Il fiuto vero del popolo

«Una condanna a morte merita quest’uomo, perché ha profetizzato contro questa città, come avete udito con i vostri orecchi!» (Ger 26,11). Seguendo alla lettera l’ingiunzione rivoltagli da Dio, il profeta Geremia nell’atrio del tempio di Gerusalemme avverte il popolo d’Israele che se non si convertirà con l’abbandono della condotta perversa e l’osservanza dei comandamenti, tutto sarà distrutto e la città diventerà esempio di maledizione per i popoli. Una simile invettiva irrita grandemente i sacerdoti ed i capi che non soltanto lo detestano ma cospirano contro di lui per farlo morire. Il profeta è ben consapevole della portata delle sue parole ma si difende affermando che è Dio che lo ha mandato veramente a profetizzare in tal senso. Per quel che si riferisce alla sua vita, è nelle loro mani. Facciano come meglio credono, addossandosi però la responsabilità del versamento del suo sangue innocente. Il popolo rivela la sua saggezza non permettendo che il profeta sia messo a morte, prendendo apertamente le sue difese contro i capi ed i sacerdoti. Molte volte si è ottusi dinanzi a situazioni analoghe, soprattutto quando si tratta di profeti schivi dalla ricerca di notorietà, adusati piuttosto al colloquio ed al rapporto intimo ed obbediente con Dio più che agli applausi ed alle compiacenze di audience, di riflettori accecanti o di carta stampata. Non sempre è facile riconoscere simili personalità: il popolo di Dio ha un fiuto singolare ed in circostanze particolari sa riconoscere e non fa condannare il profeta vero che non annunzia se stesso ma Dio per il quale è disposto a patire la privazione e la morte. P. Angelo Sardone