Bellezza e sacralità dei sentimenti

Preziosi sono i sentimenti del cuore, ma anche fragili. Esigono vigilanza e cautela. Sin dal mattino si presentano con tutta la loro potenzialità: determinano scelte, dirigono intenzioni, si esprimono in comportamenti. Convivono nel corpo e nell’anima prima ancora della nascita dal grembo materno, si affievoliscono e si accrescono nel turbine o nel sereno della vita, talora si spengono, continuano oltre la morte. E’ importante conoscerli, lasciarsi guidare e non dominare, indirizzarli e potenziarli, metterli a servizio, farli tacere quando disorientano. L’esperienza umana comportamentale e relazionale li smussa, li potenzia, li sublima. Negli ampi spazi del cuore i sentimenti aprono e si aprono alla dimensione spirituale, la ricercano, soprattutto quando tutto ciò che è carnale li ammutolisce, li limita e li condiziona. Quanti ne rimangono nascosti nel profondo del cuore! Situazioni, persone, avvenimenti fungono da catalizzatori perché questi elementi così preziosi possano venir fuori ed esprimersi. Penso oggi in particolare ai sentimenti di due discepoli frastornati dalla delusione degli avvenimenti da poco vissuti nella passione e morte di Gesù, condizionati dall’apparente fallimento della sua predicazione e delle prospettive sociali e politiche. Sono delusi, eppure non si fermano, sono in cammino verso un villaggio. La tristezza che si esprime sul volto è la sintesi completa della loro situazione emotiva e spirituale. Parlano tra loro ma non addivengono a conclusioni se non l’amarezza e l’imponderabilità del prossimo futuro. Chi si era dichiarato Messia è morto e non se ne sa più niente, se non una diceria femminile, che parla di una tomba vuota. Uno sconosciuto viandante si fa loro compagno. Sembra ignaro di fatti luttuosi di Gerusalemme. Però, dinanzi alla spossatezza ingombrante dei due, “stolti e tardi di cuore nel credere”, fornisce ampie e documentate spiegazioni che, a partire da Mosè e passando dai Profeti e dai Salmi, illustrano la verità inconfutabile delle cose accadute. Nel cuore dei due cominciano ad ardere sentimenti nuovi, meno turbati e più accomodanti, meno rigidi e delusi e più affabili. Accarezzano l’idea che tutto ciò che è avvenuto non è rinchiuso in una tomba vuota, ma è esploso nella pienezza di un mistero che si è fatto storia. I sentimenti cambiano: sono ora potenziati, sorretti, alimentati da una conoscenza più profonda della Parola di Dio e da un affidamento amichevole e fiducioso al compagno di cammino. Tutto cambia quando a tavola, lo sconosciuto spezza il pane, lo benedice e lo distribuisce, ripetendo gli stessi gesti compiuti qualche giorno prima nel Cenacolo. E’ una rivelazione: gli occhi si aprono e comprendono nella profondità e nella verità. Lo riconoscono Messia. Il suo apparente fallimento è in fondo la sua più grande vittoria. Il vero fallimento è il loro, quello della loro fede non ancora matura e soggetta all’ignoranza delle Scritture, che come poi dirà S. Girolamo, è la stessa ignoranza di Cristo. Penso ai tanti nostri fallimenti, condizionati dalle situazioni pregresse ed attuali della nostra vita, che mentre richiedono un adeguato tasso di fede, sono occasioni e tempi propizi che l’alimentano e la sostengono. La mancanza della frazione del pane eucaristico celebrato comunitariamente nelle nostre chiese, viene sopperita dalla frazione del pane domestico della carità e della reciproca accoglienza, con sentimenti nuovi però, di pace e gioia, frutti concreti della Pasqua rinnovata. P. Angelo Sardone

