S. Giovanni Maria della croce: mistico d’eccezione

«Ti rendo come una trebbia acuminata, nuova, munita di molte punte; tu trebbierai i monti e li stritolerai, ridurrai i colli in pula. Li vaglierai e il vento li porterà via» (Is 41,15-16). Compare per la prima volta nel DeuteroIsaia, il termine «servo» che occuperà le pagine più espressive della sua sezione biblica. Giacobbe/Israele-Dio rappresenta un rapporto di fiducia e di amore nel quale il Signore invita a non temere, perché è Lui che garantisce la salvezza ed il sicuro aiuto. L’immagine campestre della trebbia acuminata con molte punte per trebbiare i monti e ridurre in polvere i colli, si addice al dottore della Chiesa S. Giovanni M. della Croce (1542-1591), uno dei santi Carmelitani più noti, mistico, grande maestro di vita spirituale e, insieme con S. Teresa d’Avila, riformatore dell’Ordine del Carmelo. Gli studi filosofici e teologici condotti con grande serietà, unitamente ad una vita spirituale di qualità segnata dalla preghiera, dalla contemplazione e dalla pratica dell’ascesi, modellarono una personalità di tutto rispetto. L’incontro con S. Teresa d’Avila, donna matura di Dio e di vita, che stava lavorando per la riforma delle Carmelitane, lo convinse a dar corpo a quanto si portava nel cuore: affiancare alla contemplazione nell’itinerario personale di santificazione, la missione di salvezza degli altri. Insieme diedero inizio ai Carmelitani Scalzi o Riformati. A causa di dissapori interni e a terribili opposizioni, passò come disobbediente e ribelle e patì anche il carcere. Scrittore fecondo di testi mistici ha lasciato l’eredità teologica nel Cantico Spirituale, la Salita al Monte Carmelo, la Notte Oscura, frutti mirabili della sua profonda esperienza spirituale. Anche S. Annibale M. Di Francia è cresciuto alla scuola dei suoi libri, mediando da lui il grande amore per il Carmelo al quale aderì ed a Napoli il 30 agosto 1889 divenne Terziario carmelitano, assumendo proprio il nome di Fra Giovanni Maria della Croce. P. Angelo Sardone

S. Lucia tra verginità e martirio

«Dio dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano… ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza» (Is 40,30-31). La grandezza di Dio si manifesta nel sostegno continuo che offre dando forza a chi è stanco e vigore a chi è spossato. In Lui si riacquista la forza, il coraggio per correre senza affannarsi e camminare senza stancarsi. Oggi la Chiesa celebra la memoria liturgica di S. Lucia, vergine martire del III secolo, di straordinaria bellezza, che incarna nella sua vita e soprattutto nel suo martirio, questi dati mirabili. Il suo nome evoca la luce e le sue gesta manifestano la grandezza della fede e la sua adesione a Cristo suo sposo. La devozione cristiana le ha riservato da sempre una grande attenzione ed una venerazione universale. Insieme con S. Agata da Catania e S. Rosalia da Palermo, fa parte del trittico di donne sante della Sicilia che onorano il panorama agiografico di ogni tempo. Desiderosa di donarsi tutta a Cristo, rinunciò ai beni materiali ed affettivi per dedicarsi alle opere di misericordia verso i poveri, gli orfani, le vedove. In piena persecuzione di Diocleziano, non le furono risparmiati supplizi inauditi da parte del magistrato aizzato da chi pretendeva di averla in moglie. La tradizione cristiana la vuole patrona degli occhi e la iconografia comune la rappresenta oltre che con la palma del martirio, con in mano un piattino sul quale sono poggiati i suoi occhi. Ciò è dovuto principalmente alla connessione etimologica del suo nome con il termine luce, sia quella materiale che quella spirituale. Auguri a tutte coloro che portano questo bellissimo nome, perché vivano la luce interiore della fede e della grazia e siano per tutti, strade di luce nel cammino di santità della vita cristiana. P. Angelo Sardone

