La donna: completezza dell’uomo

«Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta» (Gen 2,18.23). La creazione della donna è immediatamente successiva a quella dell’uomo. Dinanzi alla creatura che chiude la creazione Dio ha una forma di compiacimento: è cosa molto buona, ma non completa. Manca un aiuto che gli sia simile. E Dio lo trae dalla stessa radice dell’uomo come da un unico blocco di pietra dal quale viene fuori la scultura di due esseri, parte integrante della medesima roccia. L’uomo, Adamo, lo riconosce immediatamente. Svegliandosi dal sonno indotto da Dio, esclama: è carne dalla mia carne ed ossa dalle mie ossa, due realtà con la stessa radice. Il nome corrispondente non potrà essere che ishah, cioè donna, che altro non è che il femminile di ish, uomo. Il prosieguo del racconto specifica ulteriormente questa fondamentale unità quando parla del matrimonio: i due diverranno una sola carne. C’è una grandiosa ricchezza di immagini e concetti che spesso si ignorano o si banalizzano, senza comprendere la realtà del mistero che è sotteso alla creazione dell’uomo e della donna. Quest’ultima, nel corso della storia, ha subito forme diverse di antifemminismo, e forse anche oggi, nonostante l’emancipazione femminile, non gode ancora di tutta l’attenzione e la sacralità che le si deve per via della sua essenza e del suo ruolo interlocutorio accanto all’uomo e sua pienezza. In ultima analisi i tratti biblici esaltano la grandezza dell’uomo e della donna, inseriti nella più globale affermazione della grandezza di Dio che ha realizzato così uno straordinario progetto di amore. P. Angelo Sardone

L’uomo: terra e soffio di Dio

«Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). L’origine del mondo e dell’uomo sono raccontati nel libro della Genesi, il primo della Sacra Scrittura. I primi due capitoli sono dedicati alla creazione con due racconti combinati insieme che utilizzano tradizioni diverse. Tecnicamente, così come si studia nella introduzione alla Scrittura, il primo appartiene ad una fonte cosiddetta “elohista”, il secondo ad una altra detta “jahvista”. Quest’ultimo mette in luce la creazione dell’uomo distinta dalla creazione del mondo, ma che si completa con la creazione della donna, la prima coppia umana, e di seguito la caduta ed il castigo. L’uomo, come afferma il grande biblista card. Ravasi, è «il grande protagonista delle prime pagine bibliche, un essere solenne che porta in sé il sigillo di Dio». Polvere e soffio sono i due elementi che lo costituiscono come creatura ed essere vivente: la polvere (adamàh significa appunto fatto di polvere, anzi polvere egli stesso); il soffio, o spirito di Dio è determinante per la vita, la coscienza, la libertà: senza di esse non c’è vita ed esistenza. E’ sinonimo di animazione, insieme con la parola che dà l’essere e l’ordine alle cose. La persona umana è creata dunque a immagine di Dio, come un essere composto di corpo e di spirito. Dopo il peccato c’è sempre bisogno di un soffio nuovo che ri-anima, che dà nuovamente la vita. la sera stessa del giorno della sua risurrezione, giorno di Pasqua, Gesù appare ai discepoli riuniti nel Cenacolo e rinnova su di loro l’azione che Dio aveva compiuto su Adamo rendendolo creatura vivente: soffia sugli apostoli e dona loro lo Spirito Santo (Gv 20, 22). P. Angelo Sardone

L’eroismo della testimonianza

«Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo; siano fonti di luce nel firmamento del cielo per illuminare la terra» (Gen 1,14-15). La lettura liturgica della Sacra Scrittura permette nell’arco di tre anni, di avere un sunto articolato della Parola di Dio che, soprattutto nella S. Messa, diviene il nutrimento più genuino della vita del cristiano e, come primo pane, prepara a ricevere il cibo eucaristico. Il libro della Genesi, cioè dell’origine e del principio, si apre con la creazione che si sviluppa nell’arco di una settimana. La luce, il firmamento, la terra, il cielo preparano la creazione delle due maggiori fonti di luce, il sole e la luna. Esse regolano e governano il giorno e la notte. L’immagine del sole spesso si applica per analogia a Gesù vera luce di ogni tempo e di ogni luogo. Ma si applica anche all’esperienza ed alla testimonianza dei Santi che diventano autentiche luci e fonti di luce per coloro che vogliono seguire Cristo. La terra giapponese nel secolo XVI è stata illuminata da fonti aborigeni di luce cristiana che hanno permesso lo spandersi della fede con oltre duecentomila cristiani e lasciato tanta testimonianza di adesione ad essa, soprattutto con il martirio. È il caso di S. Paolo Miki e dei suoi compagni, 3 Gesuiti, 6 Francescani e 17 Terziari francescani, che subirono il martirio per la difesa della fede cristiana crocifissi su un’altura nei pressi di Nagasaki. Era un bravo predicatore, il migliore del suo tempo, che «mostrava il suo zelo più con i sentimenti affettuosi che con le parole». L’introduzione della fede avvenuta qualche anno prima ad opera di S. Francesco Saverio portava così i suoi frutti. P. Angelo Sardone

