Filippo e Giacomo, testimoni della risurrezione

«Vi proclamo il Vangelo che vi ho annunciato e nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato» (1Cor 15,1). La preoccupazione costante di S. Paolo è stata quella di annunziare il Vangelo con fedeltà assoluta a quanto ricevuto. Ciò costituisce la cosiddetta «traditio». Il vangelo è fondato sul mistero della risurrezione di Cristo attestato dalle fonti testimoniali ed affermato con fermezza ed integrità a partire proprio da esse. Tra i tanti elencati dall’Apostolo, beneficiari dell’apparizione del Risorto, è citato l’apostolo Giacomo il minore del quale, insieme con Filippo, si celebra oggi la festa liturgica, a ricordo della deposizione delle loro reliquie a Roma, nella chiesa dei Dodici Apostoli. Filippo, come Pietro ed Andrea, proveniva da Betsaida. Fu prima discepolo di Giovanni Battista e poi chiamato direttamente da Gesù alla sua sequela. Ansioso di sapere le cose essenziali, viene da Gesù dolcemente rimproverato di non avere saputo riconoscere in Lui il volto del Padre. Giacomo, figlio di Alfeo e cugino di Gesù, fu una personalità rilevante non solo nel Concilio di Gerusalemme, ma anche come capo della Chiesa, alla morte dell’omonimo Giacomo, il maggiore. Scrisse una lettera che si dice cattolica, ritenuta al pari di una enciclica, indirizzata alle “dodici tribù disperse nel mondo”, cristiani di origine ebraica che vivevano in diaspora. Le loro vicende sono riportate nei testi evangelici e negli Atti degli Apostoli. L’annuncio del Vangelo fu per entrambi il lascito del risorto. Auguri a coloro che portano il loro nome, perché traducano nella vita di ogni giorno gli insegnamenti evangelici che salvano e nei quali bisogna rimanere saldi. P. Angelo Sardone

S. Atanasio difensore della divinità di Cristo

«Questi esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore, da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede» (At 11,23). La persecuzione scatenata a seguito della morte di Stefano aveva determinato la cosiddetta «diaspora», cioè la dispersione dei seguaci di Cristo e degli Apostoli nelle terre vicine, la Fenicia verso il mare, l’isola di Cipro e la città di Antiochia, in Siria. Visto che aumentavano le conversioni e l’adesione al Cristianesimo era crescente, la Chiesa madre di Gerusalemme mandò ad Antiochia, Barnaba, soprannome di quel Giuseppe che aveva venduto le sue proprietà depositando il ricavato ai piedi degli Apostoli. Era stato proprio lui a farsi garante di Saulo dinanzi alla naturale diffidenza della Chiesa nei confronti dell’ex persecutore dei cristiani. Il testo sacro lo definisce uomo virtuoso, pieno di Spirito Santo e di fede, ma anche risoluto esortatore nel rimanere fedeli al Signore. Nella storia questi esempi e disponibilità di autentici «facilitatori» si moltiplicheranno già nei primi secoli e concorreranno non solo allo sviluppo della fede e della conoscenza di Cristo, ma anche alla salvaguardia dei valori teologici che determinano il domma. Uno di questi viene ricordato nell’odierna liturgia: S. Atanasio (295-373) vescovo di Alessandria d’Egitto, dottore della Chiesa ed intrepido assertore della divinità di Cristo, negata dagli Ariani e proclamata dal Concilio di Nicea (325). La sua fermezza gli costò sofferenza ed esilio. Conobbe S. Antonio abate del quale scrisse la vita con episodi singolari ed insegnamenti risolutori delle controversie ariane, oggi attuali: «i demoni sono astuti e pronti a ricorrere ad ogni inganno e ad assumere altre sembianze… fingono di parlare come uomini di fede per trarre in inganno e trascinano dove vogliono le vittime dei loro inganni». P. Angelo Sardone