Il “bue muto”

La semina del mattino

210. «Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro?» (Mc 4, 21). Il compito della luce è risplendere: per questo ha bisogni di spazi liberi. Nella sua predicazione spesso Gesù fa ricorso alla luce ed ai suoi derivati, compresi gli strumenti che la producono e la manifestano. Il linguaggio adoperato è legato all’esperienza della gente, ma vuole essere anche comunicazione esemplificata del suo mistero. Gesù è la luce vera che illumina ogni uomo: per questo non può essere nascosta, ma deve essere collocata sul candelabro. Il compito di farla splendere e comunicarla il Signore l’ha affidato alle intelligenze umane e soprattutto ai Santi che hanno attinto dalla sua luce e l’hanno fatta risplendere nelle tenebre dell’ignoranza. Uno di questi fari di luce che si impone nel tempo e nella storia e si propaga sempre più nella verità senza fine, è il domenicano e dottore della Chiesa, S. Tommaso d’Aquino (1225-1274), uno dei luminari della scienza filosofica e teologica di tutti i tempi. La sua santità si coniuga con la sua impressionante e vastissima cultura. La sua dottrina illumina tuttora i passi della Chiesa. Le sue opere, in particolare le “Summae”, Teologica e Contro i Gentili, racchiudono in maniera mirabile lo scibile teologico e sono geniali soluzioni di vari problemi. La finezza del pensiero, l’analisi esplicativa dei testi, le fonti ripetutamente citate della filosofia antica delle opere dei Padri della Chiesa, lo rendono davvero un pozzo di scienza. Era definito volgarmente «bue muto», ma come opportunamente affermava S. Alberto Magno, suo maestro, i suoi muggiti si odono ancora da un’estremità all’altra della terra! P. Angelo Sardone

Chi vuol capire capisca!

La semina del mattino

209. «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!» (Mc 4,9). La conclusione della parabola del buon seminatore, o più propriamente “dei terreni diversi”, una delle più importanti e significative della predicazione di Gesù, ha questa esplicita e tassativa conclusione. L’ascolto attento della Parola di Dio richiede una disponibilità intelligente e volitiva che aiuta a comprendere e metterla in pratica. La parabola è come un paragone, una ricorrente modalità di insegnamento scelta da Gesù per comunicare agli interlocutori, gente semplice, le grandi verità del Regno. Facendo uso di immagini comuni provenienti dal mondo agreste o da situazioni verosimili, Egli annunzia il mistero e lo affida all’ascolto ed alla comprensione di chi lo segue. Alcune volte, come in questo caso, è Gesù stesso a spiegare agli Apostoli che glielo hanno richiesto, il significato della parabola, perché si facciano interpreti e latori presso il popolo di Dio della comprensione adeguata. Per gli altri la parabola è riservata così come è raccontata, perché ciascuno capisca ed adegui di conseguenza la sua vita. Le categorie della semina evidenziate dal racconto, si riferiscono a quattro situazioni concrete di vita: la strada è sinonimo di superficialità e di dominio del Maligno; le pietre, l’instabilità e la mancanza di consistenza; i rovi, le preoccupazioni della vita e le seduzioni della ricchezza; il terreno buono, la disponibilità all’ascolto e la messa in pratica nella vita. Ciascuno viene invitato a comprendere, cioè a ricercare il senso del racconto ed il proprio inquadramento nella vicenda parabolica, intendendo il limite tra l’immagine e la realtà, adeguando la propria vita all’insegnamento ricevuto. P. Angelo Sardone