La guarigione del cuore

Il disagio e la paura fanno aprire gli occhi della mente e del cuore. La situazione personale o comunitaria nella difficoltà, induce a riflettere in maniera più adeguata sui valori della vita e l’importanza delle persone e delle di cose, a prestare ascolto agli insegnamenti ricevuti, a leggere con sapienza ed intelligenza la storia e le vicende umane, ad acquisire prudenza e maturità per operare scelte nuove da attuare con comportamenti nuovi. Alla chiusura ed al ripiegamento su se stessi, più facile da compiere, ma spesso illusorio di consolazione solipsistica, momentanea e compensatoria, si oppone l’apertura a spazi nuovi, a vedute diverse, ad orientamenti decisivi che vanno oltre gli stretti confini della propria conoscenza, coscienza e limitata esperienza. La natura che ci circonda e la storia che conserva gelosamente incise nelle pagine mai scalfite dal tempo, le gesta, le azioni umane, gli avvenimenti planetari, sono i grandi libri che conservano e descrivono le situazioni, riportando tra le righe anche le soluzioni ai problemi. Sono insegnamenti e tracce come strade da percorrere, orme da ricalcare. La Bibbia narra la particolare situazione di Naamàn, un comandante siro malato di lebbra, che vive segregato per paura del contagio. Su suggerimento di una schiava, chiede aiuto oltre il confine della sua patria ad uno straniero sconosciuto, il profeta Eliseo, che crede re ed in grado di guarirlo. La provvidenziale mediazione della ragazza si completa nell’intervento risolutivo del profeta, che opera senza uso di medicine ma con un semplice ed illuminato suggerimento. Basteranno sette bagni da fare nel Giordano, fiume evocativo dei prodigi operati da Dio per il popolo d’Israele attraverso Mosè e Giosuè, a far ritornare vigoroso il corpo ed a sanare il fiducioso comandante. Preso atto dell’avvenuta immediata guarigione, l’alto funzionario, grato per l’inaspettato prodigio, cambia atteggiamento di vita e lo esprime con un segno nuovo e semplice: porta con sé in patria un po’ di terra da lui calpestata: la ritiene terra sacra. Su di essa costruirà una vita nuova non più nello sfarzo antico egoista ed edonista, ma nella penitenza umile esemplificata in permanente purificazione. Se abbiamo riconosciuto il Signore che continuamente interviene nella nostra storia e nella nostra vita, a volte angosciata e triste come in questo momento, se ci lasciamo formare ed ammaestrare da Lui, attraverso la mediazione di chi Egli stesso mette sulla nostra strada come guida illuminata, possiamo cambiare atteggiamento e maturare vigorosi propositi di gioiosa e generosa testimonianza per noi e per chi ci circonda. La purificazione avviene attraverso la penitenza; porta a morire ogni giorno a se stessi, si esprime con relazioni ed atteggiamenti nuovi e fa scoprire che non c’è altro fine che non sia la carità. Per realizzare tutto questo però, occorre mettersi bene in mente che «prima di iniziare una seconda vita, bisogna por fine alla prima» (S. Basilio Magno). E’ questa la nostra speranza; può essere questo il nostro proposito che diventa impegno serio e duraturo. A cominciare proprio da oggi. P. Angelo Sardone

