La condanna di Gesù

«Condanniamolo a una morte infamante, perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà» (Sap 2,20). Il tempo della Quaresima prepara nell’ascolto della Parola, al grande evento della Pasqua, cioè la morte e risurrezione di Cristo. Il cammino itinerante dietro la Parola di Dio, aiuta ad immergersi nella contemplazione e nella comprensione del mistero che segna il fondamento della fede cristiana. I testi profetici annunziano con chiarezza gli eventi. Ci sono elementi sapienziali che provengono non dalla letteratura storica ma dalla riflessione profonda che gli autori sacri, sotto l’evidente ispirazione di Dio, propongono alla riflessione. La liturgia sceglie con dovizia alcuni passi salienti che introducono ad una comprensione più adeguata del mistero. Il libro della Sapienza, identificativo di una corrente di pensiero e di teologia biblica nella sezione letteraria dei testi didattico-sapienziali, offre delle coordinate che in alcuni casi possono collocarsi sul versante propriamente profetico. La sapienza incarnata è Cristo e su di lui si addensano le considerazioni che fotografano quasi la situazione ed i presupposti della sua condanna. Nella trattazione della vita, come è vista è gestita dagli empi, si colloca uno squarcio che bene si addice a Gesù Cristo. Nella persona dei fedeli di Alessandria di Egitto scherniti e perseguitati si intravede la stessa sua persona, vittima della ingiusta condanna e con carnefici uomini e donne che ancora oggi si ergono a giudici implacabili di un innocente vittima di invidia e gelosia altrui. La storia di Cristo si ripete nell’oggi della storia. P. Angelo Sardone

La potenza della preghiera

«Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo» (Es 32,12). Il cammino del popolo d’Israele verso la terra promessa è stato travagliato ed irto di tante difficoltà. La stanchezza, lo scoraggiamento, la delusione, si tramutavano frequentemente in rivolta contro Dio. Nonostante che Jahwé fosse sempre intervenuto in loro soccorso dando carne e pane da mangiare, acqua da bere, l’ostinazione tipica di un popolo di dura cervice, diventava aperta sfida a Dio e ricerca di altre fonti di sicurezza e di chiarezza nel duro e faticoso itinerario verso una terra sconosciuta. Mentre Mosé era sul monte a colloquio con Dio, il popolo pervertito, si costruisce un manufatto aureo dinanzi al quale si prostra e che invoca come il vero Dio. Il condottiero è assolutamente inconsapevole di ciò che sta accadendo a valle con la complicità arrendevole di suo fratello Aronne. È Dio stesso ad avvertirlo e chiedergli di scendere dal monte confidandogli propositi minacciosi. La mediazione del profeta, l’unico che parla con Dio, diviene efficace, andando a toccare con la sua preghiera le corde più intime della misericordia divina, inducendo quasi il Signore a ragionare per non cadere nel ridicolo nel riscontro con gli altri popoli. La memoria del passato e dell’antico amore per i grandi patriarchi diviene decisivo perché Dio desista dal suo giusto proposito di nuocere nei confronti del popolo insofferente e ribelle. Come dicevano i Padri della Chiesa e ripeteva il beato Giacomo Cusmano, la preghiera è davvero il mezzo onnipotentissimo per piegare lo stesso Dio. Bisogna farne esperienza con umiltà e perseveranza. P. Angelo Sardone

Misericordia e consolazione: epiteti di Dio

«Il Signore consola il suo popolo e ha misericordia dei suoi poveri» (Is 49,13). Dio non solo è misericordioso ed usa misericordia verso il suo popolo, ma è misericordia. Preceduto dal secondo canto del Servo di Jahwé, il capitolo 49 di Isaia canta la gioia del ritorno in Israele dopo il suo esilio quarantenne. Nella gioia si staglia il tema caro al profeta Osea ed allo stesso libro del Deuteronomio, la benevolenza di Dio, la sua eterna misericordia. Nella mentalità biblica la consolazione è una vera e propria esperienza di rapporto tra l’uomo e Dio che si evidenzia maggiormente nei momenti di difficoltà. Tutta la seconda parte del profeta Isaia viene definito il «Libro della Consolazione» perché manifesta l’atteggiamento che viene da Dio stesso di assicurare al suo popolo, insieme con l’appartenenza a Lui, la protezione, l’assistenza e la presenza che supera una dimensione propriamente psicologica. Secondo l’esperienza di Davide, riportata nei suoi salmi, la consolazione nella solitudine, nella miseria e nell’abbandono, si poggia e si avverte a partire dalla Parola di Dio. La misericordia indica un atteggiamento di Dio di benevolenza ampia e comprensiva della dimensione umana, la bontà del cuore da cui scaturiscono gentilezza e amore. L’uomo di oggi e la moderna società, nelle traversie della vita tra gli eventi dolorosi, hanno bisogno di grande consolazione e di profonda misericordia, realtà che si possono trovare solo in Dio. Anche le parole hanno il loro peso: un gesto gentile ed una parola consolatoria può aiutare a lenire il dolore, a far avvertire la partecipazione e contribuire ad entrare nell’alveo della misericordia di Dio che ama i poveri e li consola. P. Angelo Sardone

