle numerose difficoltà di relazioni e rapporti con i suoi conterranei che non capivano il senso della sua risoluzione di vita, fino a subire accuse, condanne ed appellarsi a Cesare andando a Roma. Una sorte quasi analoga l’ebbe nel II secolo uno dei martiri più illustri, S. Ignazio, vescovo di Antiochia, la città più nota e popolosa della Siria. Lo scanno episcopale che fu per primo di Pietro apostolo, lo rese inviso ai romani dominatori che lo inviarono a Roma perché fosse sbranato dalle belve nel corso delle feste imperiali. Ignazio, il cui nome significa «fuoco, infuocato», non si sottrasse alla condanna, anzi rese produttivo il suo viaggio perché nel corso della navigazione e delle soste, scrisse sette lettere ai cristiani di allora appartenenti alle diverse Chiese, compresa quella di Roma. Si tratta di un prezioso tesoro di teologia e pastorale che, a partire dalla potenza del Vangelo, dichiara ed esplicita le verità evangeliche affidandole alla Chiesa primitiva che muoveva i suoi passi in diversi ambienti già irrorati e fortificati dal sangue di numerosi martiri. Nelle lettere si dichiara «Teoforo», cioè portatore di Dio. Il suo coraggio e la sua testimonianza è ancora oggi seme fruttifero per nuovi cristiani nel coraggio e nel l’impegno della divulgazione del Vangelo anche a costo della vita. P. Angelo Sardone