San Lorenzo: i poveri, la graticola, le stelle

«Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà» (2Cor 9,6). La seconda lettera di S. Paolo ai Corinti ha anche come obiettivo la realizzazione di una colletta per i poveri di Gerusalemme. Questa preoccupazione è stata ed è sempre viva nel cuore della Chiesa sulla base anche di quanto Gesù aveva affermato: «i poveri li avrete sempre con voi» (Mc 14,7). Dei poveri si era interessato nel suo ministero S. Lorenzo, diacono di Roma, del quale oggi celebriamo la memoria, messo a morte nel 258 dall’imperatore Valeriano. La sua importanza nella storia della Chiesa di Roma è analoga a quella di Stefano a Gerusalemme. Nato in Spagna,  nella città dell’Impero era diventato arcidiacono, il primo dei sette diaconi, e per ordine di papa Sisto II amministrava le attività caritative nell’intera diocesi, i beni e le offerte di quella Chiesa, provvedendo ai bisogni dei poveri, degli orfani, delle vedove e dei malati, che considerava i “veri tesori della Chiesa”. L’editto dell’imperatore che voleva accaparrarsi delle ricchezze della Chiesa, non lo risparmiò e morì arso sopra una graticola, come testimoniano S. Ambrogio e S. Leone Magno, bruciando fuori molto meno di quanto la carità di Cristo gli bruciasse dentro. Sulla sua tomba l’imperatore Costantino fece erigere la basilica omonima. Con larghezza egli raccolse quanto con altrettanta larghezza aveva seminato nell’espressione genuina della carità di Cristo che non è costituita da parole ma da fatti e verità. Le stelle cadenti nella notte di S. Lorenzo secondo una antica tradizione, simboleggiano le lacrime del Santo nel supplizio o i carboni ardenti sotto la graticola del suo martirio. Auguri a coloro che portano il nome di Lorenzo perché raccolgano con abbondanza da quanto largamente hanno seminato. P. Angelo Sardone

Edith Stein: filosofa, carmelitana e santa

«Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza» (Os 2,17). La parabola profetica di Osea è contrassegnata fortemente dall’immagine biblica della nuzialità. Essa manifesta il rapporto di amore di Dio col suo popolo e si esprime nel segno del matrimonio dello stesso profeta. Israele viene presentato come una sposa che alterna i momenti di entusiasmo alle infedeltà. Dio lo richiama costantemente alla bellezza ed all’intensità del primo amore, quello della giovinezza, quando è più facile rispondere. In questa vicenda simbolica si innesta la memoria liturgica odierna di S. Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein, 1891-1942) vergine e martire carmelitana, compatrona dell’Europa. Ebrea di ceppo tedesco, abbandona la fede e si rifugia nell’agnosticismo. Diviene filosofa seguendo la corrente fenomenologica di Edmund Husserl. Convertita al cristianesimo riceve il Battesimo, e realizza il suo ardente desiderio di divenire Carmelitana a Colonia in Germania. Qui cambia nome e vita. La lettura della vita di S. Teresa effettuata nel corso di una notte intera, la stravolge e la fa concentrare sul mistero della croce. In una delle deportazioni in massa ad opera della Gestapo, insieme con sua sorella Rosa viene prelevata e condotta al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dove il 9 agosto viene martirizzata nella camera a gas, quando ha appena cinquantuno anni di età. Il primo amore delle fede ebraica si concretizza, evolve e realizza pienamente nella fede cristiana impastata di sofferenza e della croce assunta simbolicamente anche nel nome all’atto della consacrazione. P. Angelo Sardone

