Il grande missionario dell’era moderna

«Egli concederà la pioggia per il seme che avrai seminato nel terreno, e anche il pane, prodotto della terra, sarà abbondante e sostanzioso» (Is 30,23). Il Signore richiede sempre la fiducia in Lui invece della ricerca di un’alleanza straniera. Nella sua benevolenza Egli assicura la pioggia che irrora il seme nel terreno e dona il pane in maniera abbondante e sostanziosa. In questa verità si delinea la vita di S. Francesco Saverio (1506-1552) il più grande missionario dell’epoca moderna. Spagnolo di nascita fu dotato di straordinario ingegno; all’Università della Sorbona a Parigi conobbe S. Ignazio di Loyola e con lui strinse un fecondo rapporto di amicizia e condivisione fino al punto di seguirlo nella sua avventura carismatica insieme con altri studenti. Nacque così la Compagnia di Gesù. Dal suo Fondatore fu designato come missionario nelle Indie per le quali partì il 14 marzo 1540, quando aveva 35 anni, giungendo a destinazione dopo 13 mesi di navigazione e tanti stenti. Con un singolare metodo di apostolato condusse la predicazione del Cristianesimo: non aspettava che la gente andasse da lui, percorreva le strade invitando tutti a seguirlo in Chiesa, cantando le lezioni catechetiche adattate in versi, con un linguaggio comprensibile. Aprì così la porta all’evangelizzazione del Giappone rimanendovi due anni e nutrendo il desiderio di andare in Cina, cosa che si realizzerà dopo con l’italiano P. Matteo Ricci. Profondamente convinto della necessità della predicazione e della evangelizzazione di quelle terre e di quei popoli supplicò più volte il mondo culturale occidentale e gli studiosi delle università di tenere conto di questa esigenza. Arso di santo zelo della salvezza delle anime morì di polmonite ad appena 46 anni di età, consumato dalle eccezionali fatiche apostoliche. É una straordinaria figura che ancora oggi inquieta le coscienze. P. Angelo Sardone

La sordità dei morenti

«I sordi udranno in quel giorno le parole del libro; liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno» (Is 29,18). La serie di oracoli di Isaia si intreccia con diversi testi che annunciano sventura, salvezza, giudizi, promesse di salvezza. Nella logica dei rapporti con Dio sono proprio gli svantaggiati che, contrariamente ai potenti, godono della sua benevolenza perché a Lui si affidano. Per questo Dio stesso li libera dall’oscurità, dalle tenebre e dalla sordità perché possano udire, vedere ed agire rettamente. L’ascolto della Parola del Libro e la luce fulgente della fede sono i connotati propri dell’Avvento. La sordità e la cecità spesso derivano dal peccato e dalla chiusura di mente e di cuore dinanzi ai continui stimoli della grazia che vengono giornalmente dagli avvenimenti, dalla Liturgia, dalle necessità e dai bisogni sia spirituali che materiali. Tanti anni fa mons. Filippo Strofaldi musicò con note molto espressive un bellissimo testo di Bruno Forte, «A terra d’o cielo» tradotto dalla Leggenda dei Chassidim, i pii ebrei della diaspora. In esso un pellegrino era andato alla porta del cielo, la porta del mistero, da Dio per essere ascoltato, affermando di aver annunciato la sua Parola alla «sordità dei morenti» e di non essere stato ascoltato. La Voce di dietro la porta gli disse: «Torna indietro, qui non c’è ascolto: ho nascosto il mio ascolto nella sordità dei morenti». Quando la Parola si fa ascoltare dalle orecchie di un sordo e la luce della fede penetra gli occhi di un cieco, allora vuol dire che il Messia è arrivato o sta per giungere, lo stesso che proprio attraverso la sua Parola guida, protegge, illumina, sostiene e salva. P. Angelo Sardone

