Il discorso insensato

«Dal momento che molti si vantano da un punto di vista umano, mi vanterò anch’io» (2Cor 11,18). Nella sua apologia, soprattutto per chiarire le cose e non lasciarsi sopraffare da atteggiamenti provocatori ed esuberanti dei cristiani di Corinto, l’apostolo Paolo, a suo dire, fa “un discorso insensato”. Dice la verità del suo essere e della sua missione che non è di vanto, ma constatazione reale del suo operato alla luce della Parola di Dio. La sua autopresentazione non tradisce affatto la certezza di essere nelle mani di Dio semplicemente uno strumento fragile. Anche se con riluttanza, Egli prova a difendersi vantandosi umanamente, quasi con una sorta di esibizione ma solo per non lasciarsi denigrare dal vanto di millantati sapienti. Con un dire ironico misto ad amarezza, parla ai Corinzi ritenendoli sapienti ma che si lasciano addomesticare ed incantare da chi li riempie di fumo elogiativo, li divora e li sfrutta. Dichiara di essere ebreo, Israelita, della stirpe di Abramo, ministro di Cristo. Enumera inoltre tutte le occasioni di sofferenza e di morte: flagellazione, lapidazione, naufragi, pericoli diversi, disagi, fatiche, veglie senza numero, fame e sete, digiuni, freddo e nudità. Il condensato di questo vanto è sostanzialmente la sua debolezza. Anche oggi si ripetono quasi alla lettera queste situazioni negli ambienti pastorali parrocchiali e religiosi. Quante volte bisogna avere a che fare con un’ignoranza rivestita di presunzione e falsa modestia, con incapacità di fondo e leggerezze gratuite vendute per cose efficaci, col sapore della modernità, accattivanti ma insignificanti. Ma non tutti possiamo essere all’altezza di Paolo di Tarso e siamo costretti talora all’apologia del silenzio, nonostante palesi e pesanti umiliazioni! P. Angelo Sardone

La gelosia divina

«Io provo per voi una specie di gelosia divina» (2Cor 11,2). Non sempre anche nell’opera dell’evangelizzazione si è compresi ed appoggiati. Sovente può capitare di doversi difendere dagli stessi buoni o anche da “super apostoli” dotati di entusiasmo e zelo fino alle stelle con un annunzio leggero ed accattivante la mente, ma palesemente contrastanti con l’autenticità stessa del vangelo proclamato invece con fermezza, fatica e lagrime. Tanti si raccomandano da sé, si misurano con se stessi, si paragonano a sé e di conseguenza mancano di intelligenza e di umiltà. Ciò determina sconcerto e confusione in coloro che ascoltano: talora le persone ingenue e leggere vanno dietro quelle superficiali e si sentono appagati. Le persone serie, anche se rimangono isolati e soffrono, osano sfidare l’opinione comune e seguire la via più stretta, allineando la loro vita al tenore di ciò che affermano. Un elemento proprio di chi vive il ministero della formazione cristiana e dell’accompagnamento umano e spirituale è la manifestazione di un legame affettivo profondo e serio con le persone che guida. Il vincolo non è di simpatia evanescente e fluttuante, ma di amore vero che supera il tempo e le situazioni. Esso dà il valore effettivo di una relazione che va oltre la superficialità di tanti pseudo-annunziatori che proclamano un vangelo accomodante e promettono uno Spirito diverso da quello autentico proveniente dalla Grazia. L’espressione paolina diretta ai Corinti è di profonda tenerezza e spiritualità: Egli nutre verso di loro una sorta di gelosia divina avendoli promessi in sposa, come una vergine casta, all’unico sposo Gesù Cristo. Questa verità è largamente testimoniata da chi, sacerdote o fedele comune, l’ha sperimentata. P. Angelo Sardone

