Capitolo Provincia Italia Centro Sud/1

«Cristo è mediatore di un’alleanza nuova, perché coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa» (Eb 9,15). CP23/1. Perché i partecipanti affrontino con responsabilità e coscienza il loro impegno, il Capitolo Provinciale si apre oggi con una mezza giornata di preghiera e riflessione e la celebrazione eucaristica, presieduta dal Superiore Generale. Il Capitolo provvidenzialmente coincide con la novena al Nome SS.mo di Gesù, in preparazione alla Grande Supplica del 31 gennaio, una delle date più importanti per la storia e spiritualità rogazionista. Le sedute giornaliere, oltre che dalla preghiera e dalla celebrazione eucaristica, sono disciplinate da un apposito Regolamento. Nel pomeriggio nell’aula magna si dà il via ai lavori capitolari. Viene costituito il Consiglio di Presidenza formato dal Superiore Generale e da due Moderatori eletti dall’assemblea. Si eleggono due Scrutatori, in genere i più giovani partecipanti ed il Segretario capitolare che avrà il compito di verbalizzare ogni cosa. Terminate le formalità giuridiche iniziali, il Superiore Provinciale uscente legge una fedele relazione sullo Stato personale e disciplinare della Provincia da lui preparata e controfirmata dal suo Consiglio. Essa contiene un’analisi complessiva della vita e dell’opera della Provincia negli ultimi 4 anni nei diversi settori di apostolato (vita religiosa e formazione ad ogni livello, animazione vocazionale, Rogate, servizio socio-educativo, parrocchie e santuari, servizio dei poveri, servizio missionario) con la presentazione di quanto è stato fatto, l’indicazione di luci ed ombre e l’enunciato di possibili soluzioni dei problemi che riguardano l’apostolato carismatico, le persone e le cose. L’eredità consegnata da Cristo è prima di tutto la fraternità e la condivisione. P. Angelo Sardone

Sant’Agnese la martire ragazzina

«Egli entrò una volta per sempre nel santuario in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna» (Eb 9,12). Il sacrificio dell’Antica legge prevedeva un cerimoniale particolare, luoghi e persone stabilite per la sua realizzazione. Il santuario sta per tabernacolo, il cosiddetto «Santo». Oltre questo vi era poi il «Santo dei Santi», nel quale entrava il sommo sacerdote una volta l’anno per l’offerta del sacrificio per sé e per il popolo. Cristo è entrato in virtù del suo sangue per offrire una volta per sempre il suo sacrificio redentivo ed espiatorio dei peccati. Col versamento del suo sangue è entrata nel tempio vivo dei Santi, Agnese, una illustre dodicenne romana martirizzata nel IV secolo. Il suo nome significa «agnella». Aveva offerto a Dio la verginità del suo corpo e ciò fu il motivo per il quale il figlio del Prefetto di Roma, invaghito di lei la denunciò come cristiana. Affrontò i diversi tormenti del martirio: fu esposta nuda, gettata nel fuoco, ed infine fu trafitta con una spada proprio come si fa con gli agnelli, nel 304 sotto Diocleziano. Nella giornata odierna in Vaticano si benedicono gli agnelli offerti al papa. Dalla loro lana sarà tessuto il pallio, una striscia circolare con pendenti anteriore e posteriore, ornata di sei crocette e di frange nere che si posa sulle spalle e che il 29 giugno viene consegnata agli arcivescovi metropoliti. Si tratta di un’insegna di diritto che il papa conferisce loro perché la indossino nei pontificali a simboleggiare la loro unione al sommo pontefice. Auguri a tutte coloro che portano il nome di Agnese. P. Angelo Sardone

