Benedizione e maledizione per l’uomo

«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo. Benedetto l’uomo che confida nel Signore ed il Signore è la sua fiducia» (Ger 17,5). Tra i profeti scrittori, la Bibbia annovera Geremia, nato intorno al 650 a.C. da una famiglia sacerdotale a Gerusalemme. I suoi racconti biografici redatti in terza persona delineano il suo carattere, la sua personalità, i suoi insegnamenti. Vive in un periodo molto delicato e duro che lo prepara alla disfatta di Gerusalemme. Il suo libro è costituito da 52 capitoli ed è uno dei più lunghi della Sacra Scrittura. Tra le diverse sentenze di saggezza ne figura una che pone in antitesi la benedizione e la maledizione non come concetti ma incarnati nella persona dell’uomo. I concetti teologici del bene e del male e delle conseguenti ripercussioni sulla natura umana sono disseminati nel testo sacro. È di vero effetto emotivo il riferimento all’uomo che è maledetto se confida nell’uomo ed è invece benedetto se confida in Dio ponendo in Lui la sua fiducia. Benedizione e maledizione a confronto ed in dialettica continua nella vita umana, sono presentate come le manifestazioni più evidenti dell’agire dell’uomo sulla terra combattuto tra il bene ed il male. Sta di fatto che nella vita pratica chi confida nell’uomo è colui che confida nella ricchezza, nelle sue capacità, è superbo ed arrogante. La confidenza errata porta l’uomo all’allontanamento da Dio, all’aridità della propria vita e quindi alla maledizione. Al contrario, la fiducia riposta in Dio dà all’uomo la garanzia non solo di essere da Lui conosciuto, ma anche e soprattutto sostenuto per non incorrere nella morte spirituale e materiale. P. Angelo Sardone

Donna sei tanto grande e tanto vali!

«Il Signore Dio formò con la costola che aveva tolta all’uomo una donna e la condusse all’uomo» (Gen 2,22). Sin dalle prime pagine della Genesi, cioè le origini del mondo, la donna è protagonista con l’uomo delle vicende della vita e dei suoi rapporti con Dio. Secondo la narrazione biblica, ella compare nel mondo accanto all’uomo con l’espressione figurata della sua origine dalla sua costola, ad indicare il profondo rapporto che esiste con lui. Tratta dall’uomo, è condotta all’uomo che la riconosce come parte integrante dalla sua carne (la fragilità) e dalle sue ossa (la consistenza), realtà che si intersecano e passano dall’uno all’altra. Il suo stesso nome ishsha, donna, è il femminile di ish, uomo, quasi a dire «uoma», la medesima realtà, al maschile l’uno ed al femminile l’altra. Queste verità sono profondamente incise nella realtà umana e nella vera e completa considerazione dell’identità, del valore e del ruolo della donna nel contesto della famiglia e nella società civile ed ecclesiale di ogni tempo. La sua presenza accanto all’uomo è complementare, né superiore né inferiore, ma uguale. Il Talmud, uno dei testi sacri dell’Ebraismo, noto come insegnamento e frequentemente citato a proposito, mette in guardia dal non «far piangere la donna, perché poi Dio conta le sue lacrime!». La storia registra purtroppo ancora oggi lagrime abbondanti dovute alla violenza da lei subita, al mancato riconoscimento della sua identità e della preziosità accanto all’uomo in tutti i settori della vita. Grazie donna per quello che sei: figlia, sorella, madre, nonna, amica, consacrata a Dio. Grazie per quello che vali, per le tue parole e i tuoi silenzi, la tua fatica ed il nascondimento, la tua dolcezza ed il pudore, la tua delicatezza e la tua forza. Auguri a tutte le donne, nell’annuale celebrazione della loro festa. P. Angelo Sardone