I misteri ed il Mistero

I misteri della vita dell’uomo si confondono e si integrano nei misteri di Dio. Egli si manifesta ogni giorno nella vita dell’uomo e nella storia nell’universo, anzi è vivo ed operante perché li guida e li indirizza al compimento ed alla pienezza. Dio ha affidato all’uomo la realizzazione di quanto Egli stesso ha avviato con la straordinarietà della creazione, purificato con l’inaudita amorevolezza della redenzione e guidata con la forza dinamica e la sorprendente creatività dello Spirito. Nella misura in cui l’essere vivente scopre e si adegua a questa legge impressa nel cuore, trova la sua pace, vive la gioia piena anche in mezzo alle difficoltà più grandi, perché sa di collaborare in maniera efficace al piano di salvezza che si compie nell’oggi della sua vita e della storia, nel progresso tecnico e scientifico e nel ritmo stupefacente ed evolutivo della natura. I cieli narrano la magnificenza di Dio, le stelle cantano la sua grandezza, ma è l’uomo vivente la “gloria” di Dio, come diceva S. Ireneo, e la sua vita una profonda visione e relazione con Lui. E’ una scoperta sempre nuova, frutto di un atteggiamento non solo riflessivo, ma soprattutto oblativo, non asservito ad una volontà di potenza, ma affidato ad una volontà di amore vero che realizza ciò che dice. Gesù, il Figlio di Dio, lo ha ampiamente dimostrato con la sua passione, morte e risurrezione. Il suo amore non è stato a metà: continua ad essere completo e va fino in fondo. Si esprime nei termini umili dell’abbassamento non solo fisico dinanzi a piedi da lavare, ma anche nella scelta di rimanere sempre con noi in un minuscolo frammento di pane che non è più pane, di un segno che cede il posto alla realtà materiale del suo corpo e sangue che nutre, sfama, sostiene, custodisce ogni cosa e dà continuamente vita. Tutto questo è mistero, difficile da comprendere se non con il supporto di una fede che supera la deficienza dei sensi. Questo ed altri misteri, rivelano all’uomo che spesso brancola nel buio della sua personale ed illusoria potenza, la reale ed efficace onnipotenza di un Dio che se anche rimane “totalmente Altro” (K. Rahner), ogni giorno si prende cura dell’uomo, conosce il numero dei capelli del suo capo, lo guida in pascoli ubertosi e lo provvede con generosa gratuità con la ricchezza e la varietà dei frutti della terra e del mare. Se l’uomo con il cuore, con la mente, in piena fiducia ed umiltà gli si affida, tutto gli si manifesta pur nel limite della comprensione umana che non potrà mai valicare gli angusti confini del suo essere creatura. Nelle difficoltà dell’esistenza e nella presente calamità che sta ridimensionando ogni cosa resettando la vita dell’uomo e riportandola ai termini reali di creaturalità finita e limitata, l’anelito al Mistero si fa più esigente ed acquista maggiore efficacia di relazione nella maturazione della propria e dell’altrui fede. La Parola di Dio ascoltata e meditata, l’esortazione parenetica, da qualunque collegamento informatico e televisivo provenga, la privazione di una regolare vita sacramentale cadenzata dalla Riconciliazione e dall’Eucaristia celebrata e ricevuta come indispensabile nutrimento, la preghiera più continua di questi giorni, sono tutti mezzi che fanno integrare i nostri misteri di vita con la Vita di Colui che ha stampato la certezza del suo amore nel cuore dell’uomo e nella profondità del suo mistero di amore. P. Angelo Sardone

I segreti del cuore

Il Signore conosce i segreti del cuore, i segreti di ogni cuore. Egli ha riversato nel cuore dell’uomo la ricchezza del suo cuore ed ha dimostrato il suo grande amore per il mondo, donando il suo Figlio unigenito. Se per la letteratura più dotta il cuore dell’uomo è un “guazzabuglio” (Manzoni), per la Parola di Dio «l’uomo è un baratro e il suo cuore un abisso» (Sal 63,7). Il cuore dell’uomo è un luogo di eccezionale profondità che gli conferisce un aspetto misterioso se non a volte pauroso e buio, senza confini, insondabile, senza un limite. Anche se il concetto richiama qualcosa di negativo, di irreparabile, di perdizione, il cuore è cosa sacra ed altamente spirituale: Dio lo ha impiantato nella materialità e funzionalità più delicata del corpo dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza. Il cuore umano è il libro nel quale la prima parola l’ha scritta il Creatore incidendovi il suo primo vangelo: «Sei cosa molto buona. Ti amo. Ti ho fatto per me!». Ma non basta. Gli ha immesso la sete di Lui come quella della cerva che anela e “sospira” (Ravasi) all’acqua della fonte. Nel cuore dell’uomo Dio riversa la pienezza del suo amore e trova il consenso più profondo della sua Parola di verità e di luce. Nel cuore si racchiudono i segreti più intimi e profondi, più sacri ed inviolabili. Nessuna mente umana, nessuna dimostrazione di affetto, pur nella delicatezza e nella completezza di una profonda relazione d’amore, può penetrare nel cuore e conoscere la ricchezza e preziosità del suo contenuto che rimane noto nella verità più nascosta, solo agli occhi ed al cuore di Dio. I segreti ce li portiamo dentro il cuore sin da bambini: crescono in noi e con noi, si arricchiscono e si sviluppano nella maturità e nell’esperienza della vita; si colorano nelle diverse tonalità di luce ed ombra, di grazia e peccato, di coscienza ed indifferenza; sono riportati nelle note delle pagine della scrittura giornaliera della nostra esistenza. Rimangono inaccessibili ed incomunicabili nella più lucente verità anche se svelati ad altri a sprazzi o a torrente in piena: conservano sempre qualcosa di nascosto, perché forse sono volutamente taciuti o nascosti anche a noi stessi.