La confidenza nel Signore

«Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna» (Is 26,4). Una sezione del lungo libro del profeta Isaia, nella sua prima parte, è contrassegnato come «Apocalisse» e contiene due inni di ringraziamento. Uno di questi, inneggia a Gerusalemme, la città santa eretta da Dio con le sue mura alte come salvezza e rifugio per i giusti ed evoca l’amore saldo di Colui che assicura la pace. Il cammino di Avvento prospetta come meta il luogo dell’incontro con l’Emmanuele, il Dio con noi, nei luoghi santi nei quali si respira l’aria di Dio resa ancora più salubre dalla ricchezza del suo amore. La venuta del Signore nelle sembianze di un bimbo, rivissuta nel mistero del Natale come rievocazione della sua prima venuta nella carne, induce a superare gradualmente la tenuta di ciò che si vede ed attira l’attenzione (l’esemplificazione del presepe e di tutto ciò che ruota attorno) ed a puntare decisamente occhi e cuore su una considerazione più teologica ed essenziale, sostenuta dalla Liturgia di questi giorni, molto espressiva ed accattivante. È necessario il salto nella fede, non sempre facile, attraverso la conduzione sistematica e paziente e l’introduzione nella comprensione più adeguata dei testi sacri. Le emozioni di questa primissima fase si concentrano nell’accoglienza delle grandi verità è delle stimolazioni della Parola a confidare nel Signore la vera roccia dell’esistenza. Dio è davvero roccia di verità, base certa per la fondazione della propria vita con la sicurezza di andare su con l’assistenza ed il sostegno giornaliero del Creatore che guarda sempre con interesse la creatura e lo indirizza, già in questa vita, al gusto dell’infinito. P. Angelo Sardone

La custodia delle profezie

«Dio che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra breve. Ecco, io verrò presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro» (Apc 22,7). La narrazione profetica dell’Apocalisse sta per chiudersi. La sezione iniziale dell’ultimo capitolo contiene alcune ammonizioni che riprendono i vari temi del messaggio, minacce ad eventuali manipolatori del testo profetico ed il saluto finale. L’Angelo della Rivelazione attesta la veridicità delle parole comunicate nelle diverse visioni, che devono essere ritenute veraci e fedeli perché provengono da Dio: esse ispirano i profeti, compreso Giovanni evangelista, il profeta del nuovo Testamento. Tutto il contenuto del testo sacro non è altro che un compendio di tutto ciò che deve accadere presto. Nel linguaggio apocalittico «presto» non significa immediato, adesso o domani. Il tempo dell’avveramento di queste premonizioni è nascosto all’uomo: potrebbe essere domani, come anche tra mille anni. La cosa importante non è quella di conoscere il tempo, ma di essere sempre pronti all’incontro col Signore che, si rivelerà particolarmente alla fine della vita di ciascuno ed a conclusione della vita sulla terra. Proprio in questa luce si specifica una delle ultime beatitudini contenute nel libro dell’Apocalisse e destinata a coloro che custodiscono le parole profetiche. Custodire non significa solo conservare con cura e gelosamente, ma soprattutto considerarle nella loro entità di Parola di Dio viva, vera ed efficace. Ciò vale in ogni tempo. P. Angelo Sardone

Santa Caterina d’Alessandria

«Vidi le anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della Parola di Dio. Essi ripresero vita e regnarono con Cristo» (Apc 20,49. La narrazione delle molteplici visioni apocalittiche si avvia verso la fine. Il profeta del nuovo Testamento, Giovanni evangelista, continua a descrivere con dovizia di particolari tutte le scene in vista dell’estremo combattimento e della vittoria finale. Ora è la volta dei martiri, specificandone il modo del martirio, la decapitazione. Le prime persecuzioni dei cristiani in tutto il mondo allora conosciuto si concludevano spesso proprio col mezzo risolutivo della decapitazione. Le motivazioni sono molteplici e quelle indicate dal testo sacro sono principalmente due: la testimonianza di Gesù e della sua Parola, il rifiuto di adorare la bestia e la sua statua. Questi elementi primordiali caratterizzano non solo i primi secoli della Chiesa, ma ogni epoca storica anche oggi, laddove la decapitazione non è semplicemente quella fisica del taglio della testa, ma si manifesta e realizza con la recisione delle idee, postulate dalla legge di Dio da quella naturale fino a quella positiva dei dieci comandamenti, con l’asservimento ideologico e talora partitico. La Parola di Dio che guida la vita dei cristiani richiede costantemente adesione e testimonianza. La gloria dei martiri, nella prospettiva escatologica, è la partecipazione al sacerdozio regale di Gesù Cristo. Tutto questo si è espresso anche nella vita di S. Caterina di Alessandria, una martire del III secolo, appena diciottenne, non molto conosciuta, la cui memoria viene oggi ricordata. Per non aver voluto adorare gli dei e contrarre matrimonio con un pagano, fu condannata ad una morte terribile: le fu straziato il corpo con una grande ruota dentata e finita con la decapitazione. P. Angelo Sardone

