Venerdì della Via Crucis

«Mi cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie» (Is 58,2). L’itinerario della Quaresima nella tradizione e nella pietà cristiana è segnato da una forte esperienza spirituale ed emotiva: la Via Crucis, la via della croce. Essa permette di ripercorrere insieme con Gesù, sulla scorta della Parola di Dio, l’ultimo cammino che Egli fece dall’orto degli ulivi, fino al luogo della crocifissione ed al sepolcro. Questa via è segnata dal sangue, dalla fatica, dall’atroce sofferenza, dal silenzio, dalla preghiera. Un oracolo postesilico del terzo Isaia sembra richiamare questo percorso che, in vista della morte di Cristo segnò il suo cammino conclusivo per il compimento della volontà di Dio nel mistero della morte. Il Signore Dio lo fa gridare ad alta voce perché tutti sentano e vedano. La Liturgia lo pone in sincronia con il digiuno accetto a Dio scevro dalle formalità esteriori ed espresso nella concretezza della carità verso gli altri. Nella pietà popolare questo cammino si interfaccia con la «via della croce» nella contemplazione e nella meditazione profonda della sofferenza di cui è pervasa ognuna delle quattordici stazioni convenzionali, fissate nel tempo come tappe significative storico-teologiche di analogo percorso dell’uomo sulla terra. San Leonardo da Porto Maurizio (1676-1751) fu un convinto ed efficace propagatore e missionario della Via Crucis: eresse personalmente 572 Via Crucis, delle quali è celebre quella eretta al Colosseo di Roma. Questo pio esercizio è uno dei più amati nella venerazione della Passione del Signore. P. Angelo Sardone

La vita e la morte, il bene ed il male

«Ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza» (Dt 30,19). Il cammino della Quaresima viene immediatamente segnato dalla proposta di una scelta: la vita per vivere. Il supporto di questa indicazione viene dal quinto libro della Bibbia, il Deuteronomio, che chiude il Pentateuco. Il terzo grande discorso di Mosè, quasi alla fine del libro, contiene precetti ed indicazioni di alto valore, frutto della maturità di rapporto intimo e fedele con Dio e dell’esperienza di guida del popolo. Tutto ciò che viene proposto proviene da Dio e dalla sua sollecitudine continua verso l’uomo, identificato nel popolo che ha attraversato il deserto e le molteplici difficoltà dell’esodo, ed ora è alle porte della Terra promessa. Il Dio di Israele è il dio del bene e non può non volere che il bene del popolo. Ecco perché gli pone innanzi la scelta impegnativa: il bene o il male, la vita e la morte. Dal momento che è Dio di bene e di vita gli chiede di scegliere la vita. Quante volte nell’esistenza umana siamo posti dinanzi ad un bivio dove occorre scegliere se andare da una parte o dall’altra. Lo stimolo interiore della coscienza, orientata al bene, alla vita, alla gioia, spinge a sceglierli. La confusione derivante dal peccato e dalla corruzione indotta dal male, spinge a scegliere il perfetto contrario, il male, la morte. La vita di grazia orientata dalla presenza di Cristo, stimola al bene mettendo dinanzi agli occhi i vantaggi che ne derivano. Con la benedizione del Signore la vita va avanti ed i benefici che si traggono sono molto superiori degli ostacoli che si incontrano. Il tutto si riversa con abbondanza sulla persona e sulla discendenza che gode della grazia che sana, purifica, rinnova. L’itinerario quaresimale ha questo scopo: delineare con chiarezza il bene ed eludere qualunque propensione ed orientamento al male. Ma questo ha un costo: un impegno serio e generoso nell’ascolto della Parola e nella decisione ferma di guardare ed andare avanti. P. Angelo Sardone