Davanti allo specchio della nostra coscienza però si illuminano di verità ed il ginepraio che si crea dentro il cuore, intricato e confuso, inaccessibile all’occhio, alla comprensione, alla condivisione ed al giudizio positivo dell’uomo, si apre alla lettura che dei pensieri, degli affetti e dei segreti più intimi ne fa il Signore che ci conosce più di quanto noi possiamo conoscere e sapere di noi. Perché nei segreti più profondi e sacri del cuore abita Dio. Possono essere anche macchiati di sangue, di colpe e responsabilità, ma agli occhi suoi i nostri segreti risultano splendenti di luce straordinaria di innocente purezza e di desiderio infinito di Lui. Il desiderio che, secondo una felice intuizione di S. Agostino diventa preghiera. In questi giorni di più facile accesso all’intimo del nostro cuore, dove coabitano sentimenti e paure, tensioni e speranze per l’incerto futuro che si prepara ad essere da noi nuovamente abitato e fecondato da una responsabile ed intelligente cooperazione, la preghiera, l’ascolto della Parola viva, efficace e penetrante, ha permesso non solo a Dio ma anche a noi di conoscere qualcosa in più dei nostri segreti di vita, riconoscendovene molti di entità straordinaria e di piacevole bellezza che sicuramente hanno reso meno buio e pauroso l’abisso del cuore umano. P. Angelo Sardone.

Pensieri in tempo di pandemia

Ho pensato spesso in questi giorni alla situazione ambientale e relazionale di tante persone che obbedendo ai provvedimenti istituzionali, vivono con difficoltà la ristrettezza di libertà, di movimenti, di operazioni, di normalità. Noi, in comunità, siamo abituati ad una esperienza di fraternità che ricalca lo stile di famiglia, per via della caratteristica propria della vita religiosa che si basa sulla condivisione degli stessi spazi, certamente più ampi dei limitati metri quadri di un appartamento familiare, di comuni intenti, di preghiera, di incontri spirituali e formativi. Anche se nell’esercizio del ministero sacerdotale manca il contatto fisico con il popolo di Dio, l’utilizzazione dei mezzi di comunicazione sociale permette la regolarità della condivisione, facendoci giungere nelle case e nelle vite degli altri con un messaggio, una preghiera e, particolarmente, con la celebrazione eucaristica giornaliera, momento nel quale i fedeli sono più presenti alla mente ed al cuore paterno del sacerdote. Ho pensato agli insegnanti alle prese con la tecnologia per continuare il lavoro scolastico con i propri alunni, alle loro difficoltà, alla stanchezza e talora anche alla delusione. Ho pensato agli studenti delle diverse classi ed età, al loro adattamento all’utilizzo dei mezzi informatici per seguitare l’apprendimento e lo studio sistematico a volte anche con precarietà di connessione e relazioni visive. Ho pensato agli universitari a conclusione del loro percorso accademico, costretti a rinunziare alla pubblica seduta di laurea con la partecipazione dei propri cari e degli amici, esperienza pensata ed attesa da sempre come traguardo di fatiche e sudori, costretti invece a difendere la propria tesi dinanzi ad uno schermo connessi visivamente ed oralmente con relatori e correlatori a distanza. Ho pensato a tanti anziani privi del conforto della presenza dei propri figli e più particolarmente dei nipoti anche in giorni di festa e di gioia. Il pensiero crea unità virtuale e proprio perché non è di ordine materiale, può raggiungere immediatamente persone e luoghi lontani e garantire vicinanza, condivisione, partecipazione alla gioia ed al dolore. Ho pensato. E il mio pensiero ogni giorno è preghiera proprio perché non è mai vuoto e silenzioso, ma esplosivo, carico di emozioni, di sentimenti e di forza di vita. Il mio pensiero particolarmente va a mio padre che proprio oggi supera il traguardo di 95 anni di età: penso alla sua lunga vita di lavoro, di impegno generoso ed oblativo per la famiglia e la società, di custodia scrupolosa dei valori della fede, dell’onestà, del sacrificio, del timore del Signore. Infatti, «Radice di ogni sapienza è temere il Signore; i suoi rami sono lunga vita» (Sir 1,20). Penso ai suoi lunghi silenzi carichi di ricordi e pensieri del passato, ai suoi sorrisi sereni e mi commuovo profondamente. Il mio pensiero, oggi è solo di gratitudine a Dio per il dono della sua veneranda età e di umile e fiduciosa preghiera perché il Signore e la Vergine Santa, ce lo conservino ancora a lungo. P. Angelo Sardone.