Le acque del tempio

«Vidi l’acqua che usciva dal tempio, e a quanti giungerà quest’acqua porterà salvezza» (Ez 47,1-12). É’ ricorrente nella Bibbia l’immagine ed il tema dell’acqua. Il testo del profeta Ezechiele è un classico nella letteratura del Vecchio Testamento nella prospettiva della Gerusalemme escatologica, impensabile senza un torrente di acqua viva. La visione profetica presenta una sorgente che scaturisce dal tempio e diviene un fiume grande e potente nel suo passaggio per la valle del Giordano rigenerando la vita nel paese. La stessa immagine sarà ripresa nell’Apocalisse da S. Giovanni (21,1) con componenti quasi analoghe: l’acqua della vita scorre sotto il trono della nuova Gerusalemme e la salvezza consisterà nel ricevere l’acqua della fonte viva. L’acqua è segno evidente della benedizione di Dio. Il Catechismo della Chiesa cattolica è ricco di riferimenti: fin dalle origini del mondo l’acqua, umile e meravigliosa creatura, è la fonte della vita e della fecondità. Il fiume di acqua viva che scaturisce dal trono di Dio e dell’Agnello è uno dei simboli più belli dello Spirito Santo. Il Corpo di Cristo risorto è il tempio spirituale da cui sgorga la sorgente d’acqua viva, segno del Battesimo, insieme al sangue scaturito dal fianco trafitto di Gesù crocifisso che è segno dell’Eucaristia, entrambi sacramenti della vita nuova. Ed infine, l’acqua dalla roccia era figura dei doni spirituali che vengono da Cristo. Questa ricchezza sorprendente necessita di essere conosciuta e compresa per non correre il rischio di scorrere inutilmente nella indifferenza e nella ignoranza cristiana. P. Angelo Sardone

San Giuseppe: custode e nutrizio

«Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio» (2Sam 7,14). La celebre profezia di Natan si applica anche a Giuseppe, sposo di Maria di Nazaret, la cui festa liturgica si celebra oggi. Uomo giusto, della Casa di Davide, di mestiere falegname e di origine betlemita, aveva sposato Maria con la quale abitava a Nazaret. Segna la conclusione dell’Antico Testamento: in lui i patriarchi e i profeti conseguono il frutto promesso, Gesù. Il suo nome e la sua vicenda di vita sono riportati nei Vangeli dell’infanzia di Gesù, presente alla nascita di Cristo, alla sua circoncisione, alla perdita nel tempio ed al suo ritrovamento. A lui Dio «affidò la custodia dei suoi tesori più preziosi» (Pio IX): Gesù e Maria; fu depositario insieme con la sua sposa del mistero nascosto nei secoli e rivelato da Dio. Il servizio della sua paternità si fonda giuridicamente sul matrimonio con Maria, con l’autorità di imporre il nome al figlio, col “cuore di Padre” (Francesco). La sua dignità è grande: fu custode di Maria e, nell’opinione degli uomini, padre del Figlio di Dio, Gesù che a lui fu sottomesso, gli «obbediva e gli prestava quell’onore e quella riverenza che i figli debbono al loro padre» (Leone XIII). La sua caratteristica è il silenzio ed il nascondimento: per questo in modo particolare da S. Annibale M. Di Francia viene invocato come «patrono della vita interiore». Egli affermava che bisogna manifestare nei suoi confronti una devozione tenera, semplice ed ingenua; occorre pregarlo col cuore ed insistentemente. S. Giuseppe è il patrono della Chiesa cattolica e della buona morte, avendo concluso la sua vita presente Gesù e Maria. Auguri a tutti coloro che portano il suo nome. P. Angelo Sardone