Mercoledì delle ceneri

«Suonate il corno in Sion, proclamate un solenne digiuno, convocate una riunione sacra» (Gl 2,15). Oggi comincia la Quaresima n tempo particolare di penitenza. Il termine è la traduzione italiana del latino «quadraginta», cioè quaranta giorni, il periodo di tempo che va dal mercoledì delle ceneri fino al giovedì santo. L’inizio di questi giorni è specificato dal simbolo delle Ceneri, un rito austero che contraddistingue la Liturgia odierna. Il gesto giunge dall’antica ritualità con la quale coloro che si erano convertiti ed i peccatori, si sottoponevano alla penitenza canonica e si coprivano di cenere. La Chiesa ha conservato questo rito nella sua Liturgia perché, aldilà del segno esteriore che manifesta fragilità, mortalità e finitezza, esprime un atteggiamento interiore del cuore penitente che si incammina più docilmente alla grazia verso la Pasqua del Signore. L’animo si orienta verso ciò che conta davvero ed in un itinerario di penitenza e di opere buone, realizza il forte richiamo alla conversione. Le ceneri che si ricavano dalla combustione dei rami di ulivo adoperati l’anno prima nella celebrazione delle Palme, sono imposte sul capo e richiamano anche coi termini liturgici usati, la caducità della vita: «ricordati che sei polvere e polvere tornerai»! La sacra riunione, proprio come delineato dalla scrittura profetica di Gioele, sulla scorta delle indicazioni di Gesù, raccomanda la preghiera, il digiuno e le opere di carità perché si possa realizzare una sincera revisione della vita alla luce degli insegnamenti del Vangelo ed una vera e duratura conversione. Oggi è giornata di astinenza e digiuno. Buon cammino di Quaresima. P. Angelo Sardone

La tentazione sempre in agguato

«Figlio, se ti presenti per servire il Signore, resta saldo nella giustizia e nel timore, prepàrati alla tentazione» (Sir 2,1). Nella prima raccolta di sentenze riportate all’inizio del libro del Siracide, dopo aver sommariamente descritto l’origine della sapienza ed indicati nel timore di Dio, nella pazienza e nel controllo di sé le modalità opportune per accostarsi a Dio e servirlo, l’autore dà un secco avvertimento: se hai deciso di servire il Signore, preparati alla prova. Si tratta di un tema frequente nella Scrittura che viene ripreso soprattutto nei Salmi. Giustizia e timore sono due parametri entro i quali può includersi la vita di ogni giorno nella sua rettitudine e nell’inevitabile timore del rapporto con Dio. Tentazioni e tribolazioni talora sembrano essere pane quotidiano per chi segue il Signore, ma certamente suonano pesanti per chi voglia intraprendere un serio cammino di sequela di Cristo nell’itinerario di perfezione. Questa comunque è la logica di Dio che prepara alla gloria attraverso la prova. Un saggio detto degli antichi suona «per crucem ad lucem»: alla gloria della luce si giunge solo dopo aver assaporato il peso e la durezza della croce. Per tanti cristiani una condizione ed una situazione del genere costituisce estrema difficoltà, dinanzi alle partite del mondo che, al contrario, prospetta cose completamente opposte in divertimenti, agevolazioni, liceità, sicurezza di vita. Il mondo di Dio non è il paese dei balocchi dove tutto è facile, tutto è possibile: non si seminano nella terra monete ma opere di bene. Il salmo lo ricorda in forma perentoria ed assicurante: «nell’andare si va e si piange portando la semente da gettare: nel tornare si viene con giubilo portando i propri covoni» (Sal 125,6). P. Angelo Sardone