Pasqua, nuovo inizio

La Pasqua è un nuovo inizio. Non si tratta solo di una annotazione cronologica, ma di una situazione teologica ed esistenziale. Essa coincide con la stagione annuale della Primavera e segna una sorta di ripartenza. La natura si risveglia, la vegetazione rifiorisce, tornano le rondini, si equilibrano i ritmi del giorno e della notte. Nella vita spirituale non può esistere il letargo: qualsiasi forma che lo richiama è micidiale e letale, perché la natura dello spirito è energia, vita, movimento continuo, anelito all’infinito. L’anno liturgico ha il suo centro proprio nel mistero pasquale che segna l’annullamento del tempo passato e l’inizio di una vita nuova nella grazia, libera dal condizionamento del peccato. Il benedettino Odo Casel (1886-1948), grande liturgista tedesco dello scorso secolo morto proprio il mattino di Pasqua del 1948, paragonava l’anno liturgico ad un anello nuziale, senza inizio e senza fine, ovvero dove l’inizio coincide con la fine, in una continuità limitata nel tempo dell’uomo sulla terra. Con la risurrezione di Cristo si è innestata nella storia e nella vita umana una dinamica il cui fine e la cui fine è finalizzata all’uscita da questo mondo creato e all’approdo ed inserimento nel mondo di Dio, la vita che non ha fine. I richiami e le indicazioni scritturistiche, soprattutto quelle di S. Paolo, sono chiare: la risurrezione di Cristo, specchio della nostra risurrezione, implica necessariamente uno sguardo volto verso le cose del cielo, le realtà eterne, la costante ricerca di esse. Tutto ciò implica una mentalità nuova, frutto di quella “metanoia”, il cambiamento proclamato dal Maestro all’inizio della sua predicazione, insieme con la scelta di fede nel Vangelo, presentati e stimolati ampiamente entro tutto l’arco del cammino quaresimale. Il silenzio della tomba vuota di Cristo è diventato il grido assordante di vita che attesta un passato relegato nella misericordia del Padre ed un futuro affidato alla sua Provvidenza. Ciò che resta all’uomo, al cristiano, oggi, è la contemplazione di queste realtà che esulano dagli spazi temporali e si proiettano verso l’aldilà con una pratica di vita più cosciente, illuminata dalla grazia e coerente agli impegni del Battesimo. Questo è il cammino che prepara al mistero della Pentecoste; è un itinerario segnato dalla segregazione nei cenacoli domestici delle nostre case per paura del contagio pandemico, che va però vissuto, nonostante la stanchezza e l’impazienza della libertà delle strade, dei giardini, delle relazioni sociali, della ripresa del lavoro, come tempo propizio e luogo di gestazione di un mondo migliore, di un futuro più umano e proporzionato alle reali capacità non illimitate dell’essere vivente creato da Dio ed a Lui sottomesso nell’amore. P. Angelo Sardone

