L’assemblea di Sichem: il patto con Dio

«Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem e convocò gli anziani d’Israele, i capi, i giudici e gli scribi» (Gs 24,1). Uno degli ultimi atti compiuti da Giosuè successore di Mosè, fu l’Assemblea di Sichem, un avvenimento di primaria importanza della storia del popolo d’Israele per il rinnovo dell’alleanza di Jahwé. Nel corso di essa Giosuè recitò le gesta di Dio, gli obblighi dell’alleanza e la relativa accettazione da parte del popolo. La località di Sichem, data la sua favorevole posizione centrale, si prestava alle assemblee delle tribù ed aveva un addentellato storico-memoriale sia con Abramo che quivi aveva costruito un altare, che con Giacobbe che aveva su di essa diritti ed aveva sotterrato gli idoli portati dalla Mesopotamia. Il nuovo condottiero propose e trasmise la fede dei Padri alle tribù del nord che non erano state in Egitto e non conoscevano la storia delle meraviglie operate da Dio dall’esodo dalla schiavitù fino alla rivelazione sul monte Sinai. La convocazione fu particolarmente riservata ai responsabili, anziani, capi, giudici e scribi perché con la loro autorità potessero rinnovare le proposte di Dio ed affidarle con più convinzione al popolo. Anche oggi la liturgia, i sacramenti propongono itinerari fondamentali di crescita nella fede e si agganciano a progetti concreti per i diversi ambienti formativi e spirituali. Un’esperienza concreta sulla base dell’assemblea di Sichem fu proposta a suo tempo dal cardinale Carlo M. Martini, arcivescovo di Milano alla diocesi ambrosiana, in particolare nel mese di maggio 1989, quando con i giovani delegati rilanciò l’azione missionaria dei giovani stessi che gridarono “Noi scegliamo di servire il Signore”. Passata la pandemia sarà forse opportuno rilanciare un’analoga assemblea. P. Angelo Sardone

Santa Chiara di Assisi

«Ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore» (Os 2,20). La liturgia odiernafa memoria di S. Chiara di Assisi (1193-1253) umile pianticella di S. Francesco, “pietra primaria e nobile fondamento del suo ordine” (Leggenda di S. Chiara). È una delle più grandi figure femminili della storia e dell’agiografia di tutti i tempi, donna eroica, di precoce maturità, con un singolare bagaglio di saggezza nel valutare i beni della vita. A 18 anni incontra Francesco ed è attratta da lui, innamorato ed imitatore di Gesù Cristo. La Domenica delle Palme abbandona il mondo e onde conservare la verginità e realizzare le nozze con Cristo, suo sposo, va da Francesco alla Porziuncola. Si taglia i capelli, lascia gli splenditi ornamenti e fa la scelta di una vita da serva. Il Signore le riserverà il grande compito di dare inizio al movimento di donne consacrate a Dio come “sorelle povere”. Stenderà la regola ed amministrerà come madre la comunità, dando esempio di profonda umanità e geniale esemplarità con la pratica di estenuanti mortificazioni, veglie notturne, digiuni ed astinenze. Il suo grande amore e la sua fede nella potenza dell’Eucaristia, con l’ostensorio in mano mise in fuga i Saraceni che volevano assaltare il complesso di S. Damiano. S. Francesco esaltava in lei la vera cristiana che mette in pratica il Vangelo con l’austerità della povertà e la gioia di seguire il maestro-sposo. Da lei è nata una grande famiglia di sorelle che tutt’oggi onora il Signore e testimonia la scelta preferenziale per Cristo povero, casto ed obbediente. Auguri a tutte coloro che, consacrate o laiche, portano il suo nome. P. Angelo Sardone