Sapienza di Dio e saggezza dell’uomo

«Fonte della sapienza è la parola di Dio nei cieli, le sue vie sono i comandamenti eterni» (Sir 1,5). Il concetto di sapienza è di grande estensione e varietà a seconda che lo si consideri dal punto di vista filosofico e teologico. I manuali più comuni la definiscono «possesso di profonda scienza e dottrina», cioè abilità tecnica, conoscenza razionale, capacità di distinguere il bene e il male, il lecito e l’illecito. Aristotele, uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi la definisce «scienza delle realtà che sono più degne di pregio, coronata dall’intelligenza dei supremi principi», quindi la più perfetta tra le scienze. Nel mondo israelita la sapienza è pratica, è abilità nell’agire. Il grande teologo S. Tommaso d’Aquino, rifacendosi alla definizione di Aristotele intende la sapienza come somma virtù conoscitiva che Dio dona agli uomini attraverso la grazia, così che possono conoscere quelle verità alle quali prima potevano accostarsi soltanto per mezzo della fede. Una sezione cospicua della Sacra Scrittura, viene detta sapienziale ed è costituita da cinque libri, uno dei quali è il Siracide o Ecclesiastico. Presentano strette somiglianze con opere analoghe di popoli vicini. La sapienza biblica non contiene una sapienza filosofica, si raggiunge col consiglio e l’istruzione, è donata da Dio, si manifesta nella creazione ed è anche conoscenza di come fare le cose. Nei testi sacri compare come una somma di raccolte e detti sapienziali che intendono rifarsi a Salomone, il re sapiente per eccellenza. Al di là di ogni conoscenza ed investigazione filosofica, letteraria e teologica, rimane il fatto che per i cristiani la sapienza personificata è Cristo e la fonte della sapienza è la Parola di Dio. P. Angelo Sardone

Santità: il desiderio di Dio per l’uomo

«Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 19,2). Il tema della santità permea l’intera Sacra Scrittura. Non può essere diversamente dal momento che il rapporto fondamentale dell’uomo, della natura, degli esseri viventi è con Dio, il tre volte santo. Nella etimologia più semplice ed essenziale il termine santo significa staccato. Non si tratta di un elemento o di un segno di superiorità ma di una realtà di perfezione verso cui tendere, soprattutto dopo l’esperienza del peccato che ha reso l’uomo imperfetto in tutto. L’intento di Dio nella creazione e soprattutto nel rapporto personale con gli uomini, è quello di far tendere ogni cosa alla sublimità ed alla perfezione, una tensione contrastata dalla natura umana decaduta a causa del peccato. Ecco il motivo per il quale Dio stesso tramite il legislatore Mosè comunica al suo popolo il dovere di essere santi motivando chiaramente la richiesta col fatto che Lui per primo è santo. Gli elementi che determinano come una strada da percorrere per raggiungere la santità, sono i comportamenti sociali dominati dal comando dell’amore del prossimo ed in particolare le relazioni di amore, di accoglienza e di perdono. Ciò nella logica di Dio comporta la libertà del cuore dall’odio, dal rimprovero aperto per non caricarsi della responsabilità del suo peccato, la fuga della vendetta e del rancore. Il tema fu abbracciato concretamente da Cristo nel suo progetto di vita e comunicato col suo insegnamento ed il suo esempio. Tocca anche a noi metterlo in pratica. P. Angelo Sardone

I santi sette fondatori

«Questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile» (Gen 11,6). Anche dopo l’alleanza con Dio, il nuovo popolo sorto a seguito della ripopolazione della terra postdiluviana, ha mire orgogliose ed egocentriche: non gli basta la terra, vuole raggiungere il cielo. Secondo l’immagine biblica lo fa con la costruzione di una città e di una torre che vuole sfidare i cieli e raggiungerli con la sua altezza vertiginosa. Dinanzi a questo progetto che allontana l’uomo dalla verità e dalla sua fragilità, Dio pur consapevole della capacità megalomane dell’uomo di realizzare la sua opera ardita, interviene seminando confusione, confondendo le lingue e disperdendo gli uomini sulla terra. La città prototipo di ardore umano con la pretesa di scalare il cielo viene denominata Babele, il cui significato è confusione e «porta del Dio». Al contrario, nella città di Firenze nel secolo XIII un gruppo di uomini si accorda per mettersi a servizio di Dio in penitenza e contemplazione nel nome della Vergine Maria. Sono tutti benestanti, vestono un saio nero e scelgono il monte Senario come luogo per la realizzazione del loro progetto. Sono i sette santi Fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria: Bonfiglio Monaldi, Bonagiunta Manetti, Manetto dell’Antella, Amadio Amidei, Sostegno Sostegni, Uguccione Uguccioni, Alessio Falconieri. Le vocazioni si moltiplicano celermente. L’ultimo di loro muore a 110 anni di età. Riposano tutti in un’unica tomba, presso il Santuario del Monte Senario. La confusione determinata dall’orgoglio di essere come Dio e raggiungere le vette celesti, viene confutata dall’umiltà di calpestare la terra e vivere il servizio a Dio ed alla Vergine Maria. P. Angelo Sardone