I santi martiri vietnamiti

«Allora l’angelo mi disse: scrivi: Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello!» (Apc 19,9). Il giudizio sulla città di Babilonia si compie con la sua distruzione. Nella visione mistica, Giovanni evangelista, profeta e veggente, vede la città ridotta ad un cumulo di rovine, rifugio di demoni e carcere di spiriti, uccelli ed animali impuri. Il castigo si riversa in proporzione alle scelleratezze. Il premio è espresso con l’invito a sedersi alla mensa delle nozze dell’Agnello, una allegoria nuziale che evoca l’amore grande di Dio con la sua nazione santa. Le porte della sala nuziale si sono spalancate per i santi Andrea Dung-Lac, prima catechista e poi sacerdote, e circa 130 mila fedeli vietnamiti, uccisi in odio alla fede tra il 1645 ed il 1886. Di essi 117 (8 vescovi, 50 sacerdoti, 59 laici tra cui medici, militari, padri di famiglia, una madre di famiglia, 75 morti per decapitazione, 22 per strangolamento, 6 bruciati vivi, 5 lacerati nelle membra del corpo, 9 carcerati e torturati), furono canonizzati da S. Giovanni Paolo II, e dichiarati Patroni del Vietnam. Si rileggono così pagini mirabili dell’Apocalisse che presentano i veri vincitori della bestia, le anime innumerevoli di martiri e di Santi che hanno seguito in terra l’Agnello ed ora cantano le lodi senza fine. Ad essi è riservato un ennesimo «macarisma», cioè la beatitudine messianica per essere stati invitati alle nozze di Cristo, Agnello senza macchia. Esse non sono altro che l’incontro di Cristo sposo, con la Chiesa sua sposa, il traguardo della storia ed il destino dell’uomo. È necessario cominciare a conoscere e rendersi consapevoli di queste realtà di natura mistica, per prepararsi ogni giorno alla conclusione della vita ed all’accesso al banchetto del cielo. P. Angelo Sardone

Santa Cecilia patrona della musica e del canto sacro

«Getta la tua falce e mieti, perché la messe della terra è matura» (Apc 14,15).
In una ennesima visione, su una nube compare Gesù Cristo giudice al quale viene ingiunto di mietere la messe ormai matura della terra. La mietitura, come la pigiatura è sinonimo del giudizio finale di Dio contro gli empi. Vittima della mietitura in odio al Vangelo fu S. Cecilia (II-III sec.), di cui oggi si celebra la memoria liturgica. Insignita della duplice corona della verginità e del martirio, il suo nome fu inserito nel Canone romano appena avviato il suo culto. Era romana, andata sposa a Valeriano e, secondo il racconto della sua Passione, un testo più letterario che storico, il giorno delle nozze cantava nel suo cuore al Signore di conservarle immacolati il cuore e il corpo. Subì il martirio col vi fuoco che però rimase intrepido senza molestarla e fu poi decapitata. Le sue spoglie, forse sepolte nelle Catacombe di S. Callisto, in ottimo stato di conservazione furono trasferite nella Basilica di Santa Cecilia in Trastevere. Il suo culto è antichissimo e si sviluppò in breve tempo. Nel tardo Medioevo un singolare documento attribuisce a S. Cecilia il canto fatto mentre subiva le torture del martirio. Stimolato da questa indicazione nel secolo XIX sorse il Movimento Ceciliano con l’intento di purificare la musica sacra dalle degenerazioni teatrali e ridare la centralità e lo splendore al gregoriano, al canto polifonico e al suono dell’organo. P. Angelo Sardone

Presentazione di Maria Bambina al tempio

«Sono coloro che seguono l’Agnello dovunque vada, redenti tra gli uomini come primizie per Dio: sono senza macchia» (Apc 14,4-5). Un’altra visione apocalittica presenta l’Agnello, Gesù Cristo, circondato dai suoi fedeli, i “riscattati”, segnati col suo Nome. Sono senza alcuna contaminazione nella fede e seguono Cristo dovunque Egli vada. In questa luce rivelatoria si colloca la Presentazione della Beata Vergine Maria la cui festa si celebra oggi. L’evento, analogo alla Presentazione di Gesù Bambino al tempio, era festeggiato sin dai primi secoli in Oriente, sulla base di un testo apocrifo del II sec. il cosiddetto Protovangelo di Giacomo. Secondo questo scritto, non ritenuto ispirato, Maria all’età di tre anni fu presentata al tempio di Gerusalemme, per essere consacrata a Dio, entrando a far parte di un gruppo di donne che dimoravano in alcuni locali adiacenti, come un monastero, addette al servizio del tempio con la preghiera. Rimane incognito il motivo per il quale gli anziani genitori, Giacchino e Anna, che pur avevano tanto desiderato un figlio, si privano di Maria quando ha ancora una tenera età. La logica biblica può spiegare il fatto che essendo stata donata da Dio, a Lui doveva appartenere dimorando in maniera privilegiata nel luogo di culto più importante. Con l’adesione al progetto messianico, Maria, dimorante poi a Nazaret, diventerà ella stessa tempio di Dio, Madre del santo e figlio di Dio. S. Annibale M. Di Francia aveva una grande devozione per questo evento: dal 1908 al 1920, ogni anno il 21 novembre si trovava nell’istituto delle Figlie del Divino Zelo a Taormina prr celebrare la Presentazione di Maria fino a quando ella giunse all’età di 15 anni quando andò sposa a Giuseppe. La memoria devozionale è viva ancora oggi nella spiritualità rogazionista e testimoniata a Taormina dalla stanza che sin dal 1921 fu destinata a «Conservatorio» e nella quale il santo Fondatore aveva collocato le statue dei santi Gioacchino ed Anna e del fortunato S. Giuseppe. P. Angelo Sardone