Il cuore più che l’apparenza

«Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi» (1Sam 16,13). Una volta ripudiato Saul a causa della sua infedeltà, Jahwé nell’intento di assicurare al popolo di Israele una continuità monarchica nella fedeltà a Lui, invia il profeta Samuele a Betlemme, nella casa di Iesse, alla ricerca del «consacrato». Gli passano dinanzi i sette figli del betlemita, ma su nessuno di essi cade la scelta. Il Signore stesso aveva dato al profeta una indicazione: non guardare alla corporatura, alla possanza fisica, perché al contrario degli uomini, io non guardo l’apparenza, ma il cuore. Finalmente, rilevato dai campi dove sta conducendo il gregge, giunge il più piccolo, Davide, fulvo di aspetto. Su di lui cade la scelta di Dio e Samuele lo consacra re di Israele versandogli in testa e sul corpo l’olio dell’unzione. Da allora lo Spirito prende possesso del giovane le cui imprese resteranno mirabili nella storia di tutti i tempi: sarà grande condottiero, poeta, musicista ed anche peccatore. Dalla sua stirpe verrà Gesù Cristo. Di lui si parlerà diffusamente in diversi libri del Vecchio e del nuovo Testamento e saranno frequenti i richiami teologici ed ecclesiali alla sua grande personalità. Le scelte umane spesso fanno riferimento alla grandezza ed all’esteriorità: vale tanto chi ha ed appare. Il criterio divino si muove in direzione contraria: Dio guarda al cuore e tante volte sceglie chi agli occhi degli uomini ha poco valore per manifestare in quella pochezza la sua grandezza. La celebrazione liturgica di S. Giuseppe è trasferita a domani. Oggi è la Festa del papà. Auguri a tutti coloro che sono tali: possano imparare da S. Giuseppe il «segreto della loro paternità, avendo egli vegliato sul Figlio dell’Uomo» (Benedetto XVI). Ai Giuseppe, Pino, Peppino, Giuseppina, Giusy, Pina, auguri vivissimi. P. Angelo Sardone

Amore invece dei sacrifici

«Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocàusti» (Os 6,6). Osea, come d’altronde tutti i profeti, richiama costantemente alla coerenza nei comportamenti e nelle scelte della propria vita, soprattutto nei rapporti con Dio. Il popolo di Israele da lui evocato è la parafrasi del popolo della Chiesa che in ogni tempo è chiamata a seguire il Signore con una vita in armonia all’alleanza. Tante volte, nel suo tempo, come tristemente annotato dal profeta, erano i sacerdoti, i notabili ed i re a condurre il popolo alla rovina con guerre fratricide, alleanze con popoli stranieri, palesando un effimero ritorno a Dio fatto di pratiche esteriori e di sacrifici propiziatori. La voce profetica di alza con vigore per combattere simili pratiche sottolineando invece il valore vero dell’amore di Dio e per Dio e la conoscenza di Lui. Ciò vale molto di più di tanti sacrifici ed offerte oblative. Osea arriverà finanche a dire che il sacrificio valido è l’autentica conversione. Essa nasce prima di tutto da una conoscenza progressiva di Dio che spinge a lasciare dietro le spalle una vita insignificante anche se piena di conquiste, successi, benessere ed ostentato ottimismo. Elemento basilare per realizzare un’autentica conversione è prima di tutto la conoscenza di Dio che proviene da un’esperienza di rapporto con Lui, con l’ascolto assiduo e sistematico della sua Parola e la partecipazione alla vita sacramentale. Oggi nel popolo di Dio c’è un grande bisogno di conoscenza e la ricerca di validi trasmettitori ed annunziatori della Parola a differenza di loquaci strilloni di verità effimere ed allettanti che durano l’arco di una giornata e si appassiscono in sé ed in chi miseramente li cerca e li acclama. P. Angelo Sardone

La misericordia di Dio in un cammino di penitenza e riflessione

«Rette sono le vie del Signore, i giusti camminano in esse, mentre i malvagi v’inciampano» (Os 14,10). Il profeta Osea pur essendo annoverato tra i “profeti minori” per l’esiguità del suo testo, in confronto a quello dei “maggiori” è davvero un grande profeta per la profondità del suo pensiero e la caratteristica di Dio da lui ripetutamente enunziata: «l’hesed», cioè l’amore misericordioso. La sua vicenda umana è contrassegnata da disposizioni particolari ricevute da Dio in ordine al suo matrimonio con una prostituta, i figli ai quali impone nomi particolari evocativi del rapporto di Dio col popolo di Israele. La sua vita e la sua esperienza profetica diventano un paradigma simbolico, una lezione per il popolo perché impari a considerare attentamente la misericordia di Dio che non è semplicemente una sua caratteristica, ma è Dio stesso. La predicazione esplicita conferma la bontà delle vie del Signore, diritte e senza pericoli, sulle quali si misurano le diverse categorie umane: i giusti che camminano in esse liberamente, i malvagi che in esse inciampano. L’esperienza settimanale nella Quaresima della Via della croce, richiama questi elementi e conferisce loro attualità e verità che fanno parte dell’esistenza umana e che inducono a percorre la strada della vita con l’attenzione a non inciampare. Le quattordici tradizionali stazioni sorrette dalla meditazione delle pagine bibliche, evocano in pieno le situazioni della vita dell’uomo sulla terra ed invitano a guardare il condannato che incarna nell’ultimo percorso della sua vita terrena, le sue dolorose stazioni. P. Angelo Sardone