L’uomo è come l’erba

«Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo» (Is 40,6). Il profeta Isaia è senz’altro un genio religioso. La sua predicazione, i suoi insegnamenti hanno segnato non solo la sua epoca ma l’intero corso della vita del popolo di Israele, antico e nuovo. I tre personaggi identificati con lo stesso nome e vissuti in epoche diverse, sono tutti e tre straordinari per quanto comunicano con il loro scritto. In particolare, il cosiddetto «deuteroisaia», cioè il secondo Isaia del sec. VI a.C. pronunzia oracoli consolatori nei confronti del popolo prigioniero a Babilonia con la città di Gerusalemme conquistata e distrutta. La sua parola annunzia la restaurazione ormai vicina: Dio che non è solo creatore ma anche Salvatore, attraverso un nuovo esodo condurrà il suo popolo nella nuova Gerusalemme ancora più bella della prima. Nell’annuncio della liberazione Dio mette sulla bocca del profeta oracoli che richiamano l’uomo alla considerazione reale della sua identità. Qui, come in altri passi della Bibbia, il paragone letterario adoperato si rifà alla natura vegetale: «ogni uomo è come l’erba; tutta la sua gloria è come il fiore del campo». Questa immagine evoca la fragilità ed il carattere effimero dell’esistenza umana: dal mattino alla sera della vita, essa può finire inesorabilmente senza alcun preavviso. Come un fiore di campo fiorisce: investito da un vento, non c’è più (Sal 103,16); l’uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa (Sal 144,4). A questa vita occorre dare valore e pieno significato dal momento che come un’ombra può dissolversi in un momento e lasciare nulla dietro di sé. P. Angelo Sardone

Preparare: il verbo di oggi

L’Avvento è un evento. Nella Liturgia ogni anno la Chiesa lo propone come un «tempo forte» nel quale tutti i credenti sono coinvolti nella preparazione immediata alla venuta intermedia di Cristo, in vista di quella definitiva alla fine dei tempi. La venuta nella carne, preparata a suo tempo dalle eloquenti parole profetiche, ha un tono particolare perché porta nel cuore e nella vita dei seguaci di Cristo la consolazione. In genere l’evento viene preannunziato dall’avverbio «ecco» che non è un intercalare ripetitivo e riempitivo, ma ha la funzione di avvertire che sta per compiersi qualcosa di nuovo, di grande. La lunghezza e la varietà del libro di Isaia permette di attingere direttamente dalla seconda parte dello scritto, il cosiddetto «Libro delle consolazioni di Israele» che va dal capitolo 40 al 55, le parole necessarie ed efficaci che danno risposta all’attesa dei secoli del Salvatore Gesù Cristo: Egli giunge con la potenza della sua gloria, amministra la giustizia ed il diritto e porta con sé il premio. Si lascia precedere dalla ricompensa ed incoraggia, reca sollievo, esorta, conforta coloro che soffrono. In ogni tempo c’è tanto bisogno di consolazione, di aiuto concreto nelle situazioni di indebolimento, oppressione e depressione sempre più comuni, fino a non poter più prendere fiato e perdere la speranza. Dio non abbandona mai! Il ritorno ciclico del Natale del Signore, seppure nel mistero e nella Liturgia annuale, conferma la presenza consolatoria di Dio che opera nella Chiesa attraverso lo Spirito Santo, che Gesù stesso ha definito il «Consolatore». P. Angelo Sardone

Una strada sicura, un certo cammino

«Anche se il Signore ti darà il pane dell’afflizione e l’acqua della tribolazione, non si terrà più nascosto il tuo maestro» (Is 30,20). L’Avvento è tempo di attesa, di conversione, di speranza. Attraverso l’ascolto della Parola di Dio che, secondo la concezione profetica, sradica ed edifica, trasforma il deserto in terra fruttuosa, il cammino si rende più concreto ed efficace. L’esperienza del popolo di Israele nell’esodo è per il cristiano di ogni tempo, il prototipo di un itinerario segnato anche dall’afflizione e dalla tribolazione, ma illuminato e guidato dalla luce del volto di Dio e del suo Cristo. Nelle contraddizioni della vita di oggi, segnata da sconvolgimenti culturali ed epocali dovuti alla perdita dei valori essenziali e naturali, la roccia di salvezza rimane il Signore che, attento e vigile sulla sorte degli uomini, dirizza le vie, rende piani i sentieri scoscesi, asciuga le lagrime, risponde al grido dell’oppresso. Anche se talora il volto di Dio rimane nascosto nelle maglie della sofferenza e dell’afflizione, tipiche della dimensione umana, la fede aiuta a vedere il Maestro e ad ascoltarne la sua Parola, incisiva e chiara: «questa è la strada, percorrila!». Non mancherà la provvidenza, il pane, l’acqua, la cura e la terapia efficace della grazia che come la luce del sole maggiorata sette volte, farà chiarezza sulla strada e nella vita. Le parole di speranza si incuneano nella vita e liberano il cammino dai sassi sgretolati per terra, aiutando ad alzare lo sguardo verso l’Alto ed a rimirare nella stella, l’astro che rifulge e chiama a salvezza. Così l’Avvento acquista senso e l’incedere è meno faticoso perché nutrito di sicura speranza. P. Angelo Sardone