La preghiera multiforme

«Signore Dio, grande e tremendo, fedele all’alleanza, benevolo abbiamo peccato e abbiamo operato da malvagi e da empi, siamo stati ribelli» (Dn 9,4-5). Spesso nella Bibbia la preghiera non è solo invocazione, supplica o lode, ma anche richiesta di perdono e propiziazione. È assolutamente vero quando si dice che nella Sacra Scrittura si trovano le più belle preghiere che ruotano ed evidenziano le molteplici situazioni umane. Nel caso del profeta Daniele e della preghiera riportata nel capitolo 9 del suo libro, si tratta di una invocazione fiduciosa, umile con profonde reminiscenze bibliche che l’accostano ad altre come quella di Azaria ed ispira l’altra di Baruc. Digiuno, veste di sacco e cenere sono gli elementi base entro i quali si colloca la preghiera. Dopo la constatazione dell’identità di Dio grande e tremendo, fedele all’alleanza, benevolo verso tutti coloro che lo amano ed osservano i comandamenti, il profeta ammette il peccato suo e della sua gente, l’allontanamento dalla legge, la disobbedienza ai profeti, suoi porta-parole. Nel contempo distingue la giustizia che appartiene a Dio e la vergogna che è propria di chi ammette il proprio peccato e si pente. Benevolenza e misericordia si addicono a Dio e sono complementari alla giustizia e verità. Il Vangelo questo insegna e ribadisce: alla fedeltà di Dio deve corrispondere la fedeltà dell’uomo. La ribellione dell’uomo partendo da quella di Adamo ed Eva deve essere superata dall’accoglienza umile del potere di Dio che prima di ogni cosa verte sull’amore e sulla giustizia. Questo non bisogna dimenticarlo mai. P. Angelo Sardone

Abramo, un uomo obbediente

«Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore» (Gen 12,4). È questo l’epilogo sintetico di ciò che solitamente si definisce la «chiamata di Abramo». La fine del capitolo 11 del libro della Genesi, è preceduta da un sommario generazionale che menziona le origini di Terach, padre di tre figli, Abramo, Nacor ed Aran, che vivevano nella terra di Ur dei Caldei. Qui era morto Aran, padre di Lot. Nacor aveva preso in moglie Milca, figlia anch’essa di Aran e dunque sua nipote, mentre Abramo aveva sposato Sarai che era sterile. Terach colpito dalla duplice sventura, la morte del figlio e la sterilità della nuora, partì da Ur dei Caldei portando con sé Abramo, la moglie Sarai e suo nipote Lot e si diresse verso la terra di Canaan. A metà del tragitto, si stabilì a Carran, un luogo che ricorda il nome del figlio morto, Aran. Proprio in questa terra Dio chiama Abram e con un perentorio comando gli ordina di andarsene dalla casa di suo padre e dalla sua parentela verso una terra a lui sconosciuta che egli stesso gli indicherà. Insieme con il comando vi è l’assicurazione di una benedizione particolare che gli concederà perché possa diventare lui stesso una benedizione per gli altri e per tutte le famiglie della terra, rendendo grande il suo nome e numerosa la sua progenie. Abram obbedì e partì, proprio come gli aveva ordinato il Signore. La vocazione di Abramo è divenuta nel corso del tempo il prototipo della risposta alla chiamata di Dio, ed indicata in un cammino di discernimento come icona cui ispirarsi. La fiducia del grande Patriarca si evidenzia già da ora come un completo abbandono nelle mani di Dio che gli rivelerà a passi graduali la grandezza del suo amore. P. Angelo Sardone

Il secondo comandamento

«Amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore» (Lv 19,18). Tra le prescrizioni morali riportate nel Levitico nella sezione detta «Legge di santità», vi è quella dell’amore per il prossimo. Gesù nella predicazione del Vangelo riprende l’enunciato e definisce questo amore il secondo comandamento che insieme con il primo, l’amore totalitario per Dio, esprime tutta la Torah ed i profeti. S. Giacomo nella sua lettera omonima lo definirà «il più importante dei comandamenti secondo la Scrittura» (Gc 2,8). Etimologicamente prossimo è il superlativo del latino prope che significa vicino, e significa dunque vicinissimo. Nella mentalità biblica il termine «prossimo» che indica l’idea di associazione, non deve essere confuso con «fratello» al quale si è legato con relazione naturale, anche se spesso corrisponde. Secondo questo criterio il prossimo da amare sono gli altri, siano o no fratelli; sono coloro che si incontrano, indipendentemente da una relazione di parentela. L’amore per il prossimo significa e si realizza nel rispetto per l’altro che può essere diverso nei molteplici campi di relazioni umane e punti di vista culturali, di costume sociale, colore della pelle, nazionalità. Il rispetto umano diventa accoglienza, talora amicizia, debita considerazione, amore. Nella logica di Cristo questo amore diventa anche eroico quando si tratta di amare il nemico. Si tratti comunque di amico o di nemico il prossimo deve diventare davvero l’altro, chiunque sia, l’altro che si trasforma in un “io”, cioè che diventa come te stesso. Il precetto di amare il prossimo, appartenente già alla filosofia dell’antica Grecia, ha una legge aurea insegnata da Gesù Cristo: «non fare ad altri ciò che non vuoi sia fatto a te» (Mt 7,12). P. Angelo Sardone

