XXV domenica del Tempo ordinario

Per gli empi il giusto è sempre scomodo perché con la vita e le sue azioni rimprovera le colpe e rinfaccia le trasgressioni. La verità delle sue parole è messa in dubbio. Dio, invocato a suo sostegno, lo libera dagli avversari e lo salva dalla morte infame. Questa sorte è toccata a Gesù: la predicazione della sua passione è ricorrente, esplicita, e si conclude con la risurrezione. Si fa fatica a comprendere tutto questo: anche gli Apostoli nonostante i ripetuti insegnamenti hanno preferito discutere su chi tra loro fosse più grande. La logica di Cristo è la quella del contrario: chi vuol essere primo deve essere l’ultimo e il servitore di tutti. L’esempio più convincente è il bambino, piccolo, indifeso, attraverso: chi lo accoglie, accogliere Gesù stesso ed il Padre. Gelosia e contese portano disordine, guerre, liti, azioni cattive e rendono infruttuosa la preghiera. La sapienza invece invocata dall’Alto, porta misericordia e buoni frutti. P. Angelo Sardone

Raccomandazioni pastorali utilissime ed attuali

«Ti ordino di conservare senza macchia ed irreprensibile il comandamento fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. (1Tim 6,14-15). A conclusione della sua lettera S. Paolo confermando il grande affetto e la sua stima per Timoteo, mentre ribadisce l’esigenza di trasmettere il Vangelo in maniera corretta, gli dà l’ordine perentorio di conservare la serie dei comandamenti che ha illustrato nel corso della trattazione ed in particolare il comandamento dell’amore. Il deposito della fede deve essere il contenuto della predicazione e della catechesi da conservare, annunciare e illustrare. Non si tratta di un precetto particolare, ma dell’insieme dei precetti che costituiscono l’ideale della vita cristiana, il «deposito, la sana dottrina, la tradizione». Sono gli elementi posti a base della dottrina e della prassi conseguente. L’uomo di Dio deve praticare la giustizia, la pietà, la fede, la carità, la pazienza, la mitezza che si contrappongono ai vizi dei falsi maestri prima menzionati. La vita cristiana autentica necessita di queste virtù: esse devono superare le regole normali di un buon comportamento, divenendo come un tesoro da osservare e conservare. Timoteo è invitato a prendere come esempio Gesù Cristo la cui testimonianza è stata ferma nel corso del processo subito e si manifesterà ancor più nel suo ritorno glorioso. Queste norme di vita pastorale sono indispensabili non solo per i presbiteri chiamati a testimoniarle con la vita, ma anche per i cristiani comuni depositari di un dono di fede che soprattutto oggi va difeso ed annunziato con fermezza e convinto coraggio. P. Angelo Sardone

I santi Cornelio e Cipriano

«Non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l’imposizione delle mani» (1Tim 4,14). La grazia che corrobora la fede e la risposta alla chiamata di Dio viene a Timoteo dal dono gratuito ricevuto con l’imposizione delle mani nell’ordinazione e dalla profezia fatta su di lui. S. Paolo glielo ricorda invitandolo a non trascurare il carisma che è in lui. Sono qui espressi gli elementi primordiali del sacramento dell’Ordine. L’imposizione delle mani serve a creare capi e maestri delle comunità cristiane (vescovi e presbiteri) con la collaborazione degli stessi presbiteri, che indicano la comunione spirituale di tutti con la persona eletta al ministero. Sulla scia di Timoteo si collocano i santi Cornelio papa e Cipriano martire, giovane vescovo di Cartagine, entrambi del III secolo, ricordati dalla Chiesa oggi e lodati con una sola voce. Entrambi, affermando l’unità della Chiesa, si batterono contro Novaziano un prete scismatico che affermava la debolezza della Chiesa dinanzi ai transfughi. Doveva essere salvaguardata l’unità dei cristiani con i rispettivi vescovi, e dei vescovi col papa di Roma. La loro sintonia tenne fermi alcuni principi soprattutto contro lo scisma. Morirono sotto l’imperatore Valeriano, il primo a Civitavecchia e Cipriano a Cartagine, decapitato. È molto bello notare questa sintonia che non è fatta solo di principi teologici e giuridici, ma soprattutto di condivisione di spiritualità ed intenti pastorali. In questo tempo ricco di forti e laceranti contraddizioni anche all’interno della Chiesa, la loro testimonianza ed unità è la risposta più efficace alla verità del Vangelo di Cristo. P. Angelo Sardone