L’Immacolata Concezione

«In Cristo ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1,4). L’Immacolata Concezione di Maria, una delle solennità mariane più sentite dai fedeli e dalla pietà popolare, si inquadra nel periodo dell’Avvento e richiama profezie e simboli dell’Antico Testamento. In perfetta continuità dottrinale con il passato, il dogma che afferma questa verità di fede, risale all’8 dicembre 1854, alla bolla «Ineffabilis Deus» del beato Pio IX che dichiara: «La beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale». L’affermazione dogmatica fu confermata dalle apparizioni della Madre di Dio a Lourdes il 1858, quando si rivelò a S. Bernardetta Soubirous: «Io sono l’Immacolata Concezione». In Maria, santa ed immacolata si ravvisa così l’esordio della Chiesa, sposa senza macchia di Cristo. La sua storia millenaria ha riconosciuto quanto implicitamente era già contenuto nella Rivelazione. In un periodo nel quale tanti teologi si opponevano alla dottrina di Maria Santissima esente dal peccato originale sin dal primo istante del suo concepimento, come se non avesse avuto bisogno di Cristo e della sua redenzione, un apporto decisivo fu dato dal francescano scozzese il beato Duns Scoto (1266-1308) detto dottor sottile, con il significativo argomento della «Redenzione preventiva» secondo la quale l’Immacolata Concezione di Maria è il grande capolavoro della Redenzione operata da Cristo. La sua esclusiva mediazione ha ottenuto che Maria fosse preservata dal peccato originale, redenta da Lui, già prima della sua concezione. Buona solennità ed auguri a tutte coloro che portano il dolcissimo nome di Immacolata e derivati, che inneggia a questo singolare privilegio mariano. P. Angelo Sardone

S. Nicola di Bari: ponte tra l’Oriente e l’Occidente

«La mano del Signore si poserà su questo monte» (Is 25,10). Il sentiero dell’Avvento porta ad un monte dove il Signore ha preparato per tutti un banchetto eccezionale con vivande prelibate e vini succulenti. Il suo scopo è eliminare la morte per sempre, asciugare le lacrime su ogni volto e posare su ciascuno la sua mano provvidente. In questa logica di vita si pone la testimonianza di uno dei santi più noti e venerati dell’agiografia cristiana, S. Nicola di Mira (260-326) o, come più comunemente è conosciuto, S. Nicola di Bari, dal momento che nel 1087 le sue reliquie furono trafugate e ivi condotte per essere venerato come protettore, patrono, e ponte di dialogo tra l’Oriente e l’Occidente. Nato a Patara, nella Licia, sulla costa meridionale dell’attuale Turchia, sin da giovane si esercitò nelle virtù cristiane, in particolare la carità e castità. Le riconosciute sue doti di pietà gli valsero la nomina a vescovo di Mira. Prese parte al Concilio di Nicea (325 d.C.). È noto l’episodio della salvezza di tre fanciulle avviate dal loro padre, caduto in disgrazia economica, alla prostituzione, per procurarsi il denaro necessario per il matrimonio. Il santo diede per dote a ciascuna di loro un sacchetto contenente il denaro sufficiente. L’iconografia lo ritrae con ai piedi tre palle d’oro che richiamano i sacchetti di monete d’oro, come anche la salvezza di tre uomini ingiustamente condannati a causa di tafferugli avvenuti nella città di Mira. Un suo efficace intervento salvò la stessa città dalle eccessive tasse imposte dall’imperatore. L’omonima basilica a Bari, è meta continua di pellegrinaggi provenienti soprattutto dall’est-Europa. Auguri a tutti coloro che portano il nome di Nicola e i suoi derivati, perché, secondo l’etimologia propria del nome, siano vittoriosi sul male. P. Angelo Sardone