La stella dell’Emmanuele

«Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Nm 24,17).
Sono frequenti e poetiche le immagini di cui la Liturgia si serve, sulla base della Sacra Scrittura, per evidenziare l’importanza del tempo di Avvento, non solo come rievocazione del passato e della prima venuta nella carne di Gesù, il Salvatore, ma anche e soprattutto come «kairos», cioè tempo favorevole e di salvezza attuale. Deve essere somma l’attenzione da prestare all’ascolto ed alla lettura della simbologia biblica e liturgica. Uno degli elementi simbolici che caratterizzano il Natale e permettono una rilettura messianica, è la stella di cui fa menzione il Vangelo di Matteo. Ancora prima di lui ne parla il vaticinio del veggente Balaam, il quale nonostante sia definito «maestro di falsa dottrina» (2Pt 2,16), pronunzia oracoli di benedizione per Israele. La stella è l’assoluto in altezza al di sotto del trono di Jawhè ed il colmo dell’ambizione umana. Al di là della stella in quanto astro lucente, secondo gli esegeti, in particolare il card. Ravasi, la traduzione antica del frammento ebraico in lingua aramaica è: «Un re spunta da Giacobbe». La stella è dunque il re Messia che verrà e che l’Apocalisse definisce «stella radiosa del mattino» (Apc 22,16). Quanto è importante e formativa una lettura approfondita e non superficiale delle pagine bibliche per comprendere al meglio ciò che celebriamo ed il corredo apposto all’evento! La stella è dunque non solo l’astro che emette luce ed indica il cammino nella strada buia, ma anche e soprattutto Gesù Cristo che con la sua luce riscalda ed indica la via anche in pieno giorno. P. Angelo Sardone

Le cose passate e le cose nuove

«Se tu avessi prestato attenzione ai miei comandi!» (Is 48,18). La storia del popolo d’Israele, incredulo e tante volte ribelle, contiene ripetuti appelli del Signore al pentimento ed alla conversione che la letteratura biblica chiama «cose passate». Ora con un ennesimo oracolo il Signore annunzia «cose nuove», cioè la liberazione che sta per compiere e che darà onore al suo nome. Nonostante il cuore indurito e la dura cervice degli Ebrei, Dio non ha rigettato il suo popolo; più volte lo ha indotto a guardare indietro e ad osservare i comandi già ricevuti, considerando come il suo destino sarebbe stato molto diverso che avesse prestato attenzione e dato ascolto a quanto comunicato non in segreto, ma apertamente soprattutto attraverso i profeti. Infine l’affermazione perentoria di Dio: «Io ti insegno per il tuo bene e ti guido sulla strada giusta». L’ascolto della sua Parola e l’attenzione a tradurla nella pratica porterà tanto benessere materiale ed una progenie incalcolabile come la sabbia. La parola di speranza tipica dell’Avvento diviene chiara e luminosa constatazione della bontà di Dio che non si stanca mai e dell’indolenza propria dell’uomo che facilmente dimentica quanto ha ricevuto preferendo nascondersi dietro l’illusione momentanea e l’allettamento delle chimere e delle evanescenti meteore per vivere alla giornata e godere del tutto e subito. I cristiani sembrano non essere da meno dell’antico popolo di Israele, soprattutto quando non dimostrano un’ossatura adeguata di cuore e di vita ed hanno gli occhi tarpati che non consentono loro di vedere né indietro per rendersi conto di quanto di buono hanno ricevuto, né tanto meno in avanti per carpire i doni provvidenziali che Dio loro riserva. P. Angelo Sardone

Solennità dell’Immacolata

«Porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,15). Oggi si celebra la Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria. Sin dalle prime pagine della Scrittura, a seguito del peccato originale da parte di Adamo ed Eva, nella sua bontà misericordiosa Dio dispone la salvezza attraverso suo Figlio Gesù che nascerà da una donna. Ciò si definisce «protoevangelo», cioè primo annunzio del Vangelo. L’immagine biblica evoca l’eterna lotta che da allora in poi ci sarà tra Satana e la nuova Eva, la Vergine Maria che schiaccerà la testa al serpente, cioè il demonio. L’iconografia più comune dell’Immacolata rappresenta Maria di Nazaret proprio nell’atto di schiacciare la testa. Solo una donna resa da Dio Immacolata, cioè senza macchia alcuna di peccato sin dall’atto del suo concepimento in vista del Figlio, la «piena di grazia» (Lc 1,28), poteva generare l’autore della vita. Il singolare ed unico privilegio riservato alla più grande e bella creatura umana, che si tramuta in grande dono per l’intera umanità, scaturito dal primato assoluto di Cristo, fu difeso dal francescano il beato Giovanni Duns Scoto all’inizio del 1307. La Chiesa, con il beato Pio IX dopo secoli interi di acclarata venerazione per Maria sotto il titolo di Immacolata, l’8 dicembre 1854 con la bolla Ineffabilis Deus proclamò verità rivelata dall’alto e proposta a credere, il dogma dell’Immacolata Concezione. La conferma della veridicità di questa solenne affermazione venne dall’Alto quattro anni dopo a Lourdes, quando a Bernardetta Soubirous, adolescente assolutamente ignara della grandiosità dell’affermazione pontificia la Vergine dichiarò: «Io sono l’Immacolata Concezione». Auguri a tutte coloro che portano il bellissimo nome di Concetta e Immacolata. P. Angelo Sardone

