Eucaristia e sacerdozio: due doni di amore

Questi sono i giorni santi. Il tempo non è semplicemente una categoria filosofica, è un dono di Dio. Ogni giorno è un dono, ma quelli che cominciano oggi, il Triduo Pasquale di morte e risurrezione di Cristo, sono i giorni santi per eccellenza. Il giovedì santo è memoriale dell’Eucaristia e del Sacerdozio, sacramenti sgorgati dal “Cuore di Cristo, come da un parto gemello” (S. Annibale). Entrambi manifestano il grande, infinito ed eterno amore di Dio che in Gesù ha dato compimento al suo progetto di redenzione ed ha stabilito di rimanere per sempre in mezzo agli uomini nella realtà materiale del suo corpo velato dal segno del pane, nella persona dei suoi ministri. Sono i sacramenti della “presenza” di Cristo come cibo e bevanda di vita, attraverso gli elementi del pane e del vino, misericordia e tenerezza infinita, attraverso l’umanità di uomini deboli e fragili costituiti in straordinaria grandezza per tutto ciò che si riferisce al Signore. L’Eucaristia, mistero della fede tra i più difficili da credere, è il centro della giornata odierna, presenza viva di Cristo, cibo vero, pane del cammino, farmaco di immortalità. In funzione dell’Eucaristia e per l’Eucaristia, il sacerdozio, dono grande di amore dato al mondo mediante la scelta di uomini ad essa consacrati, confezionatori e distributori del pane di vita eterna, del perdono e della tenerezza di Dio. Grembiule ed acqua, stola, pane e vino sono i segni che unificano le due grandiose realtà sacramentali ed esprimono il fondamentale carattere del servizio, dell’oblazione, del sacrificio: “sacerdos et hostia, servitium et oblatio” (sacerdote e vittima, servizio ed oblazione). Ogni sacerdote oggi dice: «Senza mio merito, sono stato generato sacerdote e padre; sacerdote del Dio altissimo, “padre di una moltitudine di gente”. È Dio che, per sua bontà, mi ha reso tale». La paternità viene spiritualmente assunta nell’interezza della dimensione umana, fragile, caduca, non esente da peccato, ed esercitata nel nome di Dio che è Padre e misericordia infinita. Proprio perchè fragile, l’umanità e la sacralità del sacerdote esige vigilanza e diligente cautela da parte sua e da parte degli altri, amore tenero, delicato, vicinanza e distacco, pudore e contemplazione. Il sacerdote, avvolto nel suo mistero di vita umana e spirituale, insieme con Gesù dona se stesso, il suo tempo, la sacralità del suo corpo, la profondità dei suoi affetti, la verità del suo amore. Il suo compito è la propria ed altrui «santificazione senza la quale nessuno vedrà mai il Signore, vigilando che nessuno venga mai meno alla grazia di Dio» (Eb 12,14). Come il Servo di Dio Romano Guardini anche io, oggi, con molta umiltà, vorrei aiutare gli altri a guardare queste realtà grandiose con occhi nuovi, quelli di un bambino innocente ed estatico dinanzi alla sublimità di questi misteri. P. Angelo Sardone

La perenne adorazione

La presenza reale di Gesù Cristo sulla terra è garantita sino alla fine dei secoli dalla celebrazione della Santa Messa e dalle specie eucaristiche conservate nel santo tabernacolo. Il termine richiama la tenda nella quale era custodita l’Arca dell’Alleanza, ed è una sorta di piccola casa. La “custodia”o “ciborio”, che contiene il pane celeste che dà la vita (cfr. Gv 6) è il luogo sacro per eccellenza dinanzi al quale ci si inginocchia e si adora il corpo e il sangue di Cristo, mistero della fede di difficile comprensione. S. Annibale M. Di Francia, grande innamorato dell’Eucaristia afferma che notte e giorno Gesù nel santo tabernacolo, mentre è in contatto con l’eterno Padre, gli rende “adorazioni di infinito valore”. E’ il misterioso dinamismo di amore col quale Cristo prega e adora il Padre per noi, è pregato ed adorato da noi, prega in noi. Il Figlio, insieme con lo Spirito che intercede per noi con gemiti inesprimibili, presenta al Padre ogni nostra lode, gratitudine, richiesta e supplica, sia quando siamo dinanzi al tabernacolo che quando, come in questi giorni, impediti per forzate necessità, aneliamo alla sacra custodia e desideriamo ricevere Gesù sacramentalmente. In questo “gioco di amore” si rende efficace la potenza della preghiera cristiana, espressione del cuore, ed atteggiamento di vita. Il Signore esaudisce al «momento favorevole» e soccorre «nel giorno della salvezza». E questo, ora, «è il momento favorevole e il giorno della salvezza!» (2Cor 6,1). Il rapporto personale con Cristo si completa con l’incontro e la condivisione con i fratelli nel quale si concretizza un’altra presenza del Signore: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro!» (Mt 18,20). Con cuore umile e penitente stiamo accanto al tabernacolo di Gesù come lampada con fiamma perenne e fiori profumati, per essere sentinelle di amore che vivono di Lui, che operano per Lui. P. Angelo Sardone.