S. Domenico parlava con Dio e parlava di Dio

«Fu sopra di lui la mano del Signore» (Ez 1,2). Anche il profeta Ezechiele in maniera concisa racconta la storia della sua vocazione, con una esemplificazione simbolica frutto di un incontro mistico e di una articolata visione di Dio. La percezione della gloria e la conseguente prostrazione con la faccia a terra dinanzi alla maestà divina, si concludono evidenziando la forza della mano di Dio che sovrasta la vita e l’opera del profeta. L’immagine e la sequenza biblica si collegano perfettamente allo spagnolo S. Domenico di Guzman (1170–1221), una sorta di patriarca della santità. L’ardente predicazione del vangelo e la difesa della fede cristiana lo tenne impegnato tutta la vita in una profonda conoscenza del mistero di Dio, con lo studio e le attività pastorali di annunzio. La fondazione dell’Ordine dei Frati Predicatori (1215) che da lui prende il nome di Domenicani, segnò uno dei punti di maggiore ricchezza per la Chiesa di tutti i tempi. L’intento spaziava dalla contemplazione di Gesù alla trasmissione del suo messaggio di salvezza contenuto nel Vangelo da lui incarnato. Socievolezza ed affabilità, assiduità nella veglia e nella preghiera, sobrietà, sono gli elementi   che lo contraddistinguono e spiegano come “Domenico parlava di Dio” nella predicazione e nell’insegnamento, perché “parlava con Dio nella preghiera”. I centri universitari di Europa ebbero i suoi figli appassionati di verità, profondi studiosi della teologia, devoti della Madonna e del Rosario, depositari di una santità che unisce la cultura e la mistica, il sapere ed il dovere cristiano. Auguri a tutti coloro che portano il nome di Domenico, Domenica, Mimmo o Mimma e derivati, perché esprimano nella vita ciò che esso significa: «sono del Signore».  P. Angelo Sardone

La Trasfigurazione di Gesù

«Ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo. Gli furono dati potere, gloria e regno; il suo potere è un potere eterno» (Dn 7,13-14). Il mistero della Trasfigurazione di Gesù è un avvenimento storico già previsto dal profeta Daniele nelle sue visioni notturne. Gli elementi che fanno da contorno all’avvenimento, puntualmente annotati dai vangeli sinottici e che si riferiscono a Gesù in una sorta di anticipo della sua gloria finale, sono già presenti nella profezia: uno simile a un Figlio d’uomo con la veste bianca come la neve e i capelli candidi come la lana. A Lui sono stati dati un potere eterno, la gloria ed il regno indistruttibile. Lo straordinario evento coinvolge gli occhi estasiati e le bocche ammutolite per tanta grandezza dei tre fidati apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Sono essi i testimoni oculari ed i vettori evangelizzanti di ciò che sarebbe stato di Gesù dopo la sua risurrezione. Lo splendore eccelso della gloria, contornato dalla presenza di Mosè ed Elia, la Legge ed i Profeti, dura poco ma si stampa nei cuori degli apostoli inebetiti di luce e fa nascere in loro l’ardita risoluzione di voler rimanere sempre lì incuranti di tutto e beatificati dalla visione. Qualunque esperienza sfolgorante di luce e di gloria sulla terra è destinata a durare poco ed esaurirsi: il luogo più opportuno non più per un’esperienza passeggera ma per la vita senza fine, è l’eternità, quando si vivrà immersi nella luce per diventare luce insieme con la Trinità. A maggior ragione quando si tratta di esperienze spirituali anche forti che, se non sono corredate da profondità, serietà e perseveranza, possono risultare evanescenti emozioni senza durata e senza frutto. P. Angelo Sardone

