Il tiepido è rigettato da Dio

«Poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (Apc 3,15). Il libro dell’Apocalisse si caratterizza fondamentalmente come rivelazione destinata alle sette Chiese dell’Asia minore e, nella loro persona, a tutte le Chiese. Il numero sette, infatti, indica la pienezza. Il tono profetico è forte e deciso sia nell’elogio di azioni e comportamenti che nel rimprovero talora aspro e duro, per indurre ad una conversione vera e duratura. In particolare la Chiesa di Laodicea, una città molto ricca vicina a Colossi e a Efeso, è destinataria di una fiera reprimenda circa i suoi comportamenti e la condotta di assoluta tiepidezza manifestati nei confronti del Signore. Le parole sono molto efficaci e non lasciano scampo a fraintendimenti e tergiversazioni. Il Signore vuole cuori e vite caldi. Chi è freddo si tira fuori da un contesto relazionale con Lui. Chi è tiepido, cioè né caldo né freddo, sceglie la via di mezzo forse più comoda ma certo più terribile e disastrosa. La sorte è altrettanto terribile: è destinato ad essere vomitato dalla bocca del Signore, come l’effetto tipico dell’acqua tiepida. La stessa cosa per chi si ritiene ricco e non ha bisogno di nulla. A costui il Signore riserva un rimprovero atroce: «Sei il più infelice, miserabile, povero, cieco e nudo». Queste espressioni provengono da Dio che non scherza certo quando deve combattere il male e chi lo produce suo malgrado. Il tono deciso della Parola viene poi lenito da due affermazioni delicate: «Tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo» e «Ecco, sto alla porta del tuo cuore e busso, se mi fai entrare cenerò con te e tu con me». Con Dio non si scherza! Se si deve intraprendere il cammino con Lui bisogna farlo con intensità di calore, docilità di ascolto e serietà di impegno. P. Angelo Sardone

Il Libro dell’Apocalisse

«Rivelazione di Gesù Cristo, al quale Dio la consegnò per mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve» (Apc 1,1). È questo l’incipit dell’ultimo libro della Sacra Scrittura, l’Apocalisse, forse “il libro più affascinante della Rivelazione” (A. Langellotti), il capolavoro della intera letteratura che da essa prende il nome. Il tema fondamentale è la «rivelazione», con un messaggio sommamente spirituale colmo di dati geografici, personaggi, numeri, lettere dell’alfabeto. Non ci si può avvicinare a questo libro se non con una sufficiente preparazione per non correre il rischio di non capirci niente delle immagini bizzarre, prospettive allucinanti, allusioni piene di mistero e talora anche di terrore. Si deve alla trascrizione di Giovanni evangelista deportato nell’isola di Patmos nell’Egeo, il 95 d.C. ed è destinato alle sette Chiese dell’Asia minore, legate alle attività pastorali dell’Apostolo. In effetti il messaggio va oltre quelle Chiese ed interessa tutta la Chiesa. Il piano dell’opera prevede la messa in guardia delle comunità cristiane dai pericoli interni ed esterni incombenti e far giungere una parola di consolazione. La Rivelazione che comporta la visione e la sua interpretazione è data dal Padre per mezzo di Gesù Cristo, il cui avvento si realizzerà nella parusia, come imminente, non cronologica, ma psicologica. Gli eventi che sono annunciati si compiranno: occorre dare alla propria condotta un orientamento pratico da assegnare alla propria vita per essere sempre pronti ad accogliere il Signore in qualunque tempo si manifesti. P. Angelo Sardone

Il giorno del giudizio

«Sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia» (Ml 3,19).La conclusione dell’Anno liturgico si caratterizza come una sintesi del cammino fatto, in prospettiva analoga della fine dell’esistenza dell’uomo e delle cose create. Il mese stesso di novembre che è lo scenario temporale col richiamo al mistero della morte e della conclusione della vita sulla terra, evoca le cose ultime, che si dicono “escatologiche” e prevedono scenari dolorosi e talora anche apocalittici. Il linguaggio biblico, proprio in questa prospettiva, offre spunti vari di epoche diverse che conducono il filo del racconto in chiave di conclusione del tutto. In genere sono i profeti che ne parlano, da quelli dell’Antico Testamento fino a Gesù nei cosiddetti discorsi escatologici e Giovanni nell’Apocalisse. Malachia, vissuto dopo la ricostruzione del tempio di Gerusalemme, ultimo dei profeti minori, vive in un periodo di corruzione profonda ad ogni livello. Annunzia l’arrivo di una nuova era: un messaggero inviato da Dio convertirà il cuore degli uomini con un intervento non indolore: fuoco che fonde e brucia, lisciva, il sapone del tempo, che lava lo sporco materiale e morale. Giovanni Battista riprenderà alla lettera queste indicazioni. Gesù piangerà su Gerusalemme che non ha ascoltato le sue parole. Sembra la storia di oggi. Si guarda alla fine del mondo con paura, ma a volte non si fa nulla per cambiare se stessi e le situazioni compromesse di vita. I cambiamenti climatici, i ricorrenti eventi sismici, le guerre, l’odio razziale, le crisi diverse sparse in tutto il pianeta, turbano momentaneamente ma poi tutto torna come prima. «Il tempo è vicino» afferma Giovanni (Apc 22,10). Occorre pensarci seriamente. P. Angelo Sardone