San Lorenzo, i poveri e la graticola

«Ha largheggiato, ha dato ai poveri, la sua giustizia dura in eterno» (Sal 112,9). Nell’indire la colletta per i poveri di Gerusalemme S. Paolo offre agli abitanti di Corinto una serie di istruzioni che inneggiano alla generosità ed alla larghezza. A prova di ciò evoca lo scarso raccolto per chi ha scarsamente seminato e ribadisce l’amore preferenziale che Dio ha per chi dona con gioia. Dio infatti è grande nell’amore, dà ai poveri con abbondanza: come non fa mancare il seme ed il pane per il nutrimento, così fa crescere i frutti della giustizia che rimane per sempre. S. Lorenzo, diacono della Chiesa di Roma era solerte e generoso amministratore dei beni verso i poveri. Il Prefetto romano che credeva che la Chiesa avesse ricchezze ingenti da confiscare, viene confutato e contraddetto dal diacono che presentatosi davanti a lui gli mostra la vera ricchezza ed i veri tesori di Roma: i poveri, i malati e gli emarginati. Ciò gli causa il martirio, che secondo l’antica tradizione attestata da sant’Ambrogio, lo consumerà “bruciato sopra una graticola”, il 10 agosto del 258. La sua tomba è venerata a Roma nell’omonima basilica al Verano. La tradizione sociale evoca in questo giorno il fenomeno diffuso delle stelle cadenti, che rappresenterebbero le lacrime del Santo nel suo supplizio, che vagando nei cieli scendono sulla terra in questo giorno, o anche i carboni ardenti sui quali si consumò il suo martirio. Graticola e borsa col denaro per i poveri sono gli elementi che qualificano l’identità del santo Lorenzo. La Tradizione lo vuole patrono dei cuochi e dei pompieri. Auguri a tutti coloro che portano questo nome. P. Angelo Sardone

Edith Stein, martire e sposa della croce

«Ti farò mia sposa per sempre, nell’amore, nella benevolenza, nella fedeltà» (Os 2,18-22). L’esperienza profetica di Osea si configura nei termini di alleanza col Signore nel segno del matrimonio. Dopo avergli ingiunto di sposare Gomer, una prostituta ed avere da lei tre figli i cui nomi richiamano la condizione del popolo d’Israele ribelle ed infedele, Jahwé risponde con la sua grande tenerezza, nonostante che la moglie torna a prostituirsi. La vicenda coniugale contrassegnata dal tradimento e l’infedeltà è lo specchio del rapporto che il popolo costruisce ogni giorno con Dio accogliendo il suo patto. Infatti il rapporto di amore di Jahwé con Israele è analogo a quello di uno sposo con la sua sposa. I termini sono propri del connubio matrimoniale: amore, benevolenza, fedeltà, giustizia, diritto. Alla fine vince sempre l’amore che è misericordia, perdono ed accoglienza. In analogia a questo dato biblico e teologico corre la vicenda umana e spirituale di Edith Stein, S. Teresa Benedetta della Croce (1891–1942) filosofa e mistica delle Carmelitane Scalze. “Illustre figlia d’Israele” (S. Giovanni Paolo II), dall’ebraismo praticato nell’adolescenza per nascita, passò all’ateismo ed infine si convertì al cattolicesimo divenendo monaca carmelitana. Aveva seguito Edmund Husserl e la sua corrente filosofica detta fenomenologia che l’avvicinò alla fede cristiana. Scovata dalla Gestapo in un monastero in Olanda, venne tradotta nel campo di concentramento di Auschwitz insieme alla sorella Rosa, terziaria carmelitana scalza e trucidata nel 1942. Fu sposa del Signore sotto il segno della croce, evocato nel suo nome di religione. P. Angelo Sardone

San Domenico

«Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino. Si alzò, mangiò e bevve» (1Re 19,8). Il ciclo biblico di Elia (sec. IX a.C.) è caratterizzato da interventi straordinari del Signore e da gesta mirabili del profeta. La forza operativa gli viene dal Signore che lo nutre della sua Parola e del pane. Dopo aver affrontato la sfida del Carmelo, sconfiggendo i 450 profeti di Baal ed i 400 di Asera, stanco ed oppresso dalle vicissitudini e dai soprusi della regina Gezabele, si addormenta sotto una ginestra desideroso di morire. Dio non lo abbandona a questo sconforto perché ha ancora tanto da dire e da dare. Un Angelo due volte lo sveglia e gli dà da mangiare una focaccia cotta su pietre roventi ed un orcio di acqua. È il cibo del cammino: lo sosterrà fino a fargli raggiungere l’Oreb, il monte di Dio. Il pane della Parola fu il nutrimento che il Signore concesse ad uno dei più noti e grandi santi dell’agiografia cristiana, lo spagnolo Domenico di Guzman, fondatore dei Frati Predicatori meglio conosciuti come Domenicani. Il desiderio di evangelizzare i pagani e confutare le eresie lo fecero mettere a disposizione della Chiesa seguendo l’interiore desiderio di realizzare un nuovo ordine monastico dedito alla predicazione. Cresciuto in poco tempo esso fu in grado di spargere per tutta Europa i messaggeri del Vangelo. Una caratteristica propria del suo apostolato è il grande amore alla Vergine Maria dalla quale, come vuole la Tradizione, ricevé un’apparizione e la consegna del Rosario. Questo il motivo per il quale nella rappresentazione plastica e musiva si contempla S. Domenico in genere con S. Caterina da Siena, nell’atto di ricevere la corona del Rosario. Auguri a tutti coloro che ne portano il nome. P. Angelo Sardone