Sacerdozio di Cristo e sacerdozio dell’uomo

«Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli» (Eb 7,26). Al contrario del sacerdozio davidico che presentava incompletezze proprio perché soggetto alla legge ed era umano e temporaneo, il sacerdozio di Cristo si identifica con la stessa persona di Cristo. Si riveste pertanto di connotazioni uniche ed esclusive: innanzitutto è un sacerdozio eterno e non trasmissibile; salva coloro che si avvicinano a Dio perché, proprio per il suo compito di salvatore, Egli vive per sempre ed intercede per ciascuno in maniera efficace. Tutto questo è determinato da un settenario di caratteristiche proprie: santo, staccato da tutto ciò che non porta a Dio; innocente come una pecora muta che va incontro alla morte; senza macchia, cioè puro ed immacolato; separato dai peccatori perché tutt’altra cosa che il peccato; innalzato nei cieli più alti; offerente e vittima insieme; perfetto per l’eternità. È semplicemente grandiosa questa casistica teologica. Con essa deve misurarsi ogni giorno il sacerdote che esercita il suo ministero «in persona Christi capitis», reso partecipe realmente del sacerdozio di Cristo. Avverte il senso della profonda amicizia che gode da parte di Gesù («vi ho chiamato amici») che permette a lui di agire ed operare nel suo nome. Partecipa inoltre al triplice munus Christi, cioè alla triplice potestà: santificatrice, magisteriale e pastorale dello stesso Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa, per condure verso la santità il popolo di Dio. La santità della sua vita personale diventa testimonianza ed impulso alla santità degli altri, attraverso un processo di evangelizzazione che lo caratterizza e definisce come ministro di Cristo e della Chiesa. P. Angelo Sardone

S. Antuono, eremita ed abate

«Ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza» (Gen 22,17). Con puntuali richiami al Vecchio Testamento, l’autore della lettera agli Ebrei, delinea sempre più in profondità l’identità di Cristo sacerdote che, come Abramo, cui è riferito il passo, non solo è stato benedetto da Dio, ma effettivamente nella Chiesa, ha la numerosa discendenza preconizzata. In questa chiave liturgica e teologica si può leggere la vita e l’opera dell’egiziano S. Antonio abate (250-356), detto «Antuono» soprattutto nel Meridione dell’Italia, per distinguerlo dall’altrettanto noto S. Antonio di Padova. È certamente uno dei più grandi eremiti della storia ecclesiale ed il più longevo tra i santi. In lui si esemplificano la risposta alla chiamata di Dio all’età di 20 quando vende tutti i suoi beni ed affida la sorella più piccola ad una comunità di vergini ed il ritiro in solitudine del deserto della Tebaide per tutto il resto della sua esistenza col tenore dell’austera penitenza. Il contatto con Dio fece maturare in lui oltre la saggezza di vita e di fede, per la quale fu ricercato da tutti per consigli e discernimento degli spiriti, una palese santità, contrastata fortemente dal demonio, come raccontato dal suo discepolo Atanasio che con altri tramandò anche una raccolta di 120 suoi detti e 20 lettere. La sua testimonianza attrasse molte persone desiderose di una vita di perfezione. La tradizione e la pietà popolare lo indicano protettore degli animali e soprattutto di quanti lavorano il maiale vivo o macellato: col suo grasso, infatti, si curava il cosiddetto «fuoco di sant’Antonio». L’iconografia lo rappresenta con un maialino ai piedi ed un bastone a forma di Tao. Per questo oggi in suo onore si benedicono le stalle e gli animali domestici. Auguri a tutti coloro che ne portano il nome. P. Angelo Sardone

Tu sei sacerdote per sempre!

«Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek» (Sal 109,4). Il capitolo 5 della Lettera agli Ebrei contiene un testo classico sul sacerdozio di Cristo, che per analogia si applica al sacerdozio ministeriale. L’ossatura della lettera, di carattere propriamente sacerdotale, giunge così alla definizione precisa della identità del Messia come sommo ed eterno sacerdote, conseguenza della sua figliolanza divina. Sono delineati i caratteri propri del sacerdozio: la chiamata divina in ordine al bene degli uomini in tutto ciò che si riferisce a Dio; la compassione, tipica del suo essere misericordioso verso coloro che sono nella ignoranza e nell’errore, determinata anche dal suo essere debole; l’offerta del sacrificio di espiazione dei peccati suoi e del popolo. Tutto ciò è subordinato al fatto che è Dio stesso a chiamare, investire e mandare è che nessuno può arrogarsi questo compito indipendentemente dalla chiamata di Dio. Prendendo la natura umana Cristo divenne mediatore e sacerdote: ciò viene confermato dalla citazione di due salmi, il 2 che richiama la figliolanza divina ed il 109 che sancisce il suo eterno sacerdozio secondo l’ordine di Melchisedek il misterioso re di Salem che compare appena nella Genesi. In Lui si concentrano due poteri: quello reale-messianico e quello sacerdotale già adombrati a suo tempo dal re Davide. Questa descrizione di carattere teologico fonda l’identità del sacerdozio ministeriale: pertanto ogni sacerdote rispecchia i termini e gli elementi enunziati, dalla chiamata di Dio all’esercizio ministeriale della compassione e del servizio del popolo di Dio in tutto ciò che si riferisce a Dio. Questa è la mia identità, questo, il mio ministero. P. Angelo Sardone

La luce del mondo

«Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (Is 49,6). Con largo anticipo la liturgia proclama oggi l’inizio del secondo Canto del Servo di Jahwé, specificando il suo ruolo di luce delle nazioni. La solennità del Natale del Signore aveva presentato il Messia come portatore di luce, anzi come Luce egli stesso. Nell’ordinarietà del cammino verso il mistero della Pasqua, questo tema ritorna come base essenziale dell’identità del Figlio di Dio, per diradare con la sua luce le tenebre del mondo immerso nel peccato. Le origini dell’universo sono contrassegnate dalla creazione della luce a seguito della quale tutto fu possibile, proprio come succede nella realtà. Nel buio non si può far nulla, si rimane inerti ed in attesa. Nel linguaggio biblico la luce è anche sinonimo di salvezza: dovunque essa arriva porta visibilità, toglie la paura rende chiara ogni cosa. Il compito del Messia è far luce sul buio del mondo, interessando tutto e tutti, giungendo fino ai confini estremi della terra e tutte le nazioni. La metafora si tramuta in realtà quando si fa direttamente esperienza della luce dopo il buio, della grazia dopo il peccato. Chi vive nella luce, fa le opere della luce, avverte la stessa Parola di Dio. La luce che proviene da Cristo accende la vita di chi lo segue, in modo che egli stesso possa diventare luce e spargerla con abbondanza ovunque, raggiungendo anche le estremità del mondo con le proprie azioni e il proprio pensiero. Se hai la luce, portala a chiunque incontri sul tuo cammino! P. Angelo Sardone

Sofferenze di Cristo e sofferenze dell’uomo

«Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze» (Eb 4,15). La presentazione sistematica di Cristo sommo ed eterno sacerdote continua con l’evidenziazione di aspetti particolari legati al suo ministero di intercessore presso Dio e di vicinanza all’uomo tribolato dalla malattia del corpo e dello spirito. La grandezza di Gesù Cristo sacerdote sta innanzitutto nel fatto che è passato attraverso i cieli, nel senso che non solo è sceso dal Cielo, ma vi è ritornato alla destra del Padre dopo l’esaltazione della croce e la sua risurrezione. Ha preso parte in pieno alle debolezze dell’uomo essendo diventato anch’egli uomo e caricato della debolezza umana fino in fondo, lasciandosi mettere da Dio alla prova col dolore più acerbo, segno e conseguenza del peccato, e risultando vincitore in tutto. Le tentazioni subite all’inizio della sua predicazione si sono riverberate entro l’arco intero della sua vita fino alla passione quando la forza delle tenebre lo ha assalito, ma è stata sconfitta. È molto bella la considerazione della profonda umanità di Cristo così vicina all’uomo di ogni tempo che spesso si perde nel labirinto della vita e nella contraddizione, senza sapere più distinguere e comprendere quale sia la via giusta da seguire e percorrerla e quella cattiva ed evitarla. Cristo rimane sempre e comunque come dice la teologia, «sacerdos et hostia», sacerdote e vittima ed investe di questa identità anche il sacerdozio ministeriale nella persona di uomini deboli ma resi forti dalla grazia di Dio e dalla potenza dello Spirito Santo. P. Angelo Sardone