Il rifiuto di Dio: ripiego eoistico

«Prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò» (Gen 3,6). L’itinerario penitenziale della Quaresima attraverso la Liturgia fa percorrere un cammino di rilettura della storia sacra alla luce di una riflessione più profonda sul senso della vita, della morte, del peccato e della grazia. Il libro della Genesi apre non solo dal punto di vista letterario, ma soprattutto da quello spirituale e teologico, la prospettiva della salvezza promessa da Dio immediatamente dopo la colpa originale commessa dall’uomo e dalla donna, travolti dalla bramosia di diventare come Dio, allettati dalla menzogna del serpente. Il testo sacro costituisce l’indicazione precisa di una situazione di disordine che diviene poi di disagio agli occhi di Dio. C’erano tutte le possibilità di vivere tranquilli in un continuo rapporto con il Creatore, lusingati della sua amicizia e della familiarità con la quale egli stesso passeggiava nel giardino. L’adescamento diabolico induce la donna a stravolgere il piano di felicità riservato alle creature umane. Prende il frutto, lo mangia e lo offre all’uomo. In poco tempo si consuma il rifiuto dell’obbedienza al Creatore, vittime inconsapevoli di un futuro irto di difficoltà, stenti, fatiche, sofferenza e morte. La proibizione era una messa alla prova per testare fedeltà ed obbedienza. La rivolta angelica che aveva già determinato nella creazione il disordine ed il rifiuto di Dio volendosi mettere alla pari, non risparmia la debole se pur intelligente volontà dell’uomo e della donna, trascinati maldestramente dal desiderio del potere come da dio. La storia continua nell’oggi dell’umanità sempre più confusa perché disobbediente alla legge di Dio e soprattutto al suo amore che vuole il bene, incita al bene e riserva, nonostante la giusta condanna, la redenzione attraverso il suo Figlio. P. Angelo Sardone

L’arido diventa florido

«Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato» (Is 58,11). Il cammino liturgico si stabilisce in analogia ai grandi misteri della vita di Cristo ed alla vita stessa dell’uomo che scorre nelle varie sue vicende. La Quaresima è davvero un tempo favorevole non solo in prospettiva della passione, morte e risurrezione di Cristo, ma anche nella presa di coscienza della propria vita segnata da contraddizioni e propensioni al bene come al male. L’itinerario penitenziale diviene fruttuoso nella misura in cui ci si lascia guidare e condurre da Dio. L’esperienza biblica lo conferma attraverso le scritture profetiche che soprattutto in questo periodo liturgico suonano come una grande opera che rende ciascuno coprotagonista. La situazione della vita dell’uomo sulla terra è passata dalla condizione paradisiaca del benessere materiale, spirituale e fisico, alla precarietà determinata dal peccato che ha generato egoismo, sopraffazione, invidia, malattia e morte. Tante volte l’esistenza si riduce ad una spaventosa aridità nonostante il benessere. La dimensione fisica risente fortemente dei condizionamenti climatici, ambientali, nutritivi. L’intervento costante e sistematico della grazia di Dio che non abbandona i suoi figli è garanzia di promessa e di futuro certo. L’immagine simbolica del giardino florido, delle ginocchia rinvigorite e del terreno arido irrigato dalle acque salutari, fotografa la realtà della vita dell’uomo e la proietta in dimensione escatologica verso un futuro illuminato da Dio e redento dal suo amore. P. Angelo Sardone

Venerdì della Via Crucis

«Mi cercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie» (Is 58,2). L’itinerario della Quaresima nella tradizione e nella pietà cristiana è segnato da una forte esperienza spirituale ed emotiva: la Via Crucis, la via della croce. Essa permette di ripercorrere insieme con Gesù, sulla scorta della Parola di Dio, l’ultimo cammino che Egli fece dall’orto degli ulivi, fino al luogo della crocifissione ed al sepolcro. Questa via è segnata dal sangue, dalla fatica, dall’atroce sofferenza, dal silenzio, dalla preghiera. Un oracolo postesilico del terzo Isaia sembra richiamare questo percorso che, in vista della morte di Cristo segnò il suo cammino conclusivo per il compimento della volontà di Dio nel mistero della morte. Il Signore Dio lo fa gridare ad alta voce perché tutti sentano e vedano. La Liturgia lo pone in sincronia con il digiuno accetto a Dio scevro dalle formalità esteriori ed espresso nella concretezza della carità verso gli altri. Nella pietà popolare questo cammino si interfaccia con la «via della croce» nella contemplazione e nella meditazione profonda della sofferenza di cui è pervasa ognuna delle quattordici stazioni convenzionali, fissate nel tempo come tappe significative storico-teologiche di analogo percorso dell’uomo sulla terra. San Leonardo da Porto Maurizio (1676-1751) fu un convinto ed efficace propagatore e missionario della Via Crucis: eresse personalmente 572 Via Crucis, delle quali è celebre quella eretta al Colosseo di Roma. Questo pio esercizio è uno dei più amati nella venerazione della Passione del Signore. P. Angelo Sardone