Domenica delle Divina Misericordia

La domenica successiva alla Pasqua da antichissima tradizione è denominata Dominica in albis vestibus depositis o più semplicemente “Domenica in albis”. Essa evoca l’azione con la quale i neo-battezzati, «bambini appena nati, fanciulli in Cristo, nuova prole della Chiesa» (S. Agostino), dopo aver ascoltato le catechesi mistagogiche (cioè di introduzione al mistero), deponevano la veste bianca ricevuta col Battesimo nel corso della veglia pasquale e che avevano indossato per l’intera settimana. La veste era il segno della nuova dignità di cristiani, l’abito della festa, quasi un “matrimonio spirituale” (S. Giovanni Crisostomo) celebrato per otto giorni, quanti ne erano passati dalla Risurrezione di Cristo fino alla terza sua apparizione nel Cenacolo di Gerusalemme. Di qui è nata l’ottava di Pasqua, come un unico giorno di festa. Dall’anno 2000 per volere di S. Giovanni Paolo II la domenica che la conclude è detta “della divina Misericordia”, un titolo legato alle rivelazioni di Gesù alla santa polacca Faustina Kowalska. Il Cuore di Gesù ed il suo costato aperto sono la sorgente della misericordia infinita di Dio che si sperimenta particolarmente con i sacramenti della Riconciliazione e della Eucaristia. La grande misericordia consiste nella ri-generazione operata da Cristo con la sua risurrezione nella quale ha donato una «speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce». Pace, gioia, Spirito Santo e potere di rimettere i peccati concesso agli apostoli, sono i doni pasquali elargiti da Gesù la sera stessa della risurrezione. Otto giorni dopo, il dito nel segno dei chiodi nelle mani e nei piedi e la mano nel fianco del costato sono i gesti che Gesù Cristo chiede di compiere a Tommaso, apostolo incredulo, il quale si arrende dinanzi all’evidenza con un grandioso e sintetico atto di fede: «Signore mio e Dio mio!». E Gesù pronunzia l’ultima delle beatitudini riservata a coloro che pur non avendo visto credono. La fede nel Signore risorto esige una nuova dinamica di vita, che deve esprimersi, come per la primitiva comunità cristiana di Gerusalemme, con la perseveranza e la frequenza assidua all’ascolto dell’insegnamento degli apostoli, cioè la catechesi, alla comunione fraterna, alla frazione del pane, cioè l’Eucaristia, alle preghiere, unitamente alla condivisione dei beni materiali e spirituali: il tutto in letizia e semplicità di cuore. La nostra giornata sia ricolma di gioia, anche se per ora, per un po’ di tempo, siamo afflitti da varie prove, che in questi giorni hanno nome di pandemia, impedimenti relazionali ad ampio raggio, sociali, scolastici, lavorativi, ecclesiali. In questa maniera sta maturando la nostra fede, messa alla prova insieme con la pazienza e la costanza, perché possiamo raggiungere la mèta cioè la nostra ed altrui salvezza. Gesù, Divina Misericordia, continui a riversare con generosità la sua misericordia sul mondo intero anche con l’abbondanza di “buoni ed evangelici operai”. S. Annibale Maria Di Francia affermava infatti che la preghiera per le vocazioni, è la «misericordia delle misericordie». Buona domenica nella pace e nella gioia del Signore risorto. P. Angelo Sardone