Le Polizzine di Gesù Bambino 2023

Sono in distribuzione le POLIZZINE DI GESU’ BAMBINO 2023 a cura dell’Unione di Preghiera per le Vocazioni, di cui l’immagine è il frontespizio. Chi le desidera, può richiederle privatamente servendosi di Messenger, di whatsapp o scrivendo a upv.ics@rcj.org Il tema di quest’anno è: “Di Me sarete testimoni. Vite che parlano”. P. Angelo Sardone

Dio ha parlato tramite suo Figlio

«Dio, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1). La conclusione delle festività natalizie e l’inizio del Tempo liturgico Ordinario, hanno come spartiacque un sommario eccezionale costituito dalla stessa Parola di Dio, l’incipit di una grande e significativa omelia sacerdotale che la Tradizione definisce «Lettera agli Ebrei». Da sempre è stata attribuita a S. Paolo. Studi più recenti hanno rilevato invece la paternità di un non ben definito dotto sacerdote di Gerusalemme. L’incarnazione e la nascita di Gesù Cristo sono ampiamente documentati nei Vangeli, soprattutto nei cosiddetti capitoli dell’Infanzia, i primi due degli evangelisti Matteo e Luca. A suo modo e con un linguaggio aulico di straordinaria grandezza ed altezza, S. Giovanni nel prologo del suo Vangelo esprime questo mistero con un versetto importante: «il Verbo, cioè la Parola, si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). L’autore della Lettera agli Ebrei con altrettanta profondità di parola e di immagini suggestive, traccia il sommario di come e di quanto il Signore aveva parlato nei tempi antichi soprattutto attraverso i profeti, per attestare che in questi ultimi tempi ha parlato per mezzo dello stesso Gesù Cristo, dotandolo di caratteristiche propriamente divine (irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza) ma soprattutto Figlio di Dio, proposto alla comune adorazione degli Angeli e delle creature. Questa singolare e sorprendente ricchezza di termini è parte integrante della fede cristiana che dal mistero del Natale si proietta verso il mistero della Pasqua, cioè la passione, morte e risurrezione di Cristo. P. Angelo Sardone

La divinizzazione dell’io

«Colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo» (1Gv 4,4). Il carattere della Lettera di Giovanni è anche pedagogico, vuole cioè offrire indicazioni precise che salvaguardino i cristiani di allora e di sempre dagli inganni che possono venire dalle seduzioni del maligno. È indispensabile allora il discernimento che va attuato prima di tutto nella comunità, tra i credenti, per vedere se sono mossi dallo Spirito o da Satana. Lo Spirito induce alla confessione della fede ed infonde la docilità agli insegnamenti della Verità. Satana induce invece all’errore che può circolare e di fatto circola anche nelle comunità cristiane laddove ci possono esserne divulgatori che si atteggiano a maestri, e lo sono, dell’errore. Lo Spirito che confessa Gesù Cristo viene da Dio e fa proclamare dal credente la sua confessione di fede. Coloro che spargevano errori, attesta la storia, non riconoscevano Cristo e affermavano che per raggiungere Dio ci possono essere altri mezzi. Sin dagli inizi nell’impianto della fede, l’errore perpetrato dagli uomini ha fatto sempre lotta alla verità proclamata da Cristo e fatta propria dagli Apostoli. L’incoraggiamento che spesso viene da essi mira a sostenere la fede di chi ha incontrato e creduto in Gesù Cristo, con la certezza che Dio, che è presente in chi crede, è infinitamente più grande e più forte di Satana che alberga nel mondo e per tanti versi ne è anche principe. Queste grandiose verità sono tali anche e soprattutto oggi in una sorta di reimpianto della fede dovuta non solo alla pandemia di Covid, ma ancor di più alla mancanza di amore verso Dio che automaticamente distacca anche dai fratelli e ritorce tutto su se stesso. Si tratta della divinizzazione dell’Io che è propria del demonio. P. Angelo Sardone