Maria Addolorata

«Presso la croce di Gesù stava sua madre» (Gv 19,25). Lo struggente e drammatico racconto della passione di Gesù sul Calvario si conclude con una annotazione autobiografica dell’evangelista Giovanni che si trova accanto alla Madre di Gesù sotto la croce. Non c’è Giuseppe come a Betlemme accanto alla mangiatoia; non ci sono gli altri Apostoli scappati tutti via; è rimasto un nugolo di donne accanto a Maria. Il quadro della crocifissione è così completo in tutto l’essenziale per quello che è avvenuto e quanto ancora deve accadere. Per la seconda volta a Maria, come a Nazaret, viene chiesta la disponibilità di diventare madre, passando dalla generazione dell’Unigenito Figlio di Dio alla generazione spirituale di tutti gli uomini rappresentati da Giovanni, il discepolo amato da Gesù. Lei accetta e diviene madre. Sotto la croce è Madre del dolore, associata in forma straordinaria alla passione del suo Figlio: si avvera la profezia di Simeone del cuore trafitto dalla spada. La Chiesa e la Tradizione cristiana la definisce ed invoca Addolorata e raccomanda vivamente di non trascurare «la memoria dei dolori della beata Vergine Maria». Ciò avviene anche facendo compagnia a Maria immersa nel profondo dolore per la morte del suo Figlio e contemplando quanto l’arte visiva ha consegnato all’umanità di ogni tempo attraverso il segno della Pietà. In Maria, straziata dal dolore, si concentra il dolore dell’universo intero per la morte di Cristo. Come non pensare alle nuove ed attuali Addolorate, madri che perdono i loro figli non solo per la tragedia della morte fisica! Maria è sostegno nella prova, forza sotto il peso del dolore, fiducia certa nella vittoria. P. Angelo Sardone

La bocca d’oro

Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità (1Tim 2,4). L’espressione ha enorme valore ed importanza teologica perché afferma che la volontà di desiderio di Dio è la salvezza di tutti gli uomini. Questa volontà è condizionata dalla libera accettazione e determinazione umana che addirittura può respingere questo dono. La condizione indispensabile è la conoscenza della verità, cioè l’accoglienza del messaggio evangelico. S. Giovanni lo aveva affermato mettendolo in bocca a Gesù nel riferimento alla vita eterna: essa consiste nel “conoscere il vero Dio e Colui che ha mandato, Gesù Cristo”. La volontà di salvezza di Dio che va incontro alle sue creature indebolite dal peccato si è concretizzata nella persona stessa di Cristo. Una superlativa conoscenza di Cristo e della sua verità l’ha raggiunta il santo dottore e grande predicatore che oggi la Chiesa ricorda nella liturgia, Giovanni soprannominato Crisostomo (349-407). Il suo nome dal greco significa “bocca d’oro” a causa dei sermoni di fuoco che fustigavano i vizi e riservavano sonori richiami ad indolenti rilassati nei costumi ed avvezzi alla ricchezza. Fu patriarca a Costantinopoli e la sua azione pastorale era molteplice e variegata: instancabile predicatore della Parola ed operatore di pace, promosse l’evangelizzazione delle campagne e la creazione di ospedali. “Il popolo lo applaudiva per le sue omelie e lo amava” (Socrate, Storia ecclesiastica 6,4). L’invidia di tanti si tramutò in inimicizia per cui andò in esilio e subì diversi giudizi. Il suo motto è quanto mai attuale per preti coraggiosi e laici integerrimi: “Gloria a Dio in tutto!”. P. Angelo Sardone