Non siamo soli

L’anima di Gesù è triste fino alla morte. E’ una delle parole che da sempre impressiona il mondo e turba il pensiero dell’uomo. Cristo avverte e vive un’angoscia mortale, preludio della sua “kenosi”, l’annientamento. E’ una delle manifestazioni più toccanti riportate dai Vangeli, che caratterizzano in pieno la più profonda umanità del Figlio di Dio fatto uomo. Sulla soglia della passione redentiva, fine ultimo della sua missione di Salvatore, Egli vive la tristezza amara della solitudine, dell’abbandono, della incomprensione del messaggio di amore che, per volere del Padre, deve necessariamente passare attraverso la sofferenza e la morte. Con delicatezza espressiva segnala agli apostoli più fidati che si è portato con sé, il bisogno di una presenza confortante in un momento così difficoltoso, in un travaglio così angosciante, quasi ad elemosinare un po’ di attenzione anche in silenzio; presenza e silenzio che esprimono affetto, partecipazione, sostegno, aiuto. Avverte finanche l’abbandono di Dio. Gli apostoli non capiscono questo insolito linguaggio: sono lì con Lui nel podere illuminato dalla luna piena, per fargli compagnia, ma portano il peso della loro umanità sopraffatta dalle preoccupazioni giornaliere, dalla stanchezza e dal sonno della poca fede, dallo scoraggiamento, dall’incertezza del futuro. Testimoni silenziosi di questo inizio di passione sono gli ulivi le cui radici sporgenti sono accarezzati e colorati dal rosso vivo del sangue anzitempo sgorgato dal suo corpo ancora intatto. Gesù non chiede di capire, ma di far compagnia, fermarsi di a vegliare con Lui. Per tre volte, si allontana da loro e prega. Per tre volte li trova addormentati. Al compimento dell’ultimo tratto del suo cammino di salvezza, è solo. La solitudine si traduce in profonda tristezza, delusione, paura della morte. Questa situazione, tante volte, come oggi, è lo specchio della vita di ciascuno. Anche se soli, siamo confortati dalla certezza che così «Gesù prese su di sé la nostra morte e fece nostra la sua vita» (S. Agostino). Anche se nel nostro “orto degli ulivi” ci sentiamo terribilmente soli, a pochi metri da noi veglia e prega per noi e con noi Gesù. Col suo silenzio misterioso e la sua tristezza profonda, sostiene la nostra tristezza, riempie la nostra solitudine, conforta i nostri cuori, asciuga le nostre lagrime. Coraggio, non siamo soli! P. Angelo Sardone

