L’immoralità a Corinto

«Si sente dovunque parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani» (1Cor 5, 1). La città di Corinto non certo brillava per moralità. In essa c’era una confluenza notevole di culture diverse con correnti di pensiero e di religione molto differenti e rilassamento di costumi che la rendeva tristemente famosa nel mondo antico. Nelle due lettere che S. Paolo scrive alla comunità cristiana ivi residente affronta e cerca di risolvere diversi delicati problemi soprattutto di carattere morale. Tipico rimane quello gravissimo dell’incesto, determinato dalla vita more uxorio tra un uomo e la moglie di suo padre, la matrigna. Questa unione che era proibita sia dal Libro del Levitico che dal diritto romano, era però tollerata dai rabbini presso i pagani che si convertivano, fino al punto che proprio a Corinto i neofiti si gonfiavano di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti, ed incapaci di escludere dalla comunità il reo di questo scempio immorale. L’apostolo interviene duramente perché il colpevole sia tenuto per qualche tempo in disparte dalla comunità e dato in balìa di Satana, cioè privato del sostegno della Comunità e quindi esposto al potere demoniaco. C’era da sperare il pentimento in vista della salvezza finale. Il lievito vecchio fatto di malizia e perversità, deve cedere il posto alla pasta fresca confezionata col lievito nuovo della sincerità e verità. Il modo di pensare odierno, frutto di un ossessivo progressismo, ormai non fa più caso a tutto questo, dal momento che sono stati scalzati i valori più naturali che richiedono rispetto per la dignità umana e la sacralità del corpo e delle azioni, nelle relazioni affettive e matrimoniali. P. Angelo Sardone