S. Ambrogio, una grandezza incomparabile

«Quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,31). L’annuncio della liberazione evocato dall’inizio del Libro della Consolazione del secondo Isaia ben si accorda col periodo liturgico che, mentre esalta la grandezza divina, invita a guardare in alto per considerare l’Autore di ogni cosa che dà forza a chi è stanco e moltiplica il vigore a chi è spossato. In questa luce si delinea la testimonianza di santità e la valenza storica e teologica di S. Ambrogio di Treviri (340-397), dottore della Chiesa e vescovo di Milano, una delle personalità ecclesiali più grandi di tutti i tempi. Era governatore della Lombardia quando nel pubblico consesso che stava decidendo l’elezione del successore del vescovo milanese morto da poco, la voce di un bambino misteriosamente fece riecheggiare il suo nome e fu proprio lui a diventare vescovo della metropoli. La tabella di marcia della sua giornata era contrassegnata dalla disponibilità alla gente, dallo studio, la preghiera, dalla predicazione e dagli scritti, godendo la stima e l’amore di tutti, soprattutto i poveri. Ne rimasero conquistati anche Agostino di Ippona e sua madre Monica. «Teologo raffinato e cantore inesausto di Maria» (S. Giovanni Paolo II), difese la purezza della dottrina cristiana ed il primato del vescovo di Roma. Si deve a lui l’adagio: «Ubi Petrus, ibi Ecclesia», Dove c’è Pietro, lì c’è la Chiesa. Alla sua opera teologica viene fatto risalire il rito ambrosiano nella liturgia dell’arcidiocesi di Milano. La sua figura e l’eccelsa sua personalità, testimonia e dimostra la grandezza vera dell’intelligenza e del sapere cristiano messi a disposizione della causa dell’evangelizzazione. P. Angelo Sardone

San Nicola di Bari, ponte di santità e carità

«Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40,11). Il giornaliero accompagnamento liturgico del libro del profeta Isaia spazia dalla prima parte propriamente messianica ed in sintonia col periodo dell’Avvento, con la seconda che richiama la consolazione e la speranza. In particolare viene richiamata l’identità di Jahwé come pastore che pascola e raduna il suo gregge con una tenerezza straordinaria espressa dalle immagini del petto sul quale si riposano gli agnelli e dalla conduzione delle pecore madri. Non fu da meno la vita ed il ministero di uno dei santi più noti e venerati al mondo, S. Nicola di Bari (250-325) vescovo di Mira, nell’odierna Turchia, le cui reliquie trafugate nel 1087 e condotte a Bari, diedero origine non solo ad una bellissima ed imponente basilica, ma anche all’identità del Santo come ponte fra l’Oriente e l‘Occidente. Membro nel Concilio di Nicea e fermo nella condanna del prete scismatico Ario, è passato alla storia per l’esercizio straordinario della carità, già prima ancora di diventare vescovo. La Tradizione riferisce della sua generosità fornendo la dote a due ragazze che non potevano sposarsi e rischiavano di prostituirsi. Le tre palle con le quali è raffigurato nell’iconografia comune, richiamano tre sacchetti di denaro che il Santo aveva donato alle fanciulle per realizzare il loro sogno. Come anche la riserva di grano fatta concedere in soccorso ai suoi concittadini in tempo di carestia, la salvezza fatta accordare a tre innocenti destinati alla decapitazione e la riduzione delle tasse per gli abitanti di Mira. Sembra tutta storia d’oggi: la presenza e potenza taumaturgica del Santo continua nei confronti dei tantissimi sui devoti. Tanti portano il suo nome che significa «vincitore del popolo». A tutti loro, vivissimi auguri. P. Angelo Sardone

