San Francesco il poverello di Assisi

«Per mezzo della croce il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6,14). La croce è il segno della definitiva vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Il supplizio infame riservato ai malfattori ed agli iniqui, fu per Gesù di Nazaret, giusto ed innocente, il trofeo della sua vittoria e costituisce per tutti coloro che lo seguono, il modo ed il mezzo per crocifiggere il mondo. La singolare espressione di S. Paolo si addice perfettamente all’esperienza di vita ed all’itinerario di santità di Francesco, il poverello di Assisi (1182-1226). Il segno più evidente della sua partecipazione ai sentimenti ed alla passione di Cristo, quasi come un crocifisso, furono le sacre stimmate, ricevute da un angelo a La Verna. Cinque raggi di luce si infissero per sempre nel suo corpo nei punti stessi delle ferite di Cristo. Francesco le ritenne un dono e si sentì partecipe con Cristo alle sofferenze di tutta l’umanità e dell’intero creato. La conversione radicale lo aveva portato ad esercitare la povertà estrema con coerenza, in penitenza, vestito con una rozza tunica cinta da un cordone, a predicare anche davanti al sultano d’Egitto, ad essere esempio trainante per tanti, uomini e donne, frati e suore, che lo seguirono e che tuttora lo seguono manifestando al mondo intero il primato di Dio. Il Cantico delle creature, il presepio ed il lupo di Greccio, sono alcuni degli elementi lasciati in eredità dal santo poverello al mondo intero e testimoniano l’amore per le cose semplici, la salvaguardia del creato, l’afflato universale di fraternità. I suoi figli e le sue figlie a distanza di secoli rendono perenne ed attuale il suo messaggio di amore per Dio e per i fratelli. Auguri a tutti coloro, uomini e donne che portano il nome dell’umile poverello di Assisi, perché lo seguano nel percorso di santificazione. P. Angelo Sardone

La Lettera di S. Paolo ai Galati

«Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo!» (Gal 1,10). Subito dopo la predicazione di Paolo nella terra di Galazia, alcuni ebrei cristiani improvvisatisi missionari avevano creato tra la gente confusione e turbamento affermando l’incompletezza del messaggio e la fondamentale ed esclusiva importanza della Legge di Mosè. Tra il 54 e il 57 Paolo scrive loro la sua lettera, affermando l’importanza della fede che genera la salvezza. I vincoli della legge mosaica sono superati dalla fede in Cristo e nel vangelo predicato recentemente. Grande è la meraviglia dell’apostolo dinanzi alla fede vacillante dei Galati che passano in fretta ad un altro vangelo più accomodante e vincolante alla tradizione. Per questo assume un tono deciso ed intransigente affermando che se finanche un angelo dal cielo annunziasse loro un vangelo diverso da quello accolto dalle sue labbra, ciò non solo non sarebbe corretto ma è addirittura maledetto. Il tono è dichiaratamente duro perché vuole combattere la leggerezza con la quale i cristiani passano facilmente da una parte all’altra, secondo forme di convenienza o di instabilità ed immaturità nell’accoglienza di quanto proposto. Il vangelo annunziato non è opera di uomo o di angelo, ma proviene direttamente dalla rivelazione di Cristo. E su questo non si transige. Sembra di leggere una pagina di attualità che disorienta chi è instabile ed irrita fortemente chi si è dato da fare non badando a fatiche e sudore nel proclamare qualcosa che gli non appartiene ma che proviene invece dall’alto. La fedeltà a quanto ricevuto in fatto di fede, è segno concreto di maturità e di coerenza. P. Angelo Sardone