Lunedì santo 2020

Il giorno della Pasqua si avvicina. Stranieri e pellegrini sulla terra, incamminati con Gesù e dietro a Lui, siamo entrati festanti in Gerusalemme. Lì, dopo l’euforia esaltante dell’Osanna, con l’infamia della croce e portando in essa il peccato del mondo, il Figlio di Dio conclude il suo itinerario terreno. Ora lo attende e ci attende la passione. Anche il nostro pellegrinaggio si conclude con la morte, il passaggio ultimo della porta dalla vita terrena e finita a quella eterna senza fine nella Città santa. Siamo sopraffatti dalla vita, ad essa aggrappati; siamo “viventi”, soggetti alle norme impresse da Dio nella natura umana e nel cosmo, norme di vita e non di morte. La nostra vita è Cristo: in Lui «viviamo, ci muoviamo e siamo» (At, 17,28). Tendiamo a considerare la morte come la fine di tutto e tenacemente la esorcizziamo tenendola a distanza dai pensieri: con difficoltà riusciamo ad elaborarla con le categorie umane che la rifiutano. Quando poi consideriamo che Gesù, fatto uomo, l’ha vissuta nella drammaticità di un calice colmo di amarezza e di dolore, allora cominciamo a pensarla col suo valore catartico; il peso e la paura di essa si allevia. Nel cammino della vita verso la morte, allora abbiamo bisogno di costanza e perseveranza perché nel compimento della volontà di Dio possiamo raggiungere ed ottenere quanto è stato promesso (cfr. Eb 10,35). Qualunque croce ha senso se considerata in riferimento a quella portata dal Nazareno, una atrocità raccapricciante, a cominciare dalla ferocia devastante riversata sul suo corpo, barbaramente trasfigurato da una inaudita ed accanita violenza umana, fino ad annientare ogni forma di dignità. Gesù Cristo ha sopportato tutto tacendo, dando l’insegnamento finale con il linguaggio più convincente dell’amore. La morte ti toglie tutto, ma ti dà “il tutto”. Per questo, anche nella presente calamità, non indietreggiamo ma andiamo avanti senza timore, con gioia e fierezza e, se ci riusciamo, con l’aiuto di Dio e la sua costante illuminazione, consideriamo la croce di Gesù la sua genialità ed il nostro unico e vero vanto (Gal 6,14). P. Angelo Sardone

Domenica delle Palme

Oggi è un giorno di speranza. In verità ogni giorno, per il cristiano, è giorno di speranza. La Domenica delle Palme che dà inizio alla Settimana Santa è preludio della Pasqua del Signore. Il rigore imposto dall’attuale situazione avvolge il cuore in un velo di malcelata tristezza per l’impossibilità di partecipare fisicamente nelle nostre chiese all’assemblea dei fratelli e alla comunione eucaristica. Come i discepoli, chiediamo a Gesù dove vuole che prepariamo per Lui perché possa mangiare la Pasqua. La sua risposta quest’anno, a pensarci, ci sorprende: «Il tempo è vicino. Voglio fare la Pasqua da te, nella tua casa, nell’intimità e nel calore della tua abitazione e della tua famiglia, autentica chiesa domestica». E’ il tempo dell’efficacia della grazia e Gesù viene a visitare la nostra casa ed a stare con noi. Prepariamo tutto l’occorrente per la singolare celebrazione: la mensa con la suppellettile più preziosa, il libro della Parola, il cero della fede, la palma di ulivo, i canti di gioia e, soprattutto, i nostri cuori. Gesù si siede con noi, parla dolcemente al cuore di ciascuno, sorride, asciuga qualche lagrima, si lascia accarezzare dai bambini. Seppure misticamente nel Cenacolo della nostra casa si rinnova l’Eucaristia, dono supremo dell’amore offerto sull’altare della croce, nell’attesa che si compia la “beata speranza”. In forza del sacerdozio battesimale, presentiamo i nostri doni: gioie e speranze, paure, tristezze e angosce di noi che siamo nella prova, dei poveri e dei sofferenti. Gesù, sommo ed eterno sacerdote, parla al cuore, dona un abbraccio di consolazione e di pace e consegna a ciascuno il pane della carità da condividere con gli altri con un gesto di amore: una telefonata, una preghiera, un pensiero affettuoso, una palma, espressioni tutte di solidarietà, condivisione e di vicinanza. Così questo giorno si qualifica ancora di più come “giorno della fede nel Signore crocifisso, morto e risorto”. Ed allora la speranza cristiana, la nostra speranza, diviene lievito e luce della stessa speranza umana. P. Angelo Sardone