Mani fiacche e ginocchia vacillanti

888. «Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna;

porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40,11). Il giornaliero accompagnamento liturgico del libro del profeta Isaia spazia dalla prima parte propriamente messianica ed in sintonia col periodo dell’Avvento, con la seconda che richiama la consolazione e la speranza. In particolare viene richiamata l’identità di Jawhè come pastore che pascola e raduna il suo gregge con una tenerezza straordinaria espressa dalle immagini del petto sul quale si riposano gli agnelli e la conduzione delle pecore madri. Non fu da meno la vita ed il ministero di uno dei santi più noti e venerati al mondo, S. Nicola di Bari (250-325) vescovo di Mira, nell’odierna Turchia, le cui reliquie trafugate nel 1087 e condotte a Bari, diedero origine non solo ad una bellissima ed imponente basilica, ma anche all’identità del Santo come ponte fra l’Oriente e l‘Occidente. Membro nel Concilio di Nicea e fermo nella condanna del prete scismatico Ario, è passato alla storia per l’esercizio straordinario della carità, già prima ancora di diventare vescovo. La Tradizione riferisce della sua generosità fornendo la dote a due ragazze che non potevano sposarsi e rischiavano di prostituirsi. Le tre palle con le quali è raffigurato nell’iconografia comune, richiamano tre sacchetti di denaro che il Santo aveva donato alle fanciulle per realizzare il loro sogno. Come anche la riserva di grano fatta concedere in soccorso ai suoi concittadini in tempo di carestia, la salvezza fatta accordare a tre innocenti destinati alla decapitazione e la riduzione delle tasse per gli abitanti di Mira. Sembra tutta storia d’oggi: la presenza e potenza taumaturgica del Santo continua nei confronti dei tantissimi sui devoti. Tanti portano il suo nome che significa «vincitore del popolo». A tutti loro, vivissimi auguri. P. Angelo Sardone

Il germoglio di Davide

«Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore» (Is 11,1). Il grande Isaia proclama un poema messianico, delineando in maniera esauriente i connotati del discendente di Davide in un testo classico dell’Avvento. Partendo da Iesse, padre di Davide, capostipite della dinastia dei re, con un linguaggio simbolico, viene innanzitutto precisata l’origine umana del Messia, il tronco e le sue radici cui fanno riferimento il germoglio ed il virgulto. La maestosità dell’immagine evoca la storia sacra che nel popolo di Israele prese una nuova piega proprio con la dinastia davidica. Non per nulla Gesù nascerà a Betlemme, la città di Iesse, e Giuseppe, proveniente dalla sua discendenza, sarà il padre legale. Il Messia è dotato di uno spirito settiforme, lo stesso che guidò i patriarchi e dominò i profeti. Le sue caratteristiche sono la sapienza e l’intelligenza, il consiglio e la fortezza, la conoscenza ed il timore del Signore. Lo stesso Spirito gli conferirà le virtù più grandi dei suoi antenati esemplificate nell’elenco delle caratteristiche messianiche. Nella tradizione della Chiesa, che vi ha aggiunto la pietà, queste caratteristiche sono diventate i doni dello Spirito Santo conferiti al cristiano nel Battesimo ed in pienezza nel sacramento della Confermazione. Lo Spirito deve diventare dominante nella vita di ogni cristiano, messo fuori dall’ombra della non conoscenza e della dimenticanza, perché, come dono che scende dall’alto e procede dal Padre e dal Figlio, dirige la vita e la orienta al bene ed alla piena realizzazione. Nel mistero del Natale questa verità è evidenziata e dimostrata proprio da Gesù che da germoglio e virgulto diventerà tronco ed albero di vita, fino al mistero della croce. P. Angelo Sardone