I santi Timoteo e Tito

La semina del mattino

208. «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe» (Lc 10, 2). Oggi è la memoria liturgica dei santi Timoteo e Tito, discepoli di S. Paolo, «veri figli nella fede» e suoi più stretti collaboratori. Entrambi di origine pagana, furono convertiti dall’apostolo missionario ed in seguito divennero vescovi di Efeso e di Creta. Essi “insegnano a servire il Vangelo con generosità: ciò comporta anche un servizio alla Chiesa stessa” (Benedetto XVI). A loro Paolo indirizzò le lettere dette “pastorali” perché contengono una serie di direttive sull’organizzazione e la conduzione delle prime comunità cristiane, conformi all’autorità apostolica. Supporto di riflessione e preghiera è il tratto evangelico della messe e degli operai che costituisce il dato carismatico ed operativo di S. Annibale M. Di Francia e dei suoi figli spirituali, i Rogazionisti e le Figlie del Divino Zelo. La versione lucana, pone la singolare espressione di Gesù che invita ed insegna una preghiera nuova, in un contesto missionario, all’atto dell’invio dei 72 discepoli, allargando oltre i soli Apostoli, la prospettiva di un impegno orante comune. Il verbo adoperato dall’evangelista è all’imperfetto, “diceva”, al contrario della versione matteana che riporta un secco “disse”, quasi a significare che questa realtà e questo insegnamento Gesù lo ripeteva più volte. Risulta ancora oggi un mistero la scarsezza degli operai dinanzi ad una messe sempre più abbondante. Di qui la necessità di accogliere il «divino comando» e metterlo in pratica non solo pregando e diffondendo lo spirito di questa preghiera, ma sforzandosi ciascuno di essere per primo “buon operaio del vangelo”. P. Angelo Sardone

La conversione di S. Paolo

La semina del mattino

207. «Gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista. Si alzò e venne battezzato, poi prese cibo e le forze gli ritornarono» (At 9,18). La conversione di S. Paolo è raccontata tre volte nel libro degli Atti degli Apostoli, due volte direttamente dalla sua bocca. Lo imponeva la sua importanza, trattandosi di un persecutore accanito che però si arrende dinanzi alla seduzione di amore subita da Gesù Cristo sulla via di Damasco. La ferrea formazione spirituale ricevuta nel Giudaismo alla scuola di Gamaliele lo aveva portato a contrastare fortemente la nuova Via del Cristianesimo ed a farsi paladino della verità dei Padri ad ogni costo, finanche allo spargimento di sangue. Gesù gli si rivela apertamente: lo getta a terra accecandolo con la sua luce. Il rigore teologico e l’odio acerrimo verso i seguaci del Nazareno si infrangono nella caduta più dolorosa della sua vita. La potenza di Dio lo innalza al terzo cielo dove contempla cose che non si possono raccontare. Viene introdotto nella comprensione del mistero di Cristo del quale diventerà l’Apostolo per eccellenza. Afferrato dal suo amore, non lesinerà fatiche, preoccupazioni e dolori per l’annunzio del Regno, prediligendo i pagani. La sua conversione è frutto di una resa incondizionata alla grandezza dell’amore di Cristo. Spesso bisogna essere caduti a terra per cominciare a capire le verità che stanno intorno e che poi si rivelano presenti anche nel cuore. La conversione vera è frutto di una sublime illuminazione che acceca ed annienta anche le conoscenze più alte e l’esperienza del passato per aprirsi al presente segnato dall’umiltà e dalla fiducia in Dio. P. Angelo Sardone

Vi farò pescatori di uomini

206. «Venite con me, vi farò diventare pescatori di uomini! E quelli, subito, abbandonarono le reti e lo seguirono» (Mt 4,18-19). Gesù aveva appena cominciato il ministero pubblico. La sua predicazione ambulante verteva su due termini stretti per la mente ed il cuore: convertirsi, cambiare vita e credere al Vangelo, il lieto e nuovo messaggio di salvezza. Simone e suo fratello Andreastanno pescando nel lago di Galilea. Gesù passa, li vede e li chiama. Giacomo e suo fratello Giovanni sono a qualche metro di distanza nella barca con il loro padre Zebedeo a riparare le reti. Gesù li vede e li chiama. Certamente i quattro dovevano conoscersi tra loro: la dura realtà del faticoso mestiere di pescatori li aveva accomunato negli intenti lavorativi e nelle preoccupazioni giornaliere. Vivevano di pesci: era gente semplice, così diversi l’uno dall’altro, col pensiero del pane quotidiano. Andrea e Simone tornano a riva, lasciano la barca e seguono Gesù. Gli altri due fanno la stessa cosa, con immediatezza. Divenuti discepoli essi saranno gradualmente introdotti alla comprensione della missione del Messia ed al mistero della sua persona. Il suo atteggiamento risoluto, troppo alto per loro, li accomunerà nella sorte meravigliosa, di “stare su dodici troni per giudicare le dodici tribù d’Israele, ed avere in eredità la vita eterna” (Mt 19,28-29). La vocazione di speciale consacrazione è frutto di un amore grande che cambia la vita e che esige abbandono fiducioso e perseverante nella vita di Cristo, al servizio della Chiesa. P. Angelo Sardone