Elisabetta d’Ungheria, santa giovane

«Dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore» (Sap 13,5). Continuando la riflessione, quasi una sorta di processo all’idolatria e alla divinizzazione della natura, l’autore del Libro della Sapienza traccia una critica dell’idolatria sotto diverse forme: la divinizzazione degli astri e delle forze naturali, il culto degli idoli fabbricati dagli uomini, il culto degli animali. Ciò è fondamentalmente determinato dal vivere nell’ignoranza di Dio e nella cattiva sua ricerca, non potendo e non sapendo riconoscere l’artefice di tutto. Per il criterio dell’analogia dalla grandezza e bellezza delle creature, si risale e si conosce l’autore che è Dio. Di una bellezza straordinaria era S. Elisabetta d’Ungheria (1207-1231), di cui si celebra oggi la memoria liturgica. All’età di appena 14 anni andò sposa a Ludovico IV di Turingia (Germania) e divenne madre l’anno dopo. Aveva appena 20 anni quando rimase vedova con tre figli da amministrare, un maschietto e due bambine, l’ultima delle quali nata già orfana. La sua nuova condizione le impose la scelta di una modesta dimora a Marburgo dove fece costruire un ospedale, e di manifesta povertà. L’appartenenza al Terz’ordine francescano, la visita quotidiana agli ammalati, la scelta di vivere da mendicante, il compimento degli uffici più umili, contrassegnarono gli anni della sua breve esistenza. Un saggio confessore seguì il suo percorso cristiano e l’avanzamento nella virtù soprattutto della carità verso gli ammalati ed i poveri, come autentica «regina di carità». Per lei era normale questo tipo di apostolato con gesti esteriori per gli inferiori. Ammalatasi giovane chiuse santamente la sua vita ad appena 24 anni. I suoi meriti e la scelta della spiritualità francescana le valsero il titolo di Compatrona dell’Ordine Secolare Francescano. Auguri a tutte coloro che portano il nome di Elisabetta, perché sul suo esempio, possano esprimere l’attenzione e la cura verso gli ultimi a cominciare dai più vicini. P. Angelo Sardone