Ricominciamo

Mattutino di speranza

Lunedì 18 maggio 2020

 

Oggi, seppure con gradualità, si dovrebbe tornare alla normalità nelle relazioni sociali, nel lavoro, nella pratica sacramentale, nella partecipazione comunitaria alla Liturgia, il cui culmine e fonte è la celebrazione eucaristica che avviene ogni giorno. Per tanti, in tutