Una inutile requisitoria

«Avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo» (At 5,28). Un’accesa requisitoria caratterizza il nucleo del processo sommario istruito e condotto dal sinedrio di Gerusalemme con a capo il sommo sacerdote nelle vesti di accusatore e giudice e dell’intero senato: un dispiegamento eccessivo di forze dei giudei. La proibizione di insegnare nel nome di Gesù era stata vistosamente disattesa e, a ben motivo. Tutto l’apparato giuridico in effetti teme moltissimo lo spandersi a vista d’occhio di questa nuova dottrina che sembra inarrestabile nonostante il reo sia stato giustiziato con la crocifissione. E poi interviene anche il Cielo: la prigione si apre miracolosamente e gli apostoli tornano liberi a predicare nel tempio. La gente li segue, ascolta volentieri e diviene motivo di paura per il comandante e le guardie del tempio. Il sommo sacerdote riprende l’evidente trasgressione del suo comando e la denunzia aperta di incolpevolezza del sangue versato da Cristo. Niente di più falso! La colpa e la responsabilità è tutta del sinedrio, dell’invidia e gelosia dei capi. Gli apostoli si stanno comportando nell’obbedienza fedele a Dio che ha ingiunto loro di dare ampia comunicazione dell’evento che segna il nuovo corso della storia e del tempo. Il risultato è perfettamente contrario: gli accusatori e giudici si infuriano di più manifestando loro aperti propositi di morte. L’obbedienza a Dio più che agli uomini, in particolari circostanze della vita e sotto la pressione e l’imposizione di cose contrarie alla logica umana e naturale, richiede un comportamento di rottura ed opposizione ferma. P. Angelo Sardone

Nuova via e nuova vita

«Andate e proclamate al popolo, nel tempio, tutte queste parole di vita». (At 5,20). Il nuovo annuncio proclamato dagli Apostoli a seguito della risurrezione di Cristo e del dono dello Spirito Santo, provoca soprattutto nei capi religiosi dei Giudei e nella setta dei Sadducei che non ammettevano qualunque forma di risurrezione, invidia, gelosia che si tramutano in odio e vilipendio delle persone. Il mezzo che essi hanno a loro disposizione per intervenire in maniera del tutto arbitraria è il carcere pubblico. In esso i malcapitati non potranno essere più pericolosi. Ma non hanno fatto i conti con lo Spirito che è l’agente della nuova evangelizzazione ed è potente in tutto. La notte stessa del loro arresto un Angelo compare nel carcere sbarrato, libera i prigionieri ed ingiunge loro di andare nel tempio a predicare. Alla grande ostilità dei capi si oppone il coraggio degli Apostoli. Sono chiamati infatti quasi a sfidare i responsabili della cosa pubblica e religiosa, andando direttamente al tempio, il luogo sacro per eccellenza, cuore della stessa nazione, quasi ad indicare che proprio dal tempio deve partire, stando ritti in piedi, il nuovo annuncio che interessa tutto il popolo e che ha il perno fondamentale sulla dottrina della nuova vita. Non una lezione imparata a memoria ma la comunicazione di verità rivelate da Dio. Nuova via e nuova vita sono due realtà presenti nella terminologia apostolica post pasquale. La nuova vita è quella promessa da Gesù con la sua risurrezione e deve esprimersi nel concreto della vita cristiana di ogni giorno. P. Angelo Sardone

Comunione e condivisione

«Nessuno era bisognoso: quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli e distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno» (At 4,34-35). La vita della prima comunità di Gerusalemme è scandita oltre che dalla preghiera da una organizzazione sociale e spirituale. Alla comunione dei cuori e delle anime, si aggiungeva quella dei beni materiali. Infatti i primi cristiani pur non rinunziando al possesso dei loro beni, erano pronti a metterli a disposizione dei bisognosi o li vendevano per andare incontro alle necessità di coloro che non ne avevano. Si viveva così la vera comunione fraterna che non era solo questione organizzativa, ma soprattutto spirituale. Era infatti la vita nuova nello Spirito che determinava queste scelte che risultavano anacronistiche se non assurde agli occhi dei pagani. Veniva infatti dato un valore relativo a tutto ciò che si possedeva per rendere partecipe anche i meno fortunati. Ecco perché la constatazione riportata da Luca è inequivocabile: nessuno era bisognoso. Ciò adempiva quanto già nel libro del Deuteronomio era riportato: «Non vi sarà in Israele alcun bisognoso!» (Dt 15,4). Gli Apostoli poi, inizialmente, erano gli amministratori fidati di quanto veniva loro consegnato con generosità e liberalità perché tutto era distribuito secondo le reali necessità, senza imbrogli e parzialità. L’insegnamento e l’annuncio del Vangelo da parte degli Apostoli corre di pari passo con la direzione delle attività dei credenti. Oggi, in una società ricca di poveri, abbiamo bisogno di tornare a questi elementi, pur nella discrezione di chi dona e di chi riceve, per rendere attuale, nonostante le contraddizioni e gli scandali, la verità del Vangelo che supera le miserie umane e gli interessi egoistici. P. Angelo Sardone