Festa della lingua di S. Antonio

«Noè aspettò altri sette giorni, poi lasciò andare la colomba; essa non tornò più da lui» (Gen 8,12). La prova della definitiva conclusione dello straordinario e delittuoso evento del diluvio e del prosciugamento dell’acqua il patriarca Noè l’ebbe attraverso la colomba. La fece uscire dall’arca tempo dopo il corvo che era rientrato non avendo possibilità di posarsi su nulla, ma tornò per le medesime difficoltà. Sette giorni dopo, a seguito della perlustrazione sulla terra tornò con un ramoscello fresco di ulivo nel becco. Sette altri giorni dopo non rientrò più. Era il segno evidente del prosciugamento delle acque. La Genesi che non è un libro di geografia, annota che la pioggia era scesa per quaranta giorni e quaranta notti e l’intero diluvio era durato un anno e 11 giorni (Gen 7,11. 8,14); le acque erano salite per 150 giorni e scese per altri 150 giorni. Si era trattato di una vera catastrofe cosmica. Nel Vecchio Testamento la colomba che è spesso nominata come uccello sacrificale per la purificazione delle impurità e l’offerta del nazireo acquista un valore simbolico richiamato nei Salmi, nei Profeti e nel Cantico dei Cantici. Nel Nuovo Testamento è il simbolo dell’ingenuità e dell’innocenza ed ancor di più, diviene il segno visibile dello Spirito Santo. I primi Padri della Chiesa l’associarono al Battesimo e più tardi, nelle rappresentazioni pittoriche dell’Annunciazione, del mistero della Trinità ed in genere nell’iconografia cristiana, allo Spirito Santo. In alcune chiese, la custodia eucaristica è metallica, appesa al di sopra dell’altare ed a forma di colomba (il columbarium). Il simbolo della colomba è anche uno dei segni della Pasqua. Oggi si celebra la festa invernale di S. Antonio di Padova in occasione della traslazione delle sue reliquie (1263), meglio conosciuta come “festa della lingua di Sant’Antonio”: nella prima ricognizione la lingua del santo taumaturgo fu trovata incorrotta ed è tuttora conservata nella basilica a Padova. P. Angelo Sardone

San Valentino

«I pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero» (At 13,49). I primi tempi del Cristianesimo sono caratterizzati dalla diffusione capillare della Parola di Dio veicolata dalla testimonianza ardita ed eroica di numerosi uomini e donne che, sull’esempio degli Apostoli, si facevano banditori del messaggio di salvezza tra i pagani. Coloro che l’accoglievano divenivano portatori di gioia; quelli che la rigettavano procuravano un numero interminabile di martiri. Tra questi se ne distingue uno che gode di particolare ricordo e venerazione nella giornata odierna: S. Valentino, del III-IV secolo, vescovo di Terni. La nota e fondamentale sua caratteristica fu la santità di vita, per la carità, l’umiltà, ed uno zelante apostolato tra la gente che gli meritò da Dio il dono dei miracoli. Il suo patronato sui fidanzati ha come fondamenta varie ed inconsistenti leggende come quella di far fare pace alle coppie pregando su di loro, donando una rosa, e di propiziare l’unione matrimoniale di un pagano con una donna cristiana. Ormai da tempo su questa ricorrenza è intervenuta una sproporzionata commercializzazione consumistica che poco ha a che fare col sacro, anche se, come in altri casi, la memoria liturgica può diventare l’occasione per aiutare i fidanzati, gli innamorati a prendere coscienza della sacralità, dell’importanza e della serietà del sacramento del matrimonio cristiano, frutto dell’impegno di persone mature. Amarsi e progettare di vivere insieme nel matrimonio è una vera e propria arte, un lavoro di artigiani pazienti, intelligenti, che vanno fino in fondo e vogliono essere perseveranti nell’amore e nella reciproca accoglienza. Auguri a tutti coloro che portano il nome del santo ternano. P. Angelo Sardone