Non recuso laborem!

«Tu sei mio figlio: oggi io ti ho generato» (Sal 2,7). Nella Liturgia il termine «oggi» è un vocabolo-chiave che indica una realtà concreta e presente. «Ti ho generato», fa riferimento a chiunque Dio chiama alla vita, stringendo con lui un rapporto genitoriale intimo e profondo, analogo a quello tra una madre, un padre ed il proprio figlio. Attraverso l’amore e la mediazione dei miei genitori, come oggi, Dio ha soffiato nelle mie narici l’alito di vita ed io sono diventato un essere vivente, sono nato alla vita. Essere creatura umana è dono grande dell’amore di Dio e grazia incomparabile. Essere figlio è per me impegno e responsabilità che nel tempo si sono consolidati nella maturità umana e culturale e nello scorrere della mia vita sacerdotale. Sono nato una seconda volta nella fede cristiana col Battesimo ed una terza, sacerdote di Dio Altissimo, col Sacramento dell’Ordine. Al Padre ho chiesto «una cosa e questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario» (Sal 27,4). Sono grato ai miei genitori per avermi donato la vita e tutti i mezzi per viverla: la fede, l’educazione, la libertà, la moralità, la generosità. Ringrazio altresì tutti coloro che hanno reso feconda la mia vita e felice la mia esistenza: la mia famiglia di sangue, il mio parroco, le catechiste, i formatori, i confratelli Rogazionisti, le consorelle Figlie del Divino Zelo e tante, tante persone di tutte le età, uomini e donne di ogni estrazione sociale e collocazione geografica, giovani, famiglie, anziani, ammalati, amici veri, antichi e nuovi, con i quali e per i quali mi sono fatto tutto a tutti, padre, fratello ed amico. Ed anche loro per me. Chiedo una preghiera di gratitudine a Dio per il dono della vita. Assicuro un particolare ricordo sull’altare nella memoria liturgica di S. Martino di Tours col quale ripeto al Signore: «Se sono ancora necessario al tuo popolo, non ricuso la fatica: sia fatta la tua volontà!». P. Angelo Sardone

San Leone Magno

«Fa’ che la Chiesa rimanga salda nella tua verità e proceda sicura nella pace». La preghiera di Colletta della Messa odierna esprime in sintesi l’opera apostolica di S. Leone Magno ipapa, dottore della Chiesa, del quale si fa memoria nella Liturgia. La successione apostolica a Roma nel secolo V fu caratterizzata dalla personalità eccezionale del diacono romano Leone che, dopo essere stato consigliere di due papi, fu elevato al trono di Pietro e vi rimase per 21 anni, un mese e 13 giorni. Fu intrepido assertore del primato del papato e difensore della verità dommatica delle due nature di Cristo (divina ed umana) nell’unica persona del Verbo. La storia lo ha consacrato con l’appellativo «magno» per la qualità della sua vita ed i suoi numerosi interventi nel campo ecclesiale, sociale e politico, compresa  la missione con la quale presso Mantova fermò Attila, il re degli Unni, inducendolo ad andarsene dall’Italia. Lo stesso continuò a fare impedendo ai Vandali, una popolazione germanica condotta da Genserico, di incendiare la Città eterna, nonostante il noto saccheggio (455). Fu uno scrittore fecondo e profondo. La Tradizione ha conservato di lui 69 omelie e 173 lettere, che testimoniano la sua pietà ed il suo ingegno teologico. Oggi come ieri il papa, successore di Pietro, è segno e servo dell’unità della Chiesa universale. È dottore autentico, rivestito della stessa autorità di Cristo, che predica al popolo di Dio ed insegna la fede da credere e da applicare nella pratica della vita (LG 25). Oggi il papa che siede sul trono di Pietro è Francesco. Il Signore lo sostenga e lo guidi per fermare con coraggio e fermezza gli Attila, gli Unni e i Vandali di oggi. P. Angelo Sardone