La franchezza della Parola

«Concedi ai tuoi servi di proclamare con tutta franchezza la tua parola, stendendo la tua mano» (At 4,29-30). I primi passi della Chiesa di Gerusalemme sono compiuti in forma sinodale. Decisioni, interventi e preghiera sono stabiliti collegialmente. La guarigione dello storpio con le nefaste conseguenze per Pietro e Giovanni, ha rafforzato la necessità di camminare insieme e di valutare con attenzione situazioni ed ingerenze esterne. É molto significativo che, alla lineare comunicazione dei due apostoli incriminati e rei di aver postulato l’intervento miracoloso nel Nome di Gesù, di quanto avevano ingiunto i capi, segua l’atto più importante della comunità, la preghiera comune. Ed è ancora più bello constatare che la stessa preghiera non è semplicemente emotiva ed attualizzata, ma si colora di un humus propriamente biblico che denota la conoscenza della Scrittura e la sua utilizzazione. L’istanza rivolta al cielo contiene la richiesta di forza per proclamare l’annuncio senza paura e la garanzia della verità testimoniata da guarigioni, segni e prodigi nel Nome di Gesù. L’assenso dall’alto viene, come in altre circostanze teofaniche, dal tremore della terra e dalla presenza dello Spirito Santo che anima gli Apostoli soprattutto, a proclamare con franchezza la Parola di Dio. Questa icona dovrebbe essere sempre un punto di riferimento ecclesiale per la condivisione, la preghiera comune e l’assunzione delle responsabilità onde garantire una retta e concreta conduzione delle comunità parrocchiali e diocesane sotto l’impulso divino sulla stessa comunità riunita nel Nome di Gesù. Probabilmente abbiamo ancora tanto da imparare. P. Angelo Sardone

La divina misericordia

«Quelli che erano stati battezzati erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42). Dopo il cammino di catecumenato gli aspiranti al battesimo ricevevano la notte di Pasqua il sacramento della rigenerazione. La domenica successiva tornavano in chiesa con la veste bianca che avevano portato per otto giorni e la deponevano. Era questa la manifestazione della loro nuova identità di figli di Dio purificati ormai dalla colpa originale e dalle colpe attuali. Si specifica così, sin dai primi secoli di vita della Chiesa, l’odierna domenica detta «in albis», abbreviativo di «in albis vestibus deponendis». I nuovi battezzati erano accolti festosamente e si inserivano nella dinamica ecclesiale caratterizzata nella prima comunità cristiana di Gerusalemme da alcuni elementi divenuti il prototipo di ogni comunità. Innanzitutto la perseveranza o assiduità, basilare per condurre una vita cristiana sistematica ed in crescita, espressa con l’utilizzazione dei mezzi di grazia messi a loro disposizione. Tra questi, particolarmente, l’insegnamento degli Apostoli, cioè la catechesi ordinata ed ordinaria, basata su kerigma, l’annuncio del mistero della morte e risurrezione di Cristo. Quindi la comunione dei beni materiali e spirituali, caratteristica tipica della comunità che permetteva di usufruire dei benefici derivanti dallo stare insieme e dalla condivisione fraterna. Di seguito l’aspetto propriamente liturgico, la frazione del pane, cioè il memoriale eucaristico e le preghiere. Si determina così lo sviluppo numerico crescente di aderenti e la stima da parte della comunità giudaica. Per volere di S. Giovanni Paolo II si celebra oggi la festa della divina misericordia da lui istituita il 1992, a compimento delle visioni avute da santa Faustina Kowalska, polacca, per evidenziare lo stretto suo legame col mistero pasquale della Redenzione. P. Angelo Sardone

