Sacro Cuore di Gesù

«Questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione» (1Tes 4,3). Questo monito di S. Paolo si applica ben a ragione ai pastori del popolo di Dio, i presbiteri, la cui santità è strumento e via per la santificazione del popolo di Dio. Il compito di essere luce del mondo e sale della terra è proprio dei sacerdoti chiamati per loro stessa vocazione ad essere luce che rende chiara la strada e sale che dà sapore alla vita. Sono questi gli elementi che costituiscono in pieno la dimensione della santità. Il sacerdote è stato consacrato per lo specifico ministero della sua ed altrui santificazione. Il Concilio Vaticano II ha ribadito che i sacerdoti sono obbligati specialmente a tendere alla perfezione, poiché essi che hanno ricevuto una nuova consacrazione a Dio, vengono elevati alla condizione di strumenti vivi di Cristo eterno sacerdote, per proseguire nel tempo la sua mirabile opera (PO, 12). Oggi è la solennità del S. Cuore di Gesù e si celebra la Giornata di preghiera per la santificazione dei presbiteri voluta da S. Giovanni Paolo II. Una santità genuina genera ulteriore santità a tutti i livelli. Un sacerdote santo rende santa un’intera nazione. La sua personale santificazione gli permette di camminare con la gente, avere occhi per vedere le necessità dei fratelli, cuore per sentire le loro ansie e preoccupazioni, intelligenza per condividere i problemi di cui tanti di loro sono carichi, di essere fratello che cammina insieme portando i pesi altrui. La comunità cristiana attende e vuole vedere nel sacerdote il rappresentante di Cristo, l’uomo dedito alla preghiera, il fratello disinteressato, l’animatore della preghiera e della liturgia, il pastore, l’amico vero, la guida alla santità. La verità del suo essere viene dalla sua santità con l’esempio prima e poi con la parola. La nostra Congregazione dei Rogazionisti dedicata da S. Annibale al Cuore SS.mo di Gesù ed alla SS.ma Vergine Immacolata, oggi è in festa per il suo titolare. P. Angelo Sardone

L’annuncio di Cristo e non il nostro

«Noi non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù» (2Cor 4,5). Il ministero della predicazione esercitato da Paolo fu all’insegna della misericordia. Egli la sperimentò personalmente con il cambiamento radicale della sua vita, essendo passato da persecutore dei cristiani ad apostolo. Tutto ciò sin dagli inizi del suo servizio gli infuse coraggio e forza non comune per affrontare le innumerevoli difficoltà cui il Signore lo sottopose, soprattutto dinanzi a coloro che, accecati nella loro mente dalla superbia della vita e dalla certezza della loro fede, non riuscivano a vedere lo splendore del Vangelo di Cristo. Il suo era l’annuncio di Cristo morto e risorto e non quello della sua persona e del suo valore umano fatto anche di preparazione teologica e di forza di persuasione. L’oggetto della sua predicazione non era il racconto della sua vita e delle sue gesta, ma Cristo immagine di Dio e la gloria del Signore rifulgente sul volto stesso di Gesù. La sua identità divenuta chiara anche ai suoi interlocutori ed ascoltatori, era quella del servo non solo di Gesù ma anche dei cristiani, a motivo di Cristo. Questa dovrebbe essere costantemente la coscienza di chi, sacerdote o laico, è chiamato al ministero della predicazione e dell’annuncio del Vangelo, mettendo sempre al primo posto Gesù Cristo nella novità del suo perdono e nella forza stessa derivante dalla fede in Lui. Il servizio a Cristo fa scattare inesorabilmente il servizio anche ai fratelli, con chiarezza di idee, propositi saggi e comportamenti cristiani e non mondani. P. Angelo Sardone

Il SI’ èIENO DI CRISTO

«Gesù Cristo non fu “sì” e “no”, ma in Lui vi fu il “sì”» (2Cor 1,19). Dopo l’esordio che sottolinea la comunicazione vicendevole e sottolinea il vincolo indistruttibile ed una comunione inscindibile che lo unisce ai Corinti, Paolo fa un’apologia appellandosi alla sua coscienza per salvaguardare l’autorevolezza con la quale si è comportato con loro. La serietà è stata sempre coerenza, senza dare adito a fraintendimenti dal momento che quanto ha deciso non dipende dalla carne, cioè dalla sua volontà umana, ma dal progetto di Dio. Appellandosi alla fedeltà di Dio, Egli difende la sua parola nella sua chiarezza e nel fine ultimo del bene, evitando il “sì” o il “no”, salvaguardando la verità ed evitando qualsiasi forma di menzogna. Fa pertanto riferimento a Gesù Cristo la cui identità ed il cui linguaggio non furono “sì” e “no”, ma solamente “sì”. L’oggetto della predicazione sua e di Timoteo rispecchia proprio questa chiarezza della verità, proprio come Gesù Cristo che è il “sì” al Padre ed alle promesse da Lui fatte al popolo santo nel corso della sua storia. Come Cristo ha compiuto il volere del Padre divenendo Egli stesso un “sì” perenne, così anche Paolo ora diventa un «amen», cioè un «così sia» nel compimento della sua missione di apostolo per dare gloria a Dio. E con Lui anche la comunità cristiana. Questi concetti di alto profilo teologico e relative esperienze si ripercuotono anche oggi nei cristiani e nelle comunità, dove la coerenza è talora fluttuante ed accomodante al partito più conveniente, nascondendo un “no” e menzogne velate dietro apparenti verità. P. Angelo Sardone

L’arcangelo Raffaele

«Coloro che commettono il peccato e l’ingiustizia sono nemici di se stessi» (Tb 12,10). Terminate le feste nuziali, Tobi raccomanda al figlio Tobia di ricompensare in maniera adeguata il compagno di viaggio, donandogli la metà dei beni riportati dalla Media. Essi sono ignari che si tratti di un angelo e non di un accompagnatore comune. Ci pensa lo stesso Raffaele a dichiarare la sua entità chiamandoli tutti e due in disparte e parlando loro apertamente. È uno dei sette angeli che stanno sempre al cospetto del Signore e sono pronti ad ogni suo cenno. Il suo insegnamento è molto eloquente. Li invita a benedire Dio, a fare conoscere a tutti le opere di Dio e a ringraziarlo, a fare sempre il bene per avere la garanzia di non essere colpiti dal male, a pregare con il digiuno, l’elemosina e la giustizia. Coloro che fanno l’elemosina, infatti, hanno lunga vita perché questo gesto di carità salva dalla morte e purifica dal peccato. L’attestato della preghiera comune di Tobia e Sara è presentato a Dio proprio dagli Angeli, valenti intercessori, come l’azione del seppellire i morti da parte di Tobi. L’amore per se stessi porta ad evitare di compiere il male e l’ingiustizia perché questi atti nuocciono al bene personale e comunitario. La presenza degli angeli nella vita dei cristiani deve essere ben compresa ed accolta. Oggi sembra prevalere una mania pericolosa di devozionismo verso gli angeli, attestata da comportamenti pseudo-religiosi che si intersecano facilmente con devozione e superstizione, richiesta di grazie e vita in peccato, tradendo la vera identità e funzione di questi spiriti celesti che sono accanto all’uomo non per loro iniziativa ma per volontà di Dio che tutto volge al bene. P. Angelo Sardone