Il santissimo Nome di Maria

«Anna si purificò, porse il seno alla bimba e la chiamò Maria» (PdG, 5). Questascarna indicazione è riportata dal Protoevangelo di Giacomo: la bimba nata da Gioacchino ed Anna, riceve il nome di Maria. Nell’accezione più comune tale nome significa «dono avuto da Dio, graziosa, beneamata». Maria, o Myriam era la profetessa sorella di Mosè. Per lamentalità biblica il nome indica l’essenza della persona e delle cose. Il testo apocrifo annota come la bimba cresceva a vista d’occhio e la madre si premurava che nessuna cosa profana o immonda le venisse data in mano. Come anche che i sacerdoti, invitati da Gioacchino a festeggiare il suo primo anno di vita, chiesero al Signore di benedirla e di darle «un nome rinomato, perpetuo per tutte le età». Alla maniera di Anna, mamma di Samuele, anche Anna, madre di Maria, innalzò il suo cantico di lode al Signore per ringraziarlo di averla visitata e liberata dal disprezzo dei nemici a causa della sua maternità in età avanzata. Maria, poi presentata al Tempio di Gerusalemme, crescerà e diventerà lei stessa il tempio vivo nel quale Dio porrà il suo Figlio. San Bonaventura che nelle sue opere parla circa tremila volte di Maria scrive che «La Vergine ha un nome eccellentissimo, un nome tale che a umana creatura non può convenirne uno più elevato. Il nome è “Madre di Dio”». S. Annibale affermava: «Questo solo nome è una musica dolcissima, che acquieta le tempeste del cuore, è un balsamo soavissimo, che dolcifica lo spirito più oppresso ed amareggiato, è un favo di miele la cui divina ricordanza fa languire d’amore». Fortunato allora chi porta questo nome. Auguri vivissimi a tutte le Maria. P. Angelo Sardone

XXIV domenica del Tempo ordinario

Un tratto dei Carmi del Servo di Jahwè, capolavoro teologico e letterario di Isaia, presenta e descrive il Messia, Gesù di Nazaret, che, assistito dal Signore, si sottopone ad ogni forma di strazio fisico e morale. A Cesarea di Filippo analogo insegnamento del Maestro non sortisce effetto positivo in Pietro che pure poco prima aveva riconosciuto in Lui il Cristo. Il sonoro rimprovero di Gesù riequilibra le cose e chiarisce alla folla ed ai discepoli che per seguirLo davvero, occorre rinnegare se stessi e perdere la propria vita, prendere e portare la propria croce. La fede vera deve essere seguita ed attuata dalle opere. Diversamente è morta. Una fede operosa apre infatti alla salvezza. La memoria liturgica facoltativa del Nome di Maria oggi è omessa. Auguri a chi porta questo bellissimo nome. P. Angelo Sardone

Dio perdona chi si converte a Lui con tutto il cuore

«Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori dei quali io sono il primo» (1Tim 1,15). Questa perentoria espressione è definita da S. Paolo con autorevolezza certa, come “degna di fede e di ogni accoglienza”. La sua conversione rientra nel piano comune di salvezza attuato da Cristo nei confronti dei peccatori, dei quali egli stesso si definisce il primo e più grande. L’umiltà dell’Apostolo ancora una volta gli fa superare la vergogna del suo passato e lo pone nella considerazione di Timoteo nei termini dell’attuale realtà sconvolta dalla potenza della misericordia e della longanimità di Dio. Per questo il suo diventa un esempio per gli altri nuovi cristiani perché si possa avere fiducia in Dio che non guarda il passato, ma accoglie quanto di buono c’è nella persona che si è davvero convertita ed ha deciso di cambiare radicalmente vita. Cristo che è il Salvatore e la cui opera è la salvezza, ha voluto mostrare in lui per primo la sua benevolenza perchè diventasse esempio per coloro che avrebbero creduto. Laddove spesso si pensa che la salvezza si meriti a buon mercato, con una confessione a volte scialacquata, un pellegrinaggio dal quale si torna cambiati a metà, foraggiati da sentimenti passeggeri pseudo spirituali ed emotivamente carichi di serie problematiche mai risolte, l’esempio di Paolo diviene scuola di vita. Caduto a terra e confrontatosi con Colui che prima perseguitava, ha troncato decisamente con la vita di un tempo e si è lasciato afferrare per davvero mente, cuore e corpo per diventare anche lui un vaso di elezione. Questo dobbiamo considerare e capire. Questo dobbiamo imitare. P. Angelo Sardone