Non possiamo tacere

«Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20). La franchezza di Pietro e Giovanni desta tanta meraviglia negli interlocutori agguerriti, i capi dei giudei, che pure considerano la loro semplicità ed inadeguatezza letteraria. Ciò che rende fermi e franchi i due Apostoli è la certezza di quanto annunziano e la forza che viene loro dal mistero della risurrezione che è stata già per loro un’esperienza personale. Sono risorti dalla titubanza e dalla paura al coraggio di parlare e di affrontare possibili nemici. Intanto gli stessi interlocutori non possono negare ciò che è accaduto. È evidente che quello che era storpio ora cammina, tutti lo vedono. Si sentono comunque minacciati nel bagaglio della loro fede che respinge assolutamente Cristo e la sua vicenda ultima di risurrezione. E perché non si divulghi ulteriormente la diceria, decidono di scarcerare i due malcapitati loro malgrado, e di ingiungere loro di non parlare né di Gesù né della potenza del suo nome. La risposta è anche qui ferma e decisa: non possiamo assolutamente tacere su ciò che abbiamo visto ed udito. La verità non può essere messa a tacere perché è verità. Le favole ed i miti lasciano il tempo che trovano, ma ciò che si constata e si tocca con mano non può rimanere nascosto, si diffonde di per se stesso. Emerge qui il dovere fondamentale degli apostoli, di ieri e di sempre: rendere testimonianza, proprio come già aveva insegnato il Maestro. La minaccia umana non ha valore dinanzi a questa ingiunzione dello stesso Cristo. Il popolo della risurrezione viene chiamato ad essere il popolo della testimonianza perché essa, proclamata con le parole ed ancor più con la vita, diviene sempre il mezzo più efficace della diffusione e della difesa della vera fede. P. Angelo Sardone

La pietra angolare

«Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. In nessun altro c’è salvezza» (At 4,11-12). La predicazione della risurrezione di Gesù Dai morti irritava fortemente i capi delle guardie e soprattutto i Sadducei che non credevano affatto a qualsiasi forma di risurrezione. Il compito degli Apostoli è preciso: sono chiamati a diventare i banditori di questa realtà che diviene il fondamento della fede. Impressiona il fatto che Pietro parli non solo con coraggio, ma con una competenza fuori dell’ordinario per uno che era stato semplicemente un illetterato e semplice pescatore. Una particolare grazia di stato lo rende eloquente ed autorevole in quello che afferma. L’evangelista Luca annota con scrupolosità i passaggi più importanti della sua catechesi che si dimostra fortemente ancorata alla Scrittura e proclama con coraggio la verità e l’interpretazione attuale di ciò che è avvenuto. Ciò rende ostili gli ascoltatori, soprattutto i capi che traducono in prigione i due malcapitati Apostoli rei di essere stati comprotagonisti con Gesù della guarigione dello storpio. Niente comunque ormai lo ferma. Alla condanna dei Giudei si oppone la risurrezione operata da Dio. Citando ed interpretando il salmo 117 afferma che Gesù, l’unto di Dio, è divenuto la pietra angolare, ossia la parte determinante del nuovo edificio della Chiesa, la base più robusta destinata a sostenere l’intera costruzione. Questa operazione l’ha compiuta Dio stesso avendolo costituito Signore e Cristo. Proprio in Lui, nel suo Nome c’è salvezza, ieri, oggi e sempre. P. Angelo Sardone

Una coraggiosa apologia

«Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni» (At 3,15). Approfittando della ressa che si era creata al tempio di Gerusalemme dopo la guarigione dello zoppo, con la sua autorità consolidata dal mandato a lui dato e ribadito da Gesù nell’incontro riparatore quasi a cancellare la triplice negazione, Pietro si mette a predicare. È la seconda volta che lo fa, ormai senza paura e con il coraggio che viene direttamente da Cristo. L’annuncio è propriamente pasquale e condensa i temi della condanna a morte di Gesù rinnegato e consegnato a Pilato, della sua vile morte quasi fosse un malfattore, e risuscitato da morti da Dio. Nel suo nome e con la sua potenza mediata dalla fede, lo zoppo è stato guarito. Sia il popolo che i capi hanno agito per ignoranza. Ora non resta altro che convertirsi e confessare le proprie colpe perché si manifesti il regno messianico. Lo stesso rilievo l’aveva fatto Gesù dall’alto della croce quando aveva perdonato i suoi crocifissori giustificando il gesto perché non sapevano che cosa avevano fatto. La dinamica della nuova vita si esprime proprio con la confessione delle colpe e il pentimento sincero. Il tema non è nuovo, ma ribadisce quello annunziato da Gesù sin dall’inizio della sua predicazione. Una Pasqua vera si realizza nella presa di coscienza di una nuova identità cristiana che risale al battesimo e di concretizza in una nuova nascita, «sapendo il perché della vita e guarendo da una lunga e triste malattia, uscendo dall’ombra per volare incontro al sole» (M. Giombini). La simbologia e la poesia non devono rimanere tali, ma concretizzarsi nella vita di ogni giorno. P. Angelo Sardone.