Maria, madre Addolorata

Siamo nati da una donna. Quando è sbocciata la nostra vita in lei, è diventata madre ed il suo grembo, sorgente, custodia della vita e tabernacolo santo. Siamo cresciuti nelle sue acque primordiali alimentati dalla sua stessa vita, dal suo sangue, coccolati dalle sue emozioni, fortificati dalla tenerezza e ricchezza dei suoi sentimenti, custoditi con premurosa attenzione, preservati amorevolmente da ogni contagio. Il suo cuore ha pulsato in sincronia col nostro cuore. Dal grembo di un’altra madre, la Chiesa, nelle acque del Battesimo siamo stati generati ad una vita nuova, “immessa per Cristo in Dio” e purificati dalla colpa originale. Con la crescita nella vita e nella fede abbiamo scoperto e beneficiato della presenza di una terza madre, la Vergine santa, Maria di Nazaret. “Novella Eva”, da Dio è stata resa due volte madre: quando ha generato Gesù alla vita umana, quando dal suo Figlio, nell’atto supremo dell’offerta sacrificale e della morte cruenta, è stata costituita ed indicata vera “madre di tutti i viventi”. Col dolore del parto siamo nati alla vita; sotto la croce di Cristo, mistero di redenzione e principio di vita eterna, la madre Addolorata e Desolata, per volere del Figlio, ci ha assunto come figli di una nuova umanità. Il dolore per il peccato del mondo che continua a lacerare il corpo immacolato del Figlio Gesù e ad appesantire il suo braccio santo, è da Lei alleviato mediante la materna intercessione e l’incessante premura con la quale invita tutti a “fare tutto ciò che Egli ci dice”. Cura le nostre ferite col balsamo profumato del suo amore, e, soprattutto nel tempo dell’angustia, sorregge la nostra speranza, alimenta la fiducia nella salvezza ed invoca per tutti perdono e misericordia. Sperimentiamo l’efficacia della sua mediazione e la grazia della sua presenza nella nostra vita, nella misura in cui accogliamo il messaggio di Cristo, e, come Lei, lo meditiamo nel cuore e lo realizziamo giorno per giorno. Un’autentica devozione a Maria passa attraverso una convinta adesione a Gesù Cristo. P. Angelo Sardone

Si vive e si muore ogni giorno

Si impara a vivere ogni giorno. L’arte della vita si apprende dalla morte. Ogni giorno è un giorno di vita ed un giorno di morte. La conclusione dell’esistenza umana, a qualunque età ed in qualunque modo essa avvenga, lascia sempre un grande vuoto, un immenso dolore, un angosciante interrogativo. L’uomo è stato creato per la vita: ma allora perchè la morte? L’apprendiamo con dolore come conclusione e distacco; la constatiamo con orrore, la raccontiamo con pudore come sfera delle realtà sacre. La morte è un nonsenso, è un mistero: pur tentando di dare una risposta, l’uomo rimane comunque deluso. A meno che non si rifugi nella fede. Gesù Cristo, come uomo, ha voluto subire la morte: in Lui essa ha avuto il valore universalmente purificatore, ha realizzato la radicale riparazione del peccato, ha fatto riconquistare la grazia ed ha aperto la strada della risurrezione per vita senza fine. Le notizie di questi giorni mettono a dura prova la stabilità emotiva, le certezze alle quali si aggrappa la vita, determinano lo stupore silente dinanzi agli imperscrutabili voleri di Dio e soffocano il dolore nelle lagrime che rigano il viso e solcano il cuore. Anche Dio piange con noi. La sua lagrima scende dal cielo ad ogni morte sulla terra: battendo sull’arida roccia del suolo calcareo e sul cuore sanguinante di chi piange, schizza violentemente e diventa un oceano che invade il mondo, un torrente di consolazione che investe il cuore, acqua battesimale che purifica e santifica. Nel sangue di Cristo e nella sua morte in croce si apre la certezza della vita eterna. In questa fede, la vita sulla terra matura e ciascuno trova un senso per guardare con occhi diversi la realtà che ci circonda e la morte che ogni giorno invade la vita. P. Angelo Sardone

Preghiamo per le vocazioni

Oggi è il primo giovedì del mese di aprile, giornata dedicata alla preghiera per le vocazioni sacerdotali e religiose. In forza della mia vocazione rogazionista, pubblico una scheda-immagine con tre brevi Preghiere al Signore della messe per gli operai del Vangelo, scritte da S. Annibale Maria Di Francia, apostolo della preghiera per le vocazioni. Facciamolo conoscere e divulghiamo adeguatamente queste preghiere. P. Angelo Sardone