Ascolta Israele

«Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6, 4). L’inizio della professione di fede quotidianamente presente sulle labbra di ogni Israelita è “Shema’ Jisra’el”, «Ascolta, Israele!», una delle preghiere più care e sentite della tradizione liturgica giudaica. In essa l’amore di Dio è espresso come un vero e proprio comando, lo stesso che caratterizza tutti i libri e gli interventi profetici. Questo primo comandamento esplicita l’adesione che ogni vivente è chiamato a dare a Dio. Il testo è l’affermazione dell’essenza del monoteismo, cioè del solo Dio, efficiente, efficace, il vivente, la cui concezione ha segnato e continua a guidare il cammino storico e spirituale dell’antico e del nuovo popolo di Israele, la Chiesa. Gesù quando ha riassunto i doveri dell’uomo verso Dio, facendo eco a questa antica parola, ha intimato: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima» e vi ha aggiunto anche la mente (Mt 22,37) a significare che l’adesione a Dio non è semplicemente una questione di cuore e sentimento, ma anche di ragione e di volontà. Gli Ebrei recitano lo Shemà due volte al giorno ed i genitori insegnano ai figli a farlo prima di dormire la sera. La Liturgia delle Ore ha recepito questo dato e colloca la pericope dello Shemà come lettura breve nella preghiera di Compieta della domenica e delle solennità. È questa la singolare espressione di continuità e di ricezione degli elementi che contraddistinguono la fede nell’unico Dio e nel Signore Gesù Cristo. P. Angelo Sardone

La Trasfigurazione

«Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» (Mc 9,7). Si celebra oggi la festa della Trasfigurazione, l’episodio evangelico nel quale Gesù manifesta la sua gloria ai tre Apostoli fidati. Dinanzi ai loro occhi il Maestro rivela la potenza del suo splendore divino attraverso un vero e proprio cambiamento fisico attestato anche dalle vesti divenute lucenti e bianchissime. Spavento e stupore colgono d’improvviso Pietro, Giacomo e Giovanni, rendendoli incapaci di proferire parola e di chiedere semplicemente che lo spettacolo non si concluda. Sono disposti a rimanere all’addiaccio e a preparare tre tende per i tre interlocutori celesti. È l’anticipazione del destino futuro di gloria di Cristo, riservato a tutti coloro che attendono la sua manifestazione finale. La dimensione umana del corpo fisico cede il posto alla sua gloria che apre alla comprensione della divinità, in vista di ciò che sarebbe seguito nel mistero della passione e morte. La trasfigurazione si colora di presenze e parole di alto significato. Mosè ed Elia che appaiono accanto a Gesù e dialogano con Lui, rappresentano la Legge e i Profeti: essi hanno fatto il loro corso ed ora, per così dire, cedono il passo al Messia Redentore. Tuonante e convincente è la voce del Padre celeste che intima: “AscoltateLo!” come a dire: Cristo è la realizzazione piena di quanto era stato detto e prefigurato prima. Questa manifestazione è l’anticipo del Paradiso e della gloria che si concretizzerà nel mistero della croce e della risurrezione. La forte esperienza caratterizzerà dall’allora in poi la vita degli Apostoli. Non potranno rimanere sul monte ma devono scendere a valle, tornare alla normalità della vita. È qui che bisogna cogliere l’opera di Dio e la grandezza gloriosa di Cristo. P. Angelo Sardone

La Madonna della neve

«Prendi il bastone; parla alla roccia, ed essa darà la sua acqua; la e darai da bere alla comunità e al loro bestiame» (Nm 20,8). A Kades il popolo arriva stremato perché non c’è acqua da bere. Il bestiame rischia di morire. Si innesca   una furibonda lite con Mosè che appare il responsabile incauto di questa ennesima situazione di precarietà. Come al solito ci pensa Jahwé ingiungendo a Mosè di adoperare il suo bastone. Con esso batte sulla roccia per due volte e da lì scaturisce acqua in abbondanza per il popolo ed il suo bestiame. La località si chiamerà Kades-Meriba perché qui il Signore ancora una volta fu messo alla prova. Per il Signore i prodigi sono all’ordine del giorno, in ogni tempo: non deve chiedere il permesso all’uomo per poterli realizzare. Nella giornata odierna si celebra la Madonna della Neve la cui vicenda, secondo la devozione, si muove su un piano miracolistico. La Tradizione racconta della neve che si posò eccezionalmente in piena estate il 5 agosto 358 a Roma tracciando il perimetro di quella che sarebbe diventata la basilica di S. Maria Maggiore. La Vergine Maria apparve in sogno a Papa Liberio e a Giovanni, un patrizio romano, chiedendo di edificare una chiesa nel luogo segnato dal “miracolo della neve” donde il titolo di «S. Maria ad nives». La chiesa fu costruita con uno splendore e grandezza di incomparabile paragone e divenne in seguito la testimonianza celebrativa del Concilio di Efeso (431) che aveva decretato la divina Maternità di Maria. Il miracolo viene attualmente ricordato con una pioggia di petali di rosa bianca che cadono dall’interno della cupola durante la celebrazione liturgica. P. Angelo Sardone