Il grande missionario dell’era moderna

«Egli concederà la pioggia per il seme che avrai seminato nel terreno, e anche il pane, prodotto della terra, sarà abbondante e sostanzioso» (Is 30,23). Il Signore richiede sempre la fiducia in Lui invece della ricerca di un’alleanza straniera. Nella sua benevolenza Egli assicura la pioggia che irrora il seme nel terreno e dona il pane in maniera abbondante e sostanziosa. In questa verità si delinea la vita di S. Francesco Saverio (1506-1552) il più grande missionario dell’epoca moderna. Spagnolo di nascita fu dotato di straordinario ingegno; all’Università della Sorbona a Parigi conobbe S. Ignazio di Loyola e con lui strinse un fecondo rapporto di amicizia e condivisione fino al punto di seguirlo nella sua avventura carismatica insieme con altri studenti. Nacque così la Compagnia di Gesù. Dal suo Fondatore fu designato come missionario nelle Indie per le quali partì il 14 marzo 1540, quando aveva 35 anni, giungendo a destinazione dopo 13 mesi di navigazione e tanti stenti. Con un singolare metodo di apostolato condusse la predicazione del Cristianesimo: non aspettava che la gente andasse da lui, percorreva le strade invitando tutti a seguirlo in Chiesa, cantando le lezioni catechetiche adattate in versi, con un linguaggio comprensibile. Aprì così la porta all’evangelizzazione del Giappone rimanendovi due anni e nutrendo il desiderio di andare in Cina, cosa che si realizzerà dopo con l’italiano P. Matteo Ricci. Profondamente convinto della necessità della predicazione e della evangelizzazione di quelle terre e di quei popoli supplicò più volte il mondo culturale occidentale e gli studiosi delle università di tenere conto di questa esigenza. Arso di santo zelo della salvezza delle anime morì di polmonite ad appena 46 anni di età, consumato dalle eccezionali fatiche apostoliche. É una straordinaria figura che ancora oggi inquieta le coscienze. P. Angelo Sardone

La sordità dei morenti

«I sordi udranno in quel giorno le parole del libro; liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno» (Is 29,18). La serie di oracoli di Isaia si intreccia con diversi testi che annunciano sventura, salvezza, giudizi, promesse di salvezza. Nella logica dei rapporti con Dio sono proprio gli svantaggiati che, contrariamente ai potenti, godono della sua benevolenza perché a Lui si affidano. Per questo Dio stesso li libera dall’oscurità, dalle tenebre e dalla sordità perché possano udire, vedere ed agire rettamente. L’ascolto della Parola del Libro e la luce fulgente della fede sono i connotati propri dell’Avvento. La sordità e la cecità spesso derivano dal peccato e dalla chiusura di mente e di cuore dinanzi ai continui stimoli della grazia che vengono giornalmente dagli avvenimenti, dalla Liturgia, dalle necessità e dai bisogni sia spirituali che materiali. Tanti anni fa mons. Filippo Strofaldi musicò con note molto espressive un bellissimo testo di Bruno Forte, «A terra d’o cielo» tradotto dalla Leggenda dei Chassidim, i pii ebrei della diaspora. In esso un pellegrino era andato alla porta del cielo, la porta del mistero, da Dio per essere ascoltato, affermando di aver annunciato la sua Parola alla «sordità dei morenti» e di non essere stato ascoltato. La Voce di dietro la porta gli disse: «Torna indietro, qui non c’è ascolto: ho nascosto il mio ascolto nella sordità dei morenti». Quando la Parola si fa ascoltare dalle orecchie di un sordo e la luce della fede penetra gli occhi di un cieco, allora vuol dire che il Messia è arrivato o sta per giungere, lo stesso che proprio attraverso la sua Parola guida, protegge, illumina, sostiene e salva. P. Angelo Sardone

La confidenza nel Signore

«Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna» (Is 26,4). Una sezione del lungo libro del profeta Isaia, nella sua prima parte, è contrassegnato come «Apocalisse» e contiene due inni di ringraziamento. Uno di questi, inneggia a Gerusalemme, la città santa eretta da Dio con le sue mura alte come salvezza e rifugio per i giusti ed evoca l’amore saldo di Colui che assicura la pace. Il cammino di Avvento prospetta come meta il luogo dell’incontro con l’Emmanuele, il Dio con noi, nei luoghi santi nei quali si respira l’aria di Dio resa ancora più salubre dalla ricchezza del suo amore. La venuta del Signore nelle sembianze di un bimbo, rivissuta nel mistero del Natale come rievocazione della sua prima venuta nella carne, induce a superare gradualmente la tenuta di ciò che si vede ed attira l’attenzione (l’esemplificazione del presepe e di tutto ciò che ruota attorno) ed a puntare decisamente occhi e cuore su una considerazione più teologica ed essenziale, sostenuta dalla Liturgia di questi giorni, molto espressiva ed accattivante. È necessario il salto nella fede, non sempre facile, attraverso la conduzione sistematica e paziente e l’introduzione nella comprensione più adeguata dei testi sacri. Le emozioni di questa primissima fase si concentrano nell’accoglienza delle grandi verità è delle stimolazioni della Parola a confidare nel Signore la vera roccia dell’esistenza. Dio è davvero roccia di verità, base certa per la fondazione della propria vita con la sicurezza di andare su con l’assistenza ed il sostegno giornaliero del Creatore che guarda sempre con interesse la creatura e lo indirizza, già in questa vita, al gusto dell’infinito. P. Angelo Sardone