Mater consolationis

In tempi di calamità, grande è il valore della consolazione. Essa si esprime con un atteggiamento, un’azione, una parola tesa ad attenuare il dolore, ad alleviare la pena, a dare vigore ad un cuore affranto, a stare accanto a chi è solo, con una incoraggiante condivisione. La consolazione è propriamente un dono dello Spirito Santo perché è Lui il Consolatore (paracletos). Gesù lo promise come Colui che insegna e ricorda. Da sempre la Chiesa invoca Maria “Madre della Consolazione”, colei che, avendo assistito e partecipato con grandi sofferenze alla Passione e morte di Gesù, è stata confortata dal Padre. Come divenne “Madre dei dolori”, così è divenuta a sua volta “Madre della consolazione” perché conforta e consola “quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione” (2Cor 2,4). La sua azione consolatrice cominciò nel Cenacolo di Gerusalemme dove, insieme con gli Apostoli nascosti per paura dei Giudei, attese ed implorò lo Spirito Santo. La sua funzione materna continua nella vita della Chiesa col soccorso e la consolazione che spande sul popolo di Dio in cammino. Abbiamo percorso insieme con Maria i passi della passione, morte e risurrezione di Gesù e stiamo vivendo il mistero della Pasqua ancora segregati nel “cenacolo domestico”. La paura del contagio e l’osservanza delle norme imposte ci tengono lontano fisicamente dai luoghi di culto e dalle relazioni ordinarie con gli altri, nei diversi ambiti della vita sociale e religiosa, generando talora stanchezza, frustrazione, impazienza, scoraggiamento, incertezza e paura del futuro. Ogni giorno abbiamo bisogno di consolazione: essa nasce dalla speranza della conclusione positiva di questo tempo particolare di prova e sofferenza e da qualcuno che costantemente ce lo ricordi. Maria è consolazione e speranza: è più vicina a noi di quanto possiamo credere perché è Madre nostra, resa tale da Gesù sulla croce nell’atto supremo del suo amore. La sua presenza dolce e delicata, si esprime in termini di tenerezza, presenza costante, preghiera per noi. Noi la invochiamo come soccorritrice: Lei prega per noi ed intercede presso il Padre reggendo con le sue mani il braccio appesantito del Figlio Gesù, trattenendolo da qualsiasi intervento che non sia lenitivo di ogni paura e sofferenza. Non siamo soli. Gesù è con noi sveglio in poppa alla nostra barca. Nel cielo poi c’è Maria “Stella del mare” che indica la rotta da seguire e con la sua luce splendente rende più chiaro il cammino anche di questo mare in tempesta. P. Angelo Sardone

Venerdì di Pasqua

La risurrezione di Cristo è il segno della sua vittoria sulla morte, la croce il suo trofeo. Lo strumento di infame condanna è divenuto elemento permanente di gloria. Le sante piaghe inflitte sul corpo immacolato del Salvatore, sono tracce indelebili della sua passione e mezzi inconfutabili per credere. Lo furono per l’apostolo Tommaso; continuano ad esserlo per chiunque ha bisogno di vedere e toccare con mano. Conseguenze di una orribile barbarie, sono le ferite più atroci e vistose sul corpo di Gesù: le mani, i piedi, il costato. Già previste nella profezia di Davide «Hanno forato le mie mani e i miei piedi» (Sal 21) ed in quella di Zaccaria «Sono quelle con cui sono stato ferito nella casa dei miei amici» (Zc 13,6), esse sono il segno indiscutibile della verità della crocifissione. Gesù Cristo le mostra ripetutamente nelle apparizioni dopo la risurrezione per evidenziare la sua identità: «Ero morto, ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi» (Apc 1,18). Con le piaghe delle mani e dei piedi Cristo continua ad essere mantenuto appeso alla croce perché chiunque a Lui volge lo sguardo sia salvo. La simbologia teologica e liturgica afferma che dalla piaga del costato è sgorgata la Chiesa, il Battesimo e l’Eucaristia, primordiali sacramenti di salvezza. Da queste piaghe davvero noi siamo stati guariti (1Pt 2,25). La vita dell’uomo spesso è una via di calvario che si conclude con una crocifissione cruenta: vistose sono le piaghe ed atroci i tormenti. L’uomo si porta addosso le sue piaghe e quelle dell’intera umanità, il più delle volte provocate dalla sua stessa intelligenza, smaniosa di avere il dominio incontrollato sulle cose e sulle creature, andando oltre il limite delle potenzialità immesse da Dio nella natura. Con quelle piaghe vive e soffre, geme e si consuma. Con dieci piaghe inflitte all’Egitto, tramite Mosè Dio ha voluto mostrare al faraone la potenza del suo intervento liberatore e l’efficacia del suo essere davvero il “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”. L’attuale terribile pandemia probabilmente è una piaga che l’uomo stesso ha provocato, sovvertendo l’ordine impresso da Dio nel corpo umano, nella bellezza e sacralità della natura nell’inviolabilità delle sue leggi. Tante volte le piaghe si trasformano in cicatrici, meri ricordi di un doloroso passato. Spesso ciò non avviene ed il dolore continua ad essere acerbo per la perdita di una persona cara, per le difficoltà economiche e relazionali, per la mancanza di lavoro, per l’instabilità della salute, per l’incertezza del futuro. E’ allora necessario che, secondo una felice intuizione ed espressione di don Tonino Bello, quelle ferite diventino “feritoie” attraverso le quali continui a passare un raggio di luce che illumina la vita e dà un senso nuovo all’esistenza. Quelle piaghe lancinanti e sanguinanti possono diventare così strumenti di salvezza. Proprio quello che ci auguriamo presto avvenga sapendo bene che le piaghe di Cristo sono ancora oggi il segno del ricordo perenne di Dio nei confronti dell’uomo, un ricordo che Dio stesso porta inciso sulle palme delle sue mani (Is 49,15). P. Angelo Sardone.