Capo e madre di tutte le Chiese di Roma e del mondo

«All’ingresso del tempio vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente, poiché la facciata del tempio era verso oriente» (Ez 47,1). Nelle sue esperienze mistiche il profeta Ezechiele viene ammesso alla visione del tempio, l’abitazione di Dio in mezzo al suo popolo. L’immagine sarà ripresa da Giovanni apostolo nell’Apocalisse per sottolineare ulteriormente l’importanza della presenza divina nella casa a Lui destinata. Oggi la Liturgia celebra la festa della dedicazione della Basilica Lateranense di Roma, la «madre di tutte le chiese dell’Urbe e dell’orbe». Fu fondata da papa Melchiade (311-314) in un terreno appositamente donato dall’imperatore Costantino accanto al Palazzo Lateranense, sua residenza imperiale. Fu consacrata da papa Silvestro il 9 novembre 324 e intitolata a Gesù Salvatore del mondo. A questo titolo nel corso del XII secolo, data la presenza dell’omonimo battistero che sorge accanto e che è il più antico di Roma, fu dedicata a san Giovanni Battista, donde il nome di «San Giovanni in Laterano». Questa basilica è la cattedrale di Roma: in essa ci si trasferì dalle catacombe per sviluppare in maniera aperta e libera il culto a Dio. Quivi furono celebrati cinque Concili ecumenici dal 1123 al 1215. Le pietre vive e scelte che costituiscono questa magnifica costruzione che sfida il tempo e la storia, sono il segno della dimora della gloria di Dio ed il luogo nel quale il popolo cristiano, chiamato a progredire sempre nell’edificazione della Gerusalemme del cielo, supplica il Signore, chiedendo di diventare tempio vivo della sua grazia, risplendente per la santità di vita. P. Angelo Sardone

La formazione cristiana con la “sana dottrina”

«Carissimo, insegna quello che è conforme alla sana dottrina» (Tt 2,1). La prima e fondamentale indicazione che Paolo dà a Tito è quella di insegnare secondo la sana dottrina appresa direttamente dalla sua predicazione. Deve diventare maestro e pertanto il suo compito sarà quello di riconoscere le varie categorie di persone alle quali deve rivolgersi il suo ministero: anziani uomini e donne e giovani, perchè tutti riconoscano i propri doveri. Traspare così sia nell’insegnamento di Paolo che nella prassi amministrativa della Chiesa, quanto sia concreta la pastorale che non si ferma alle strutture, ma bada principalmente alle persone, cominciando dai responsabili e dai capi. I rapporti con i cristiani bisogna instaurarli in maniera sistematica, assidua e differenziata secondo le categorie, proprio perché quest’arte si tramuti in incontro, relazione, cura ed attenzione. Analoghi concetti Paolo ripete anche a Timoteo che alla stregua di Tito è responsabile ad Efeso. La «sana dottrina» sono non solo i principi derivanti dalla Rivelazione che Paolo stesso aveva ricevuto in dono, ma anche il frutto della sua esperienza formativa e classica, assunti alla scuola di Gamaliele e perfezionati alla scuola dello Spirito Santo nell’esperienza continua della evangelizzazione e della fondazione delle diverse Chiese. Questi importanti criteri di vita ecclesiale di ordine non solo organizzativo ma anche teologico, sono diventate le basi della pastorale, affidata alla responsabilità ed anche alle convinzioni dei ministri di Dio. Guai quando qualcuno di noi se ne discosta per smania di notorietà e prurito di fatue approvazioni in nome della novità. P. Angelo Sardone