Lo zoppo del tempio

«Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!». Lo prese per la mano destra e lo sollevò» (At 3,6). I primi tempi della vita della comunità cristiana appena costituita a Gerusalemme, sono caratterizzati dai grandi discorsi di Pietro e da alcune azioni straordinarie. La tradizione storica lucana, riporta uno dei primi miracoli operati dallo Spirito tramite gli apostoli: la guarigione dello storpio avvenuta nel tempio di Gerusalemme dove, condotto da alcuni volontari, chiedeva l’elemosina a quelli che entravano. La chiese anche a Pietro e Giovanni che alle tre del pomeriggio si erano recati per la preghiera. Sono interessanti i gesti e le parole adoperate dal Principe degli Apostoli; lo invita innanzitutto a guardarlo e dopo avergli manifestato la sua povertà di mezzi pecuniari, non ha infatti né argento né oro, con tono solenne gli ingiunge: «nel nome di Gesù Cristo alzati e cammina». Queste espressioni le aveva sentito molte volte pronunciate dal Maestro ed ora è lui che, secondo la profezia di Gesù, le proclama e ne vede l’efficacia. Anzi lui stesso lo prende per mano e lo solleva da terra. Il gesto è bellissimo ed evocativo: come Gesù ha sollevato dalla miseria fisica e morale le persone che a Lui si sono affidate, l’Apostolo, e con lui coloro che sono insigniti dell’episcopato e del sacerdozio ministeriale, prende per mano e solleva dalla sua miseria. Questa esperienza si rinnova quando ciascuno, zoppo a causa del peccato, chiede con fiducia l’elemosina della guarigione interiore, concessa attraverso la grazia sacramentale. E, proprio lì, la mediazione sacerdotale è efficace prima di tutto nel donare quanto di più grande si possiede, il Nome di Gesù e poi nell’accompagnare con la mano, lo scatto in piedi ed il cammino spedito nella grazia. P. Angelo Sardone

L’annuncio, il kerigma

«Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2,36). Il giorno di Pentecoste fu per gli Apostoli a Gerusalemme la loro «risurrezione», l’esplosione del coraggio fino allora nascosto per paura dei Giudei e l’inizio della predicazione pasquale. Proprio Pietro che aveva rinnegato Gesù per tre volte, divenne il primo e più autorevole banditore del nuovo messaggio, il «kerigma» condensato nell’espressione «Cristo è morto, Cristo è risorto!»: si tratta di un fatto certo. In questo mistero la potenza del Padre ha rotolato il masso del sepolcro e ridato vita al corpo mortale del suo Figlio, da Lui costituito Signore e Cristo. I due termini che hanno sempre identificato Gesù di Nazaret e che sanciscono la solenne proclamazione dell’esaltazione di Gesù, ora acquistano una valenza terminologica e teologica tutta particolare, determinata dall’evento pasquale e manifestano la pienezza del suo potere messianico. Nel Vecchio Testamento «Signore» era una prerogativa solo di Dio, «Adonai». La versione greca dei LXX eseguita nel II sec. a.C. a cura appunto di settanta persone, traduce il termine «Adonai» col classico «Kyrios» che indica potere ed autorità. Nella prima comunità cristiana questo termine viene riferito esclusivamente a Gesù, esaltato nella sua risurrezione. Paolo ne sarà banditore. «Cristo», è il nome personale di Gesù, significa «l’unto» e ricorda la messianicità realizzata nella sua glorificazione ed esaltazione. Tutto questo fa parte di una teologia che deve cominciare a solidificarsi nella mente e nella vita dei cristiani, a volte troppo distratti o superficiali, perché si accontentano di nozioni apprese dai mezzi più noti di comunicazione e talora da cognizioni approssimative. P. Angelo Sardone