La vita e la morte, il bene ed il male

«Ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza» (Dt 30,19). Il cammino della Quaresima viene immediatamente segnato dalla proposta di una scelta: la vita per vivere. Il supporto di questa indicazione viene dal quinto libro della Bibbia, il Deuteronomio, che chiude il Pentateuco. Il terzo grande discorso di Mosè, quasi alla fine del libro, contiene precetti ed indicazioni di alto valore, frutto della maturità di rapporto intimo e fedele con Dio e dell’esperienza di guida del popolo. Tutto ciò che viene proposto proviene da Dio e dalla sua sollecitudine continua verso l’uomo, identificato nel popolo che ha attraversato il deserto e le molteplici difficoltà dell’esodo, ed ora è alle porte della Terra promessa. Il Dio di Israele è il dio del bene e non può non volere che il bene del popolo. Ecco perché gli pone innanzi la scelta impegnativa: il bene o il male, la vita e la morte. Dal momento che è Dio di bene e di vita gli chiede di scegliere la vita. Quante volte nell’esistenza umana siamo posti dinanzi ad un bivio dove occorre scegliere se andare da una parte o dall’altra. Lo stimolo interiore della coscienza, orientata al bene, alla vita, alla gioia, spinge a sceglierli. La confusione derivante dal peccato e dalla corruzione indotta dal male, spinge a scegliere il perfetto contrario, il male, la morte. La vita di grazia orientata dalla presenza di Cristo, stimola al bene mettendo dinanzi agli occhi i vantaggi che ne derivano. Con la benedizione del Signore la vita va avanti ed i benefici che si traggono sono molto superiori degli ostacoli che si incontrano. Il tutto si riversa con abbondanza sulla persona e sulla discendenza che gode della grazia che sana, purifica, rinnova. L’itinerario quaresimale ha questo scopo: delineare con chiarezza il bene ed eludere qualunque propensione ed orientamento al male. Ma questo ha un costo: un impegno serio e generoso nell’ascolto della Parola e nella decisione ferma di guardare ed andare avanti. P. Angelo Sardone

Mercoledì delle ceneri

«Suonate il corno in Sion, proclamate un solenne digiuno, convocate una riunione sacra» (Gl 2,15). Oggi comincia la Quaresima n tempo particolare di penitenza. Il termine è la traduzione italiana del latino «quadraginta», cioè quaranta giorni, il periodo di tempo che va dal mercoledì delle ceneri fino al giovedì santo. L’inizio di questi giorni è specificato dal simbolo delle Ceneri, un rito austero che contraddistingue la Liturgia odierna. Il gesto giunge dall’antica ritualità con la quale coloro che si erano convertiti ed i peccatori, si sottoponevano alla penitenza canonica e si coprivano di cenere. La Chiesa ha conservato questo rito nella sua Liturgia perché, aldilà del segno esteriore che manifesta fragilità, mortalità e finitezza, esprime un atteggiamento interiore del cuore penitente che si incammina più docilmente alla grazia verso la Pasqua del Signore. L’animo si orienta verso ciò che conta davvero ed in un itinerario di penitenza e di opere buone, realizza il forte richiamo alla conversione. Le ceneri che si ricavano dalla combustione dei rami di ulivo adoperati l’anno prima nella celebrazione delle Palme, sono imposte sul capo e richiamano anche coi termini liturgici usati, la caducità della vita: «ricordati che sei polvere e polvere tornerai»! La sacra riunione, proprio come delineato dalla scrittura profetica di Gioele, sulla scorta delle indicazioni di Gesù, raccomanda la preghiera, il digiuno e le opere di carità perché si possa realizzare una sincera revisione della vita alla luce degli insegnamenti del Vangelo ed una vera e duratura conversione. Oggi è giornata di astinenza e digiuno. Buon cammino di Quaresima. P. Angelo Sardone