L’organizzazione strutturale della Chiesa a Creta

«Ti ho lasciato a Creta perché tu metta ordine in quello che rimane da fare e stabilisca alcuni presbìteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato» (Tt 1,5). Tra i discepoli ed i collaboratori più fidati di cui Paolo si circondò c’è Tito. L’ebbe compagno nel viaggio a Gerusalemme partecipe con lui al primo Concilio e lo inviò a Corinto per una delicata missione e per la colletta per i poveri. Era figlio di genitori pagani e forse fu battezzato dallo stesso Paolo che lo chiama “figliolo verace”. A lui l’Apostolo indirizzò una lettera, detta “pastorale”, per i contenuti propri dell’impronta organizzativa delle Chiese dei primi tempi. Paolo lo lasciò nell’isola di Creta per completare con ordine la sua azione evangelizzatrice ed avviare una struttura gerarchica stabilendo in ogni città il gruppo dei presbiteri, gli anziani, o notabili, perché fossero insigniti della dignità di capi. Fa legge l’istruzione ricevuta direttamente da Paolo. Il primo impianto organizzativo delle Chiese è frutto senz’altro degli Apostoli, in particolare di Paolo: si devono a lui le diverse istruzioni che con gradualità assurgeranno a valore di leggi, realtà che si è pianificata nella vita della Chiesa. I successori degli apostoli, i vescovi, ancora oggi trasmettono la funzione ministeriale in grado subordinato ai presbiteri, cioè i sacerdoti, per l’assolvimento retto della missione apostolica affidata da Cristo (PO, 2). Essi sono consacrati interamente all’opera per la quale sono stati assunti dal Signore, testimoni e dispensatori di una vita diversa da quella terrena, non conformati al secolo presente. Dobbiamo continuare a camminare nella retta comprensione di queste fondamentali realtà, noi presbiteri per primi ed anche il popolo di Dio! P. Angelo Sardone

Il coraggio indomito di madre e figli

«Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna» (2Mac 7,9). Tra i libri deuterocanonici non accolti nella Bibbia ebraica, vi sono i due Maccabei. Prendono il nome da Giuda, figlio di Mattatia, soprannominato “maccabeo”, che significa “martello”, capo dell’insurrezione giudea contro l’empio Antioco IV Epifane che voleva sopprimere il Giudaismo ed ellenizzare i Giudei. Il nome fu esteso anche ai suoi fratelli. Epoca degli avvenimenti è l’anno 100 a.C. Il secondo libro è in parte un parallelo del primo e vuole servire a risvegliare il senso di solidarietà dei Giudei di Alessandria con quelli della Palestina. Contiene elementi importanti sulla risurrezione dei morti e le pene future, la preghiera per i defunti e l’intercessione dei santi. Tra le altre, vi è la testimonianza significativa di una madre ed i suoi sette figli che si lasciarono uccidere per difendere la purezza della fede dei Padri. Il coraggio virile di questa donna, sprezzante le lusinghe del re, la porta ad esortare dal primo all’ultimo dei suoi figli a perseverare nella fede e ad accogliere la morte. Particolare indomito coraggio testimonia il secondo che non ha paura di riprendere con fermezza il re scellerato, professando la risurrezione dei morti e la vita eterna. Sono indubbiamente esempi di altri tempi, martiri del Vecchio Testamento, coerenti fino alla fine, sorretti dalla fede straordinaria della madre che li esorta alla fedeltà perseverante, nonostante la certezza della morte imminente. Qualsiasi commento è superfluo! C’è solo da ammirare ed imparare il senso della eroica coerenza, sempre tanto difficile in ogni tempo. P. Angelo Sardone

La generosità ed il suo profumo

«Ho il necessario e anche il superfluo; sono ricolmo dei vostri doni: sono un piacevole profumo, un sacrificio gradito, che piace a Dio» (Fil 4,18). I Filippesi si erano distinti nella condivisione delle tribolazioni sofferte da Paolo con un atteggiamento maturo consono al «dare» dei loro doni ed «all’avere» da parte dell’Apostolo della sua evangelizzazione. Ciò rendeva davvero affettuoso e riconoscente il suo animo nei loro confronti. Per chiarire ulteriormente ogni cosa, egli precisa che cerca esclusivamente non i beni di fortuna ma quelli dello Spirito, autentico capitale di meriti davanti a Dio. Paolo ha tutto ciò che gli è necessario: la carità vera nelle prime comunità, faceva guardare alle necessità degli evangelizzatori, forti dell’ingiunzione del Maestro di Nazaret che aveva sentenziato che “l’operaio ha diritto alla sua mercede”. Il necessario diviene talora abbondanza, superfluo. Il bene che è tale nella logica della condivisione e della fraternità, viene destinato naturalmente ai bisogni dei meno abbienti. Ciò che rimane all’apostolo di ieri come di oggi, è il profumo piacevole dell’attenzione, della cura che il popolo di Dio, serio e maturo, ha dei suoi ministri che vivono in funzione della salvezza e della formazione dei battezzati. Questa è una realtà che non si inventa ma è frutto di una maturità non sempre accentuata nelle Comunità cristiane che talora sembrano ambivalenti: o troppo appiccicate ai loro ministri, tanto da inscenare pianti e stridori di denti ad ogni loro trasferimento, o freddi e staccati, incuranti anche delle esigenze più ordinarie di alimento, di attenzione e di concreta solidarietà umana. Un’adeguata e seria formazione può aiutare a crescere nella vera generosità. P. Angelo Sardone