Eucaristia e Sacerdozio

La più terribile malattia dell’uomo è la mancanza di amore. Gesù Cristo ha posto rimedio a questa carenza non solo dando prova di un amore senza limiti «fino alla fine», ma anche facendo dono dell’Eucaristia e del Sacerdozio, sacramenti istituiti contestualmente nella sua ultima cena. Il rito arcaico della pasqua ebraica che segnava per il popolo dell’alleanza il passaggio dalla schiavitù egiziana alla libertà, viene sostituito dal rito memoriale del “nuovo ed eterno testamento” per il nuovo popolo di Dio: si mangiano le carni dell’Agnello «che toglie il peccato del mondo»; il compito di confezionare nel segno del pane e del vino il mistero più difficile della fede è affidato al ministero dei nuovi “leviti” che, costituiti da Cristo sacerdoti «al modo di Melchisedek», accolgono la decima di ogni cosa e donano la benedizione. Da allora l’Eucaristia, dono supremo di amore, cammina di pari passo col Sacerdozio, dono misterioso di altrettanto amore, posti l’uno in funzione dell’altro. La realtà sublime del corpo e sangue di Cristo postula l’altra grandiosa della sua “confezione” e del servizio oblativo del sacerdote al popolo di Dio. Se viene a mancare il Sacerdozio, non c’è più Eucaristia. Il cammino di vita del credente è segnato da queste presenze che non verranno mani meno “fino alla fine dei secoli”. Il “pane del cielo” che dà la vita sostiene giornalmente l’uomo e la sua salute fisica e spirituale. Il sacerdozio, donato da Cristo a uomini scelti, segnati dalla debolezza della natura umana, è testimonianza concreta dell’amore di Cristo e servizio del popolo per le cose che riguardano Dio, nell’offerta di doni e sacrifici per i peccati. Se ciò è valido in ogni tempo, lo è particolarmente nell’attuale situazione di disagio nella quale il popolo santo di Dio sta vivendo con dolore la privazione materiale del cibo eucaristico e della presenza e vicinanza fisica del sacerdote per la celebrazione della S. Messa e l’amministrazione della Riconciliazione. La mediazione informatica favorisce la presenza virtuale del sacerdote nella casa e nella vita dei fratelli e delle sorelle nella fede. Egli, in effetti, garantisce con la sua preghiera e la celebrazione della S. Messa, azione liturgica per eccellenza che va oltre il disagio dei banchi vuoti e della chiesa chiusa, la presenza e l’efficacia dell’amore di Dio che colma nell’uomo il suo bisogno di amore. P. Angelo Sardone

Il Dio fedele e provvidente

La fedeltà di Dio è misericordia. Questa grande verità accompagna la vita dell’uomo sulla terra, la indirizza per sentieri di speranza, la sostiene in tempi di tribolazione, la vivifica con la Grazia. Nonostante l’uomo spesso volti le spalle a Dio, stravolga le leggi della natura, viva come se tutto dipendesse da lui, dalla sua intelligenza e dalla sua “volontà di potenza”, Dio lo rincorre, gli tende le braccia, gli dona provvidenza, lo attrae a sé, gli offre misericordia. La storia lo insegna, abbondantemente. Con pazienza il Signore ricomincia ogni giorno, è vicino a ciascuno, guida e sorregge. Il ritmo della vita, il corso anomalo delle stagioni, la ricerca esasperata del profitto senza scrupoli, la stessa natura umana talora asservita ad opinioni insensate e scelte sciagurate che contraddicono la legge immessa da Dio nel cosmo e nell’uomo, ricadono sul carico di responsabilità dell’uomo stesso, rendono fiacca la sua mente, debole il suo pensiero, vulnerabile il suo corpo, irresponsabile il suo agire. Ma Dio rimane fedele, anche in mezzo alla sventura. Il Figlio Gesù “testimone fedele” (Apc 1,5) guarda dal cielo, ogni giorno “viene e visita la terra” (Sal 79,15) e “sazia la fame di ogni vivente” (Sal 114,3). Alla fedeltà di Dio deve corrispondere la fedeltà dell’uomo, la nostra fedeltà, che si esprime con la perseveranza nell’impegno, la collaborazione intelligente nella salvaguardia del creato e della natura, la fantasia nell’esercizio della carità verso tutti, la retta autonomia per scoprire, usare e ordinare gradatamente ogni cosa, e per rispondere all’Amore con l’amore. La speranza che si arresti il flagello e che tutto presto torni alla normalità, si traduce allora in termini di “fedeltà” a Dio che è Padre provvidente e Amore misericordioso. P. Angelo Sardone