Cristo Re dell’universo

«Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele» (2Sam 5,2).
L’anno liturgico si chiude con la 34ª domenica del Tempo Ordinario, Solennità di Cristo Re dell’universo, istituita da papa Pio XI l’11 dicembre 1925 al termine del Giubileo di quell’anno. La citazione evoca l’importante dato storico nel quale tutte le tribù d’Israele giunte ad Ebron unsero Davide re di Giuda e d’Israele. Nei Vangeli si parla spesso del Regno di Dio avviato da Gesù Cristo con la sua venuta sulla terra. Nel racconto della Passione di Cristo vi è un passaggio che richiama la sua regalità, sulla base di quanto Pilato aveva affermato e che egli stesso aveva ribadito «Tu lo dici, io sono re» (Gv 18,37). I soldati, infatti, lo avevano beffeggiato ed inscenato la parodia regale mettendogli in testa una corona di spine ed una canna in mano come scettro. Cristo Redentore è Re «in senso pieno, proprio e assoluto» (Pio XII) e Signore della storia e del tempo, l’Alfa e l’Omega (Apc 21,6). A Lui tutto è soggetto: il trono sul quale siede e regna è la croce, un trono scomodo dal quale manifesta il senso dell’offerta della sua vita per l’intera umanità. Il suo Regno è ultraterreno, è spirituale ed attiene alle cose spirituali, contrappone al regno di Satana e alle potenze del male. Si impone con la forza della verità e non con le armi: proclama la giustizia, l’amore e la pace! È presente nel mondo nel mistero e giungerà a perfezione con la seconda venuta di Cristo Re che giudicherà i vivi ed i morti. In questo regno viviamo anche noi, entrati a far parte con l’adesione alla fede mediante il Battesimo e la realizzazione della vita cristiana. Adoriamo Cristo Re, proclamiamo il suo Regno di luce e di verità attraverso la fedeltà e l’obbedienza al Vangelo ed alla Chiesa, sposa di Cristo. P. Angelo Sardone

I due olivi, misteriosi messaggeri dell’eternità

«Un grido possente dal cielo diceva loro: «Salite quassù» e salirono al cielo in una nube, mentre i loro nemici li guardavano» (Apc 11,12). Prima della inaugurazione del Regno di Dio, in una nuova visione escatologica, l’evangelista Giovanni riporta un quadro ristretto alla comprensione del mondo giudaico, facendo riferimento con una allegoria, a due personaggi che egli chiama “testimoni, ulivi e candelabri. Essi stanno davanti al trono”, vestiti col sacco che indica penitenza e lutto. In un’analoga immagine adoperata dal profeta Zaccaria, erano Zorobabele e Giosuè gli esponenti del potere politico e religioso. Qui si tratta molto probabilmente di Mosé ed Elia i quali dopo aver compiuto la loro missione nella Città santa sono messi a morte dalla bestia (rappresentazione del demonio con la sua effimera vittoria) e poi risuscitati dal soffio di Dio. Tutto avverrà nella città di Gerusalemme che lo stesso Cristo aveva profetizzato dover essere calpestata dai pagani. Il tempo profetico è di 42 mesi, tre anni e mezzo, quanto durò la persecuzione di Antioco IV Epifane, secondo il racconto di Daniele ed i Libri dei Maccabei. I due testimoni saranno vinti dalla bestia ed uccisi. Il loro corpo rimarrà esposto senza essere sepolto per tre giorni e mezzo nel luogo dove era stato crocifisso Gesù Cristo. Poi la risoluzione finale: saranno assunti in cielo in una nuvola mentre i nemici resteranno a guardarli. Chi si pone al servizio del Signore, soprattutto in ambito di cammino penitenziale, va incontro alla morte, ma come Gesù Cristo, morte ed esposizione del corpo si contraggono nell’arco di tre giorni, perché subito dopo c’è la salita al cielo. P. Angelo Sardone