La Madonna della Neve

«Il Signore restaura il vanto di Giacobbe, rinnova il vanto d’Israele» (Na 2,1). Il minuscolo libretto di Naum, tre capitoli appena, ha come autore uno dei più grandi poeti d’Israele, difficilmente identificabile in un profeta. Egli non denuncia i peccati del popolo né lo minaccia, come invece fanno gli altri profeti. Lo scritto ruota attorno alla distruzione della città di Ninive ad opera dei Babilonesi e dei Medi intorno al 612 a.C. Giacobbe ed Israele sono sotto l’impulso restauratore di Dio che, sempre, compie meraviglie e sorprende con eventi straordinari ed eccezionali. Oggi si celebra la memoria liturgica devozionale di Sancta Maria ad Nives, la Madonna della Neve. Il titolo è legato all’evento straordinario e leggendario della caduta della neve in piena estate a Roma, a seguito della quale fu edificata sul colle Esquilino la basilica di S. Maria Maggiore, dopo il Concilio di Efeso (431) nel quale Maria era stata proclamata Madre di Dio, Theotokos. Il patrizio romano Giovanni e sua moglie, coniugi senza figli, vollero offrire i loro beni alla Vergine santa, per la costruzione di una chiesa a lei dedicata. La Madonna apparve loro in sogno la notte fra il 4 e il 5 agosto, indicando con una nevicata estemporanea in piena estate il luogo dove doveva sorgere l’edificio. La liturgia, più che la neve, celebra la dedicazione di S. Maria Maggiore. La bianca neve è simbolo di purezza, di rinascita e di trasformazione. Ogni 5 agosto il miracolo viene ricordato nella basilica romana con una pioggia di bianchi petali di rosa che cadono all’interno della cupola. P. Angelo Sardone

Il santo curato d’Ars, perla di sacerdote

«Tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato» (Ger 31,34). La particolare scrittura dell’alleanza di amore nel cuore dell’uomo secondo la logica di Jahwé ha come effetto immediato la conoscenza vera non limitata all’età dell’individuo, ed il perdono dei peccati. Quest’ultimo rientra nell’atto concreto del non-ricordo. Il riferimento biblico è la vetta spirituale della profezia di Geremia. Dalle antiche alleanze, a cominciare da quella con Noè nel segno dell’arcobaleno, con Abramo nel segno della circoncisione, con Mosè nel segno della Legge, Dio giunge ad un nuovo disegno di nuova luce: l’alleanza eterna. Le prospettive rimangono quelle antiche: fedeltà alla legge, presenza costante di Jahwé che assicura la pace e la prosperità materiale. Nel quadro storico della novità, l’alleanza proclamata attraverso il profeta si poggia su alcuni elementi: Dio perdona il peccato; l’uomo è pienamente responsabile di quello che fa e raccoglie la retribuzione delle sue azioni; la legge non è più solo un codice esterno ma un fattore interiore che con la grazia dello Spirito Santo fornisce all’uomo un cuore nuovo che lo rende capace di conoscere Dio. E’ una meravigliosa sintesi di un amore rinnovato, frutto di un’istruzione interiore che viene da Dio. Questo lo ha vissuto in prima persona S. Giovanni Maria Vianney (1786-1854), il santo curato d’Ars e l’ha insegnato col suo ministero di umile sacerdote, dalla cattedra di eloquenza del suo confessionale, a servizio sacramentale giornaliero ed estenuante di tutti, laici ed ecclesiastici, compreso cardinali e vescovi. P. Angelo Sardone

Ti ho amato di amore eterno

«Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine d’Israele» (Ger 31,3-4). Anche il libro di Geremia contiene una sezione detta “Libro della consolazione” di appena 2 capitoli, poetici e densi di grandi insegnamenti. Essi culminano nella promessa di Dio di realizzare ancora una volta l’alleanza, diversa da quella fatta coi Padri, perché scritta direttamente da Lui nel cuore. Il dialogo avviato col popolo ha i toni stupendi di una profonda relazione di amore, di un vincolo straordinario di affetto che oltrepassa la sua infedeltà, il facile scoraggiamento, l’adesione agli altri dei considerati come amanti. Il Dio del cielo è ricco di grazia e di perdono perché il suo amore non è passeggero come quello dell’uomo, calcolatore ed opportunista, anche negli ambiti più sacri dell’amicizia e del matrimonio. Il suo amore è eterno e ciò è la base della perseveranza che si traduce in accoglienza e perdono continuo. Il peccato distrugge perché riduce il tutto alla singola persona; alla preminenza di Dio sostituisce l’ancoraggio al proprio io. Ciò determina evanescenza, poco profitto, ricerca esasperata e continua di approvazioni e consensi, di un posto in cui collocarsi stabilmente, facendo seccare energie e doni e mettendo a dura prova la pazienza di tanti. I primi a pagarne le spese sono gli adulatori senza midollo col facile elogio del sensazionale quale ritorno psicologico, mentre in concreto manifestano inconsistenza e povertà spaventosa, umana, psicologica e spirituale. L’amore di Dio nella pura fedeltà e nella coerenza, porta tutti alla maturità vera. P. Angelo Sardone