Seminare e raccogliere

«Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà» (2Cor 9,6). Facendo riferimento al testo dei Proverbi, S. Paolo inserisce nella sua lettera come un biglietto inviato sia agli abitanti di Corinto che a quelli dell’Acaia, a proposito della colletta a favore dei membri della Comunità di Gerusalemme, detti Santi. Il motivo fondamentale che lo spinge è il desiderio di unire le comunità di nuova costituzione, la maggior parte formate da pagani convertiti, con la Chiesa Madre di Gerusalemme. Oltre i beni spirituali occorre condividere anche quelli materiali. Il servizio a favore dei poveri è esaltato come un debito di gratitudine al Signore ed una prova manifestativa della maturità cristiana che prontamente offre senza spilorceria. Ed a riprova di questo concetto Paolo richiama alla mente che, anche nella pratica cristiana della carità, seminare scarsamente, cioè donare per forza o a malincuore e senza entusiasmo, significa poi raccogliere scarsamente; seminare con larghezza e generosità, cioè donare con liberalità, significa raccogliere con abbondanza. Ciò che viene dato deve essere deliberato con serenità nel proprio cuore e non essere succube della tristezza o della forza: “Dio, infatti, ama chi dona con gioia”. Soccorrere i poveri nel corpo e nello spirito, significa prestare a Dio. Seminare è un’arte che per analogia si applica non solo alle occupazioni lavorative nei campi, ma anche al servizio dell’evangelizzazione. Nessuno, però, dà ciò che non ha, e questo vale molto proprio nel ministero della predicazione e della testimonianza nel quale non si può improvvisare o pensare di vivere di rendita. Se si semina bene in ogni campo, si raccoglierà altrettanto bene in ogni cosa. P. Angelo Sardone

La povertà e la condivisione

«La loro estrema povertà ha sovrabbondato nella ricchezza della loro generosità» (2Cor 8,1). Uno degli elementi che caratterizzano la seconda lettera di Paolo ai Corinzi è l’invito e la realizzazione di una colletta a favore dei poveri di Gerusalemme. La manifestazione concreta della crescita nella fede si ha anche con la condivisione materiale con chi è nel bisogno. La letteratura neo testamentaria, a partire dal Vangelo, sottolinea continuamente questa esigenza: ciò che si è ricevuto gratuitamente va condiviso. L’opera di S. Paolo costituisce un grande insegnamento per le generazioni dei cristiani tante volte rinchiusi nei propri bisogni e nelle proprie ricchezze. È molto bello constatare come un vero ed autentico cammino di fede fa maturare in chi più possiede, il desiderio e quasi il bisogno di dare con generosità a chi non ha il necessario. Si diviene generosi con gli altri se si è maturata una generosità fattiva verso il Signore che è sempre largo di doni. Ci sono tanti ricchi che sono solleciti e provvedono anche nel nascondimento alle necessità dei poveri. Ci sono tanti altri che magari non sono ricchi, ma che diventano avari e si perdono dietro calcoli egoistici che non solo non fanno crescere ma intristiscono e deludono. La sincerità dell’amore si mette alla prova con la premura verso gli altri. Molte volte si riscontra come i poveri siano generosi, consapevoli che la propria indigenza fa comprendere ancora di più l’indigenza altrui. La ricchezza nella fede, in ogni zelo e nella carità impone di essere altrettanto ricchi e larghi nella generosità verso chi è nel bisogno. Si cresce nella vita di fede passando attraverso questa strada. Il resto potrebbe essere semplicemente illusione. Cristo rende ricchi per mezzo della sua povertà. P. Angelo Sardone.

L’annunzio e la coerenza

«Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio» (2Cor 6,1). Il compito dell’Apostolo di ieri come di oggi è quello di collaborare con l’azione di Dio per la comune salvezza e distribuire a piene mani la grazia che proviene dai Sacramenti. Il Signore, infatti, è sempre pronto ad ascoltare, accogliere, soccorrere; ogni tempo per Lui è favorevole per farlo. Tocca a ciascuno comprendere con perspicacia il momento adatto per aderire al Signore ed alla sua grazia. Ogni sacerdote e ministro di Dio, nella purezza di intenzioni, cerca di presentarsi sempre come tale, cioè amministratore di una grazia non propria, con dolcezza ed anche con fermezza in tutte le situazioni della vita liete e tristi, dalle tribolazioni alle necessità, dalle angosce alle fatiche, con una serie di qualità umane e comportamentali che purtroppo vanno sempre più scomparendo dalla pratica dalla vita. Molte volte si baratta il favore e l’accoglienza anche da parte dei buoni cristiani e dei pii con comportamenti leggeri e talora anche mondani che invece di attrarre a Gesù fanno cedere al mondo ed alle sue lusinghe. Poveri illusi gli uni e gli altri, i ministri da una parte e gli evangelizzati dall’altra, succubi entrambi di vaneggiamenti e vuotaggine che sconcerta, determinando ancora di più illusione di crescita e santificazione a poco prezzo. La grazia di Dio va accolta così com’è indipendentemente anche da chi l’amministra, soprattutto quando la vita concreta di chi annunzia non corrisponde precisamente alla proclamazione verbale delle verità, anche le più esaltanti. P. Angelo Sardone.

Festa di S. Antonio di Padova

«Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!» (Mc 7,37).