La protezione dei santi Angeli custodi

«Dio manda dal cielo i suoi Angeli a nostra custodia e protezione, per sorreggerci in vita» (Preghiera di Colletta). In un’unica celebrazione la Chiesa venera i santi Angeli Custodi. La memoria liturgica è frutto di una devozione sviluppatasi nel Medioevo ed accolta nel Calendario Romano il 1608. Il nome “angelo” richiama non l’identità ma la missione: dal greco, infatti, significa “messaggero” ed indica un ruolo presente e specificato più volte nella Bibbia. Gli angeli sono inviati da Dio per parlare nel suo Nome e compiere meraviglie. Loro compito è stare alla testa degli uomini, proteggerli, custodirli nel cammino e guidarli all’ingresso del luogo preparato da Dio. A loro si deve rispetto, ascolto e sottomissione senza ribellarsi: ciò garantisce la presenza di Dio e la sua azione efficace contro i nemici. Il loro numero è vertiginoso: «mille migliaia e diecimila miriadi» (Dan 7,10). Fanno parte della gerarchia celeste e sono in una posizione intermedia tra Dio e gli uomini. Offrono a Dio le preghiere e i sacrifici dell’uomo mentre lo conducono sulla via del bene. Erano vicini a Gesù durante le tentazioni; uno di loro Lo confortò nella sua agonia. Dio affida ogni uomo ad un angelo che lo custodisce dalla nascita alla morte, cammina davanti a lui e lo protegge dal male, un «amico che noi non vediamo, ma che sentiamo» (Papa Francesco). La sua protezione è efficace perché in cielo egli vede sempre la faccia del Padre ed indica la strada per raggiungerLo. Noi lo invochiamo: «illumina, custodisci, reggi e governa me che ti fui affidato dalla pietà celeste». Tanti ne portiamo il nome: io anche il privilegio della missione di messaggero della Parola che salva. P. Angelo Sardone

Sintesi liturgica Domenica XVII del tempo ordinario

Sintesi liturgica. XXVIIª Domenica del Tempo Ordinario.

Un accorato appello a Dio invoca da Lui aiuto nella contingenza umana fatta di iniquità ed oppressione. La risposta è precisa: la visione ha una scadenza ed è vera; il disonesto soccombe mentre invece il giusto vive per la sua fede. Ne basta poca, quanto un granello di senape per comandare ad un gelso di spostarsi e piantarsi nel mare. Il servo sta alle direttive del padrone ed esegue gli ordini ricevuti. Secondo la logica di Cristo ciascuno, come chi ha fatto tutto quanto gli è stato ordinato, deve ritenersi servo inutile. Lo Spirito di Dio è forza, carità e prudenza. A chi ne è ripieno, conferisce coraggio anche nella sofferenza e nella custodia dei beni preziosi ricevuti in dono: la fede, la personale vocazione. Sono modelli imprescindibili gli insegnamenti accolti sulla base della fede e dell’amore di Cristo. P. Angelo Sardone

Santa Teresina e la “piccola via”

«Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (Gb 42,5). L’epilogo dell’interessante libro di Giobbe è costituito da una sorta di resa del saggio e paziente personaggio, ricompensato da Dio con la moltiplicazione di quanto aveva perduto, per un nuovo e più promettente avvenire. L’iniziale e superficiale conoscenza di Dio deve cedere il posto ad una più profonda che attui una dimensione purificatrice ed esprima una forma intelligente di accondiscendenza a Dio, in cerca non di cose grandi, superiori alle proprie forze, ma come un bimbo svezzato tra le braccia della madre (Sal 131,2). Tale è l’esperienza di vita e di santità di Teresina del Bambino Gesù (1873-1897) la giovanissima santa carmelitana scalza, dottore della Chiesa. Nata in una famiglia profondamente credente ed entrata a far parte del Carmelo di   Lisieux quando aveva appena 15 anni, ha aperto la strada della santità riconosciuta anche ai suoi genitori, Luigi e Maria Zelia, dichiarati santi il 2015, e ad altre tre sue sorelle, tutte Carmelitane, in particolare Celina, per la quale è in atto il processo di beatificazione. La sua caratteristica è la «piccola via o dell’infanzia spirituale», il cammino per la santità con tutte le imperfezioni, una sorta di ascensore per innalzarsi fino a Gesù, senza più bisogno di crescere, ma al contrario diventare sempre più piccola. Un’aggressiva tubercolosi la condusse alla morte ad appena 24 anni. Si vede anche e soprattutto con gli occhi dell’anima. Talora quelli del corpo sono insufficienti: scorgere la via della vita e cominciare a percorrerla è il mezzo più efficace per la buona riuscita in terra e l’itinerario di santificazione per il cielo. P. Angelo Sardone