Giovedì di Pasqua

I testimoni oculari confermano che Cristo è risorto dai morti: non si tratta di una favola ma di una sorprendente realtà; lo hanno visto, lo hanno toccato con mano. Credono fermamente e nel suo nome cominciano a compiere opere straordinarie. La fede, dono battesimale, matura e si conferma proprio a partire dalla risurrezione di Cristo. Immersi nella sua passione e nel suo sangue, siamo riemersi alla vita nuova, che fa apprezzare tutto ciò che già abbiamo e scoprire tanto altro ancora. Quanta gente e quante cose belle sono vicine, quante persone ci passano accanto lasciando qualcosa di sé in noi e non ce ne accorgiamo! Quanta superficialità a volte nelle relazioni! Quanti pregiudizi talora nelle valutazioni! Una fede matura non si rivela tale solo nelle relazioni con il soprannaturale e con Dio, ma anche nelle relazioni con chi è accanto, col prossimo più prossimo. La sfiducia, l’abbandono al pessimismo, la ricerca di paradisi artificiali mediati da una cultura edonistica, espressione del “tutto e subito” e “dell’usa e getta”, è chiusura alla vita, al mondo, a Dio. Fa ripiegare su se stessi alla ricerca di una consolazione effimera e di una meschina emozione che non possono venire dalla sazietà del cibo, dall’ingordigia e dall’appagamento di istinti contrari ad ogni forma di moralità e sacralità del proprio ed altrui corpo; che non è frutto del potere, del dominio, del desiderio sfrenato di possesso. Queste realtà sono sciagurate apparenze di una libertà confusa col libertinaggio, di un insaziabile desiderio spirituale che non può contentarsi del materiale. L’anelito allo Spirito, alla contemplazione di ciò che è bello, nobile e santo non può essere tramortito dal passaggio di un disagio temporaneo come quello che stiamo vivendo, che porta con sé elementi efficaci per la purificazione della mente confusa ed il cambiamento di una vita a volte smarrita. Il tempo della consolazione giungerà quando avremo intrapreso un cammino diverso da quello finora percorso e cambiato davvero vita, mettendo in pratica il valore antico e sempre nuovo che si chiama conversione. I testimoni confermano che vera saggezza è accogliere Gesù come “Signore” della storia della propria vita ed ascoltare tutto quello che Egli dice. Questa, probabilmente, è la lezione che Dio, con una fine ed amorosa pedagogia, sta impartendo oggi all’umanità perchè ritrovi se stessa. P. Angelo Sardone