San Paolo il persecutore convertito

«Cristo ha messo a suo servizio me che prima ero bestemmiatore, persecutore e violento» (1Tim 1,12-13). Timoteo, tra tutti i collaboratori di S. Paolo era il più vicino ed il prediletto. Era nato a Listra in Licaonia, da padre greco e madre giudea. Si era formato sulle Sacre Scritture dalla mamma Eunice e la nonna Loide, convertito al Cristianesimo dallo stesso Apostolo, una volta circonciso, a poco più di vent’anni prese a seguire Paolo nei suoi viaggi, come è documentato negli Atti degli Apostoli. A lui furono indirizzate due lettere, dette “pastorali”, perché contengono istruzioni ed indicazioni sul come condurre la comunità, organizzare il culto, i vari ministeri, le norme di comportamento. Nella prima, quasi all’inizio, Paolo richiama alla memoria la sua personale conversione, e la trasformazione da bestemmiatore, persecutore e violento, ad Apostolo. Il tutto per opera di Cristo, della sua stima e del suo amore. È stato Gesù misericordioso a ritenerlo degno del ministero e del servizio missionario. L’unica giustificazione del suo errato comportamento la trova nella sua ignoranza, cioè la non conoscenza delle cose di Cristo e nell’incredulità. Questa ammissione mentre non scagiona Paolo dalle sue responsabilità, evidenzia il fatto che è stata solo la grazia a sovrabbondare attraverso la fede e la carità. Questo meraviglioso tratto autobiografico evoca la storia della conversione di tante persone che sono approdate a Cristo dopo aver percorso un itinerario di leggerezza, di ignoranza nella fede, di rifiuto di Dio e della sua legge, ma poi entrate a servizio di Dio e della Chiesa. P. Angelo Sardone

La Parola e la Comunità cristiana

«La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza» (Col 3,16). La comunità dei battezzati, come quella di Colossi, secondo la concezione di S. Paolo deve avere una fisionomia spirituale e strutture essenziali. La prima in ordine di importanza è la carità fraterna, un vero e proprio vincolo di unità tra le persone. Da questa scaturisce la pace, lo shalom ebraico, che deve regolare i rapporti dei membri della comunità, come il corpo stesso di Cristo e che diviene benessere e felicità. Infine l’inabitazione della Parola di Cristo con tutta la sua ricchezza, realizzata attraverso un’assidua frequentazione. Come nel Vecchio Testamento la presenza di Dio era significata nella Legge e la sapienza nel popolo di Dio, come santuario, così nel Nuovo la nuova presenza di Dio, reale, concreta in mezzo al popolo di Dio, è Cristo ed il Vangelo. È una presenza viva che dimora nella comunità con tutta la sua ricchezza e dà vita ai rapporti ed alla formazione dell’assemblea cristiana. I salmi, gli inni ed i cantici spirituali che sgorgano direttamente dalla Parola e ne sono parte integrante, descrivono la pienezza della lode suscitata dallo Spirito Santo e la manifestazione della riconoscenza a Dio. L’assemblea liturgica ed eucaristica ha assunto questi elementi coordinandoli mirabilmente in una successione conseguenziale: la Parola proclamata è il primo pane e lo Spirito l’agente della consacrazione, ossia della trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù. La Parola di Dio ha il potere di trasformare la vita di ogni cristiano. Bisogna immergersi in essa e lasciarsi condurre. P. Angelo Sardone