Ave Signora degli Angeli

Anche senza una memoria liturgica propria, si celebra oggi la Madonna degli Angeli, uno dei titoli popolari e cari alla sensibilità religiosa dei cristiani. La diffusione di questa devozione si deve probabilmente ai Frati Francescani, a partire da S. Maria degli Angeli, una piccola chiesa presso Assisi (la Porziuncola) presso la quale S. Francesco dimorava per la sua “venerazione per gli Angeli ed il suo speciale amore per la Madre di Cristo” (S. Bonaventura). Proprio in questa chiesetta il santo pregò il Signore perché a tutti coloro che “pentiti e confessati, vengono a visitare questa chiesa, conceda ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe”. Il Signore concesse quanto era stato richiesto, subordinato però all’approvazione pontificia. Papa Onorio III confermò il tutto. Come si afferma nella tradizione francescana, il documento non scritto rimane da allora la Santissima Vergine Maria, il notaio Cristo, gli Angeli i testimoni. In base a ciò dal mezzogiorno del 1° agosto fino alla mezzanotte del 2, si può lucrare il “Perdono di Assisi” alle condizioni prescritte per l’acquisto delle sante indulgenze: confessione sacramentale, comunione eucaristica, recita del Credo e del Padre nostro, preghiera secondo le intenzioni del Papa, visita ad una chiesa o oratorio francescano o, in alternativa, ad una chiesa parrocchiale. Confessione e comunione possono essere fatte nell’arco di 8 giorni. Dalle mie parti nella giornata odierna festeggiano il loro onomastico le donne che portano il nome di Angela. Auguri vivissimi a tutte loro con una speciale protezione della Vergine, Regina degli Angeli. La sua presenza coronata di gloria e dai messaggeri celesti porti consolazione, sicurezza di vita e salute. P. Angelo Sardone

S. Alfonso, grande amante dell’Eucaristia e della Madonna

«Il profeta che profetizza la pace sarà riconosciuto come profeta mandato veramente dal Signore soltanto quando la sua parola si realizzerà» (Ger 28,9). Il conflitto non di interessi ma di formulazione dell’autentica verità si genera anche nei contesti religiosi. Dietro vaticini e profezie più o meno allettanti, si può nascondere la menzogna di persone non inviate da Dio, ma succubi di se stessi e del proprio orgoglio. E’ capitato a Geremia nei confronti di Anania, profeta di Gabaon che aveva illuso il popolo paventando il ripristino della libertà e del Tempio dopo la distruzione operata da Nabucodonosor. A seguito del diverbio Anania muore mentre Geremia continua il suo ministero: da vero profeta, richiamando la realtà del peccato, aveva profetato la sventura. Il testo biblico è proclamato oggi nella memoria del grande vescovo e dottore della Chiesa S. Alfonso M. de’ Liguori (1696-1787). Esperto di filosofia e diritto, avvocato di grido a Napoli, divenne sacerdote a 30 anni, lasciando il foro invischiato di falsità e corruzione per dedicarsi alla causa dei poveri dei quartieri bassi della città partenopea. Nelle missioni popolari fu per lui determinante l’incontro con i pastori della zona montagnosa di Amalfi, che, abbandonati umanamente e religiosamente a se stessi, necessitavano di formazione e guida spirituale. Con alcuni seguaci fondò la Congregazione del SS.mo Redentore, i Redentoristi, per dedicarsi alla predicazione, prediligendo il settore morale della teologia, per il quale ancora oggi è ricordato come maestro. I grandi amori per l’Eucaristia e la SS.ma Vergine Maria coronano la sua dottrina per la scia di seguaci innumerevoli anche santi. Dinanzi all’esasperante relativismo morale odierno, la sua testimonianza ed i suoi insegnamenti sono un sicuro punto di riferimento. P. Angelo Sardone