Liberatore del mal di gola e di qualunque altro male

«Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio. Considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede» (Eb 13,7). Le ultime raccomandazioni contenute nell’epilogo della Lettera agli Ebrei, si riferiscono all’amore fraterno, all’ospitalità ed al ricordo dei maltrattati, al senso del matrimonio ed al ricordo dei responsabili della comunità incaricati di annunciare la Parola e di dirigere in maniera adeguata la condotta dei cristiani. Tale fu con la sua testimonianza e l’epilogo della sua vita il martire S. Biagio, (IV sec.) vescovo di Sebaste in Armenia il cui culto è molto diffuso. Perché difendeva la fede cristiana fu catturato dai Romani, picchiato, scorticato vivo con pettini di ferro per cardare la lana ed infine fu decapitato. É uno dei quattordici cosiddetti santi ausiliatori, invocati cioè per la guarigione di mali particolari. Operò numerosi miracoli tra cui quello che lo rende famoso, ossia la guarigione di un bimbo al quale gli si era conficcata una lisca in gola. Per questo è invocato come liberatore del mal di gola. La tradizione poi ha confezionato una sorta di rito della benedizione della gola dei fedeli, impartita incrociando due candele benedette nella festa della Candelora con queste parole: «per intercessione di san Biagio vescovo e martire, il Signore ti liberi dal mal di gola e da qualunque altro male!». Non si tratta di un rito magico, ma di un sacramentale che al di là del gesto devozionale, vuole richiamare l’efficacia del ricorso alla grazia di Dio impartita dai sacramenti che liberano non solo la gola, ma tutto il corpo e la vita dai mali terribili inflitti dal peccato. Auguri a tutti coloro che portano il nome di Biagio. P. Angelo Sardone

Gesù presentato al tempio. Giornata mondiale della Vita consacrata.

«Entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire» (Ml 31,1). L’immagine del Precursore del Signore evocata dal profeta Malachia, identificato in Elia ed applicato da Matteo a Giovanni Battista, nuovo Elia, designa il Signore Gesù che oggi è celebrato nella Festa della sua Presentazione al Tempio di Gerusalemme. Ciò avviene a distanza di 40 giorni dalla celebrazione del Natale, secondo la consuetudine imposta dalla legge mosaica che prescriveva la purificazione rituale della madre dopo il parto ed il riscatto del figlio. La legge, riportata nel libro del Levitico, riteneva infatti impura la donna dopo il parto, 40 giorni se si trattava di un figlio maschio e 80 di una femmina. Terminato questo tempo doveva presentarsi al sacerdote per il rito espiatorio, sacrificando un agnello con un colombo o una tortora. Nel caso si trattasse di povera gente, bastavano due colombi e due tortore (Lv 12,1-8). Osservanti della legge, Giuseppe e Maria si recarono al Tempio per offrire il bambino Gesù al Signore ed attuare il suo riscatto. A Gerusalemme li accolsero il vegliardo Simeone quasi alla soglia della morte e la profetessa Anna anch’essa molto avanzata in età. Entrambi pronunziarono oracoli sul Bambino. In particolare Simeone, prendendolo tra le braccia, lo esaltò come «luce per illuminare le genti, gloria del popolo Israele». L’ingresso di Gesù al Tempio che evoca il suo incontro con Dio Padre, nella tradizione cristiana orientale era detto «ipapante», cioè «incontro». In quella occidentale, a partire dal secolo VI, fu caratterizzata dalla benedizione delle candele, portate accese nella processione penitenziale in onore di Cristo «luce che illumina le genti» (Lc 2, 32), donde poi il nome di Candelora. P. Angelo Sardone