Il santo patrono dei parroci

«Dobbiamo salire e conquistarla, perché certo vi riusciremo» (Nm 13,30). Era questa la convinzione ferma di Caleb, uno dei dodici esploratori della Terra Promessa, inviati da Mosè a verificare la situazione della terra di Canaan che Dio stava per dare al popolo d’Israele. Il rapporto degli esploratori tornati dopo quaranta giorni di perlustrazione, era stato positivo: latte, miele, frutti abbondanti e consistenti come un grappolo d’uva portato a spalla da due persone, convincevano sulla bontà della terra e l’opportunità di conquistarla. A questa ricchezza di prospettiva faceva riscontro la naturale titubanza del popolo che aveva sentito dire anche che gli abitanti erano potenti, le città fortificate, ed aveva fatto rimostranze contro Mosè perché tutto sembrava un azzardo. La voce rassicurante di Caleb, il cui nome significa tra l’altro ”fedele”, diviene imponente quando esorta a salire verso Canaan e conquistarla con la certezza di poterlo fare. Molte volte nelle nostre comunità ci sono troppi disfattisti ed inconcludenti paurosi di qualunque novità che non solo non fanno ma impediscono anche agli altri di fare. La novità fa paura perché scomoda dal “si è sempre fatto così!” E questo vale ovunque. L’impegno di osare alla ricerca ed alla conquista di una “nuova terra” diventa sempre più arduo e talora viene sistematicamente impedito da una paura che maschera e tradisce il comodismo acquisito nella propria situazione di vita, anche spirituale. Ci vogliono senz’altro Caled vigorosi e coraggiosi che spingano a guardare e ad andare avanti. Uno di questi è S. Giovanni Maria Vianney (1786-1859), il santo curato d’Ars patrono dei parroci, la cui memoria celebriamo oggi. P. Angelo Sardone

L’autorità di Mosè ribadita da Dio stesso

«Mosè è l’uomo di fiducia in tutta la mia casa» (Nm 12,7). Non poteva esserci elogio più grande riferito ad un uomo, soprattutto per il fatto che è Dio stesso a tesserlo! Il Libro dei Numeri, il quarto del Pentateuco, propone ad integrazione del libro dell’Esodo, avvenimenti, fatti e parole che segnano il cammino del popolo nel deserto sotto la guida di Mosè. Il testo sacro lo descrive come la persona più umile della terra. Mosè è fortemente contestato, ma Dio chiarisce che è lui l’uomo di sua fiducia in tutto Israele, che lo contempla in visione e parla con lui bocca a bocca. È sfrontatezza parlare contro di lui, perché ciò significa parlare contro Dio stesso. In questa situazione non se ne salva alcuno, compreso anche chi è di famiglia come il fratello Aronne e la sorella Maria che si ritrova malata di lebbra per aver osato mormorare e prendersela col fratello, rivendicando una autorità simile alla sua. Il Signore non fa mai le cose a metà ed è preciso e chiaro nelle sue indicazioni e nelle sue scelte. Il ruolo di Mosè e la sua autorità sono indiscusse: è Dio che l’ha scelto ed è Dio che lo conduce anche attraverso scelte che agli occhi degli uomini possono essere opinabili. Questo concetto sarà ripreso da Davide quando canterà: «Non toccate i miei consacrati, non fate alcun male ai miei profeti» (Sal 104,15). Talora capita che con facilità e leggerezza ci si lasci andare in critiche spropositate e discutibili verso chi guida il popolo nel sentiero della fede, a cominciare dal Papa e dai Vescovi, quasi che fossero persone qualsiasi che abbiano brigato per essere a quel posto o non sanno quello che dicono e fanno. Dio ci guardi da questi super cristiani! P. Angelo Sardone