Edith Stein: filosofa, carmelitana e santa

«Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza» (Os 2,17). La parabola profetica di Osea è contrassegnata fortemente dall’immagine biblica della nuzialità. Essa manifesta il rapporto di amore di Dio col suo popolo e si esprime nel segno del matrimonio dello stesso profeta. Israele viene presentato come una sposa che alterna i momenti di entusiasmo alle infedeltà. Dio lo richiama costantemente alla bellezza ed all’intensità del primo amore, quello della giovinezza, quando è più facile rispondere. In questa vicenda simbolica si innesta la memoria liturgica odierna di S. Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein, 1891-1942) vergine e martire carmelitana, compatrona dell’Europa. Ebrea di ceppo tedesco, abbandona la fede e si rifugia nell’agnosticismo. Diviene filosofa seguendo la corrente fenomenologica di Edmund Husserl. Convertita al cristianesimo riceve il Battesimo, e realizza il suo ardente desiderio di divenire Carmelitana a Colonia in Germania. Qui cambia nome e vita. La lettura della vita di S. Teresa effettuata nel corso di una notte intera, la stravolge e la fa concentrare sul mistero della croce. In una delle deportazioni in massa ad opera della Gestapo, insieme con sua sorella Rosa viene prelevata e condotta al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dove il 9 agosto viene martirizzata nella camera a gas, quando ha appena cinquantuno anni di età. Il primo amore delle fede ebraica si concretizza, evolve e realizza pienamente nella fede cristiana impastata di sofferenza e della croce assunta simbolicamente anche nel nome all’atto della consacrazione. P. Angelo Sardone

S. Domenico parlava con Dio e parlava di Dio

«Fu sopra di lui la mano del Signore» (Ez 1,2). Anche il profeta Ezechiele in maniera concisa racconta la storia della sua vocazione, con una esemplificazione simbolica frutto di un incontro mistico e di una articolata visione di Dio. La percezione della gloria e la conseguente prostrazione con la faccia a terra dinanzi alla maestà divina, si concludono evidenziando la forza della mano di Dio che sovrasta la vita e l’opera del profeta. L’immagine e la sequenza biblica si collegano perfettamente allo spagnolo S. Domenico di Guzman (1170–1221), una sorta di patriarca della santità. L’ardente predicazione del vangelo e la difesa della fede cristiana lo tenne impegnato tutta la vita in una profonda conoscenza del mistero di Dio, con lo studio e le attività pastorali di annunzio. La fondazione dell’Ordine dei Frati Predicatori (1215) che da lui prende il nome di Domenicani, segnò uno dei punti di maggiore ricchezza per la Chiesa di tutti i tempi. L’intento spaziava dalla contemplazione di Gesù alla trasmissione del suo messaggio di salvezza contenuto nel Vangelo da lui incarnato. Socievolezza ed affabilità, assiduità nella veglia e nella preghiera, sobrietà, sono gli elementi   che lo contraddistinguono e spiegano come “Domenico parlava di Dio” nella predicazione e nell’insegnamento, perché “parlava con Dio nella preghiera”. I centri universitari di Europa ebbero i suoi figli appassionati di verità, profondi studiosi della teologia, devoti della Madonna e del Rosario, depositari di una santità che unisce la cultura e la mistica, il sapere ed il dovere cristiano. Auguri a tutti coloro che portano il nome di Domenico, Domenica, Mimmo o Mimma e derivati, perché esprimano nella vita ciò che esso significa: «sono del Signore».  P. Angelo Sardone