Le cose di Dio non si dimenticano

«Bada a te e guàrdati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita» (Dt 4,9). I tempi forti che la Chiesa riserva con la Liturgia nel percorso annuale di contemplazione e rivisitazione del mistero di Cristo, sono un’autentica scuola di formazione per i cristiani. Un itinerario sistematico evidenziato dalla Parola risulta un insegnamento pratico di vita che determina la formazione continua o permanente. La Liturgia pertanto, secondo criteri ben precisi, sceglie il fior fiore della Parola di Dio secondo tematiche precise che sviluppano una conoscenza ed un approfondimento adeguato, in vista della Pasqua del Signore. Essa segna il passaggio autentico ad una nuova vita. Nel vecchio Testamento, due sono i luoghi nei quali viene riportato l’insieme dei Comandamenti di Dio, il libro dell’Esodo al cap. 20 ed il Deuteronomio al cap. 5. In entrambi i casi con modalità letterarie diverse, è riportato il Decalogo con l’insistenza da parte di Dio, di accogliere ogni sua parola e di metterla in pratica. In particolare nel testo che chiude il Pentateuco, prima dell’enunciazione dei comandamenti, Mosè invita il popolo a non dimenticare quanto ha visto operare dalla forza e dalla potenza di Dio. Gli avvenimenti e le situazioni diverse hanno interessato anche il suo cuore: questo il motivo per non lasciare sfuggire nulla e serbare ogni cosa per tutto l’arco della vita. Perché l’uomo di ogni tempo non si ritrovi senza memoria, Mosè ingiunge questa modalità concreta di ricezione e di trasmissione della legge. Essa, stampata prima di tutto nel cuore, necessita di essere proclamata e vissuta. Può sembrare una minaccia quella di tenere a mente tutto questo, ma è invece una amorevole e forte esortazione ad accogliere quanto di meglio Dio poteva pensare e volere per il suo popolo. P. Angelo Sardone

La preghiera del profeta Daniele

«Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto» (Dn 3,41). Il cammino della Quaresima è un itinerario di sequela di Cristo qualificato dalla straordinarietà del tempo “forte”. Un sostegno valido ed efficace è offerto ogni giorno dalla Parola di Dio che soprattutto nella Liturgia fa segnare il passo di una comprensione più profonda che si aggancia alla vita. Le esperienze coinvolgenti di liturgie penitenziali, i pii esercizi, le mortificazioni e le rinunzie, inquadrate nel trittico evangelico di digiuno, preghiera e carità verso i fratelli, evidenziano una presa di coscienza sempre maggiore delle proprie colpe ed una adesione sempre più viva, anche se certamente difficoltosa, agli insegnamenti divini. Il profeta Daniele, giovane ebreo condotto con altri alla corte di Nabucodonosor, ha il coraggio di denunziare con atteggiamenti pratici la disapprovazione per l’adorazione della statua d’oro. Nella sua preghiera accorata a Dio, nel corso del castigo commisurato con la condanna alla fornace ardente, esprime insieme con la fiducia nel risolutorio intervento divino, la volontà di seguire il Signore, il suo timore e la ricerca del suo volto. Può essere questo non solo l’icona di un’efficace preghiera quaresimale, ma anche e soprattutto il modello di una presa di coscienza ed una risoluzione finale a seguire davvero il Signore, mostrando verso di Lui il naturale e debito timore ed il vivo desiderio di cercare il suo volto. La liturgia diviene così pratica di vita, non si scosta, anzi stimola ad orienta la vita secondo gli insegnamenti di Dio che sono sempre antichi e nuovi e che ogni giorno suscitano nella mente e nel cuore interpellanze provocanti ed inquietanti insieme con il desiderio di seguirlo. P. Angelo Sardone