S. Antonio di Padova è il Santo di tutto il mondo, il taumaturgo per eccellenza che dispensa con generosità prodigi e grazie a tutti coloro che gli si rivolgono. Padova è la sua patria di adozione: in essa dimorò, illustrò la verità della fede col un intenso e fecondo apostolato della parola e dei prodigi; lì riposa con le sue preziose reliquie. La sua vita esprime salda fede e profonda umanità. Divenuto sacerdote tra i Canonici Regolari di S. Agostino passò ai Frati Minori col desiderio del martirio. Per le strade d’Italia e della Francia, valente predicatore, proclamò il messaggio evangelico con la ricchezza della parola e tanti prodigi. Il Libro dei Miracoli e le biografie accreditate testimoniano la loro ricchezza e varietà. I Sermoni evidenziano la straordinaria valenza della sua preparazione e competenza teologica. È un fenomeno singolare come anche tra i non cristiani la sua fama è rinomata e tutti ricorrono a Lui. L’Opera Rogazionista si definisce “antoniana” perchè dal 1887 ha trovato in S. Antonio il “Celeste provveditore” che assicura il pane, la protezione e l’assistenza ai piccoli, agli orfani ed ai poveri. I figli e le figlie di S. Annibale M. Di Francia sviluppano questa provvidenziale risorsa con la propaganda della devozione antoniana, la conoscenza della vita, delle opere e dei miracoli del Santo padovano e l’emulazione delle sue virtù. La festa della lingua, la pratica dei tredici martedì, la divulgazione del Breve, la novena in preparazione alla festa, la solenne celebrazione del 13 giugno, la devozione del Pane dei poveri e la stampa popolare antoniana, sono gli elementi devozionali e celebrativi consolidati dalla storia nei confronti del santo Taumaturgo. S. Annibale lo proclamò «Benefattore insigne dell’istituto della Rogazione Evangelica ed annessi orfanotrofi e poveri del Cuore di Gesù». Auguri a tutti coloro, uomini e donne, che portano il suo nome. P. Angelo Sardone

XI domenica del tempo ordinario

XI domenica T.O. Al Signore è sufficiente un ramoscello colto dalla punta dei rami del cedro per trapiantarlo sul monte alto di Israele. Lì si ingrandirà e porterà tanti frutti dimostrando che è la potenza di Dio ad innalzare ciò che è basso ed umiliare ciò che è alto. L’esemplificazione profetica si rispecchia nella predicazione di Gesù e nella rappresentazione del Regno di Dio. Il seme gettato nel terreno, sia che l’agricoltore dorma o vegli, di notte o di giorno, lo sappia o no, seguendo la legge della natura cresce e porta frutto. L’avvento del Signore e l’instaurazione del suo Regno sono simili al piccolo seme di senape, un granellino appena che però una volta gettato nel terreno diviene un alberello più grande delle piante dell’orto, fino a fare da appoggio agli uccelli per il loro nido. La fiducia deve regolare il cammino di fede nella realtà della vita per abitare presso Dio, essere a Lui graditi e ricevere la ricompensa. P. Angelo Sardone

Cuore Immacolato di Maria

«Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,19). La memoria liturgica del Cuore immacolato di Maria si celebra subito dopo la solennità del Cuore di Gesù ed esprime l’intensa ed inscindibile unità che li lega. Misticamente preannunziata negli scritti sapienziali, in un tratto del Terzo Isaia (Is 61,9-11), la Vergine di Nazaret viene presentata come Colei che gioisce pienamente nel Signore, Colei la cui anima esulta nel Signore. È la prefigurazione letterale e teologica del cantico del Magnificat che sgorgherà dalle labbra di Maria nella presa di coscienza della sua identità altissima, frutto dell’amore del Signore che l’ha adombrata e resa feconda. Il suo corpo e la sua vita sono la dimora dello Spirito Santo, la sede stessa della sapienza, l’immagine ed il modello della Chiesa. Il suo cuore ha battuto all’unisono col Cuore di Gesù soprattutto nel ministero pubblico ed all’atto della sua passione e morte. Sin dall’inizio della sua missione accanto al Figlio, Maria ha conservato ogni cosa, lasciandosi stampare nel cuore i sentimenti più profondi, le gioie ed i dolori, divenendo tutt’uno con Lui. Nel cuore di Maria c’è la Chiesa, mistica sposa dello Spirito Santo sgorgata dal Cuore di Cristo sulla croce ed accolta nella sua vita unitamente all’apostolo Giovanni come figlia diletta. Nel Cuore di Maria che, come Ella stessa ha annunziato in una delle sue apparizioni a Fatima, trionferà, si ritrova il cuore di ogni fedele e particolarmente di ogni madre, nutriti dai sentimenti di Cristo e protesi verso la gloria senza fine del Cuore stesso di Dio. P. Angelo Sardone