Il Nome al di sopra di ogni altro nome

«Perché nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi» (Fil 2,10). Nell’Opera rogazionista oggi si celebra la festa interna del Nome SS.mo di Gesù, preparata dall’omonima novena col senso della riparazione dei peccati. La sconfitta del maligno, infatti, avviene attraverso la preghiera e l’adorazione eucaristica, primo atteggiamento dell’uomo nei confronti del Nome di Gesù: «ogni ginocchio si pieghi sulla terra, nei cieli e sottoterra ed ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore» (Fil 2, 10-11). Nella Storia e nella Spiritualità rogazionista questa devozione ha una importanza primaria e, secondo il pensiero di S. Annibale M. Di Francia, non deve mai scemare: si celebra la centralità della persona di Cristo nella vita dell’Opera e dei suoi componenti. Costituisce inoltre una singolare eredità lasciata dal santo Fondatore che aveva composto le apposite preghiere e i secondi quattro versi con carattere riparatorio, aggiunti alle strofe già esistenti. Il Nome di Gesù, egli diceva, «non vuol dire le quattro lettere che lo compongono, ma Gesù Cristo Incarnato che nasce, cresce, muore e risorge per la salute del mondo. Vuol dire Gesù Cristo nella sua divina persona, nella sua celeste dottrina, nelle opere mirabilissime del suo amore… Pronunziare il Nome di Gesù vuol dire richiamare al pensiero tutti i misteri del suo amore, della sua sapienza, della carità del suo dolcissimo amore» (Di Francia, Scritti, 52, 161). Il 1888 S. Annibale istituì la pratica della Supplica all’Eterno Divin Genitore, da presentare nel nome di Gesù, il 31 gennaio, alla medesima ora, le 12.00, in tutte le Case sparse ora nelle diverse parti del mondo. La supplica è costituita da 34 petizioni che si riferiscono all’intera vita di Cristo e riassumono in forma originale anno per anno e con una descrizione narrativa, la storia dell’Opera Rogazionista, le sue vicende, attraverso la lode, il rendimento di grazie e la richiesta di aiuti e favori celesti. Tutto questo intende accrescere la fede nella potenza del Nome di Gesù e ad accendere ancor più l’amore per sua persona, partecipando con la preghiera e l’adorazione alla sua opera di redenzione e di salvezza. P. Angelo Sardone

Gli apostoli di oggi

«Alcuni furono lapidati, torturati, tagliati in due, uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati. Di loro il mondo non era degno!» (Eb 11,37). La tradizione ebrea e cristiana si vanta di una moltitudine di testimoni che incitano a correre in avanti con perseveranza e che hanno dato manifestazione concreta di fede certa e matura. A partire da Abramo fino a Mosè, dai patriarchi fino ai profeti, l’autore della lettera agli Ebrei, enumera personaggi biblici di grande rilievo esaltandone il valore primordiale della fede. Ed inoltre tanti anonimi, uomini e donne che proprio con l’arma della fede sconfissero il fuoco, la spada. Altri invece subirono insulti e flagelli e furono vittime di catene e prigionia. Altri ancora furono lapidati, torturati tagliati in due. Ed infine coloro che andarono raminghi vestiti di pelli di capra e di pecora, bisognosi e tribolati. Di tutti questi il giudizio è perentorio: il mondo non ne era degno! Mi viene da pensare alle testimonianze attuali di fede vera e concreta che non sempre è conosciuta ai più, ma che genera forte attrattiva, stupore ed encomi quando viene resa nota magari all’atto della morte. In questi ultimi giorni è stata eclatante in tal senso la morte del palermitano fra Biagio Conte, il quale pur non essendo un religioso in quanto tale, è stato riconosciuto come il Francesco d’Assisi dei tempi moderni. Col suo immancabile sorriso, la croce spoglia ed i piedi scalzi ha percorso chilometri di strada per testimoniare l’amore di Dio verso i poveri, essendosi fatto egli stesso povero e morendo nella povertà estrema proprio come l’assisiate. Di questi testimoni di fede il mondo d’oggi ha bisogno, non di chiacchiere ed obsoleta retorica da sagrestia! P. Angelo Sardone

Capitolo Provincia Italia Centro Sud/1

«Cristo è mediatore di un’alleanza nuova, perché coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa» (Eb 9,15). CP23/1. Perché i partecipanti affrontino con responsabilità e coscienza il loro impegno, il Capitolo Provinciale si apre oggi con una mezza giornata di preghiera e riflessione e la celebrazione eucaristica, presieduta dal Superiore Generale. Il Capitolo provvidenzialmente coincide con la novena al Nome SS.mo di Gesù, in preparazione alla Grande Supplica del 31 gennaio, una delle date più importanti per la storia e spiritualità rogazionista. Le sedute giornaliere, oltre che dalla preghiera e dalla celebrazione eucaristica, sono disciplinate da un apposito Regolamento. Nel pomeriggio nell’aula magna si dà il via ai lavori capitolari. Viene costituito il Consiglio di Presidenza formato dal Superiore Generale e da due Moderatori eletti dall’assemblea. Si eleggono due Scrutatori, in genere i più giovani partecipanti ed il Segretario capitolare che avrà il compito di verbalizzare ogni cosa. Terminate le formalità giuridiche iniziali, il Superiore Provinciale uscente legge una fedele relazione sullo Stato personale e disciplinare della Provincia da lui preparata e controfirmata dal suo Consiglio. Essa contiene un’analisi complessiva della vita e dell’opera della Provincia negli ultimi 4 anni nei diversi settori di apostolato (vita religiosa e formazione ad ogni livello, animazione vocazionale, Rogate, servizio socio-educativo, parrocchie e santuari, servizio dei poveri, servizio missionario) con la presentazione di quanto è stato fatto, l’indicazione di luci ed ombre e l’enunciato di possibili soluzioni dei problemi che riguardano l’apostolato carismatico, le persone e le cose. L’eredità consegnata da Cristo è prima di tutto la fraternità e la condivisione. P. Angelo Sardone

Sant’Agnese la martire ragazzina

«Egli entrò una volta per sempre nel santuario in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna» (Eb 9,12). Il sacrificio dell’Antica legge prevedeva un cerimoniale particolare, luoghi e persone stabilite per la sua realizzazione. Il santuario sta per tabernacolo, il cosiddetto «Santo». Oltre questo vi era poi il «Santo dei Santi», nel quale entrava il sommo sacerdote una volta l’anno per l’offerta del sacrificio per sé e per il popolo. Cristo è entrato in virtù del suo sangue per offrire una volta per sempre il suo sacrificio redentivo ed espiatorio dei peccati. Col versamento del suo sangue è entrata nel tempio vivo dei Santi, Agnese, una illustre dodicenne romana martirizzata nel IV secolo. Il suo nome significa «agnella». Aveva offerto a Dio la verginità del suo corpo e ciò fu il motivo per il quale il figlio del Prefetto di Roma, invaghito di lei la denunciò come cristiana. Affrontò i diversi tormenti del martirio: fu esposta nuda, gettata nel fuoco, ed infine fu trafitta con una spada proprio come si fa con gli agnelli, nel 304 sotto Diocleziano. Nella giornata odierna in Vaticano si benedicono gli agnelli offerti al papa. Dalla loro lana sarà tessuto il pallio, una striscia circolare con pendenti anteriore e posteriore, ornata di sei crocette e di frange nere che si posa sulle spalle e che il 29 giugno viene consegnata agli arcivescovi metropoliti. Si tratta di un’insegna di diritto che il papa conferisce loro perché la indossino nei pontificali a simboleggiare la loro unione al sommo pontefice. Auguri a tutte coloro che portano il nome di Agnese. P. Angelo Sardone

Sacerdozio di Cristo e sacerdozio dell’uomo

«Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli» (Eb 7,26). Al contrario del sacerdozio davidico che presentava incompletezze proprio perché soggetto alla legge ed era umano e temporaneo, il sacerdozio di Cristo si identifica con la stessa persona di Cristo. Si riveste pertanto di connotazioni uniche ed esclusive: innanzitutto è un sacerdozio eterno e non trasmissibile; salva coloro che si avvicinano a Dio perché, proprio per il suo compito di salvatore, Egli vive per sempre ed intercede per ciascuno in maniera efficace. Tutto questo è determinato da un settenario di caratteristiche proprie: santo, staccato da tutto ciò che non porta a Dio; innocente come una pecora muta che va incontro alla morte; senza macchia, cioè puro ed immacolato; separato dai peccatori perché tutt’altra cosa che il peccato; innalzato nei cieli più alti; offerente e vittima insieme; perfetto per l’eternità. È semplicemente grandiosa questa casistica teologica. Con essa deve misurarsi ogni giorno il sacerdote che esercita il suo ministero «in persona Christi capitis», reso partecipe realmente del sacerdozio di Cristo. Avverte il senso della profonda amicizia che gode da parte di Gesù («vi ho chiamato amici») che permette a lui di agire ed operare nel suo nome. Partecipa inoltre al triplice munus Christi, cioè alla triplice potestà: santificatrice, magisteriale e pastorale dello stesso Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa, per condure verso la santità il popolo di Dio. La santità della sua vita personale diventa testimonianza ed impulso alla santità degli altri, attraverso un processo di evangelizzazione che lo caratterizza e definisce come ministro di Cristo e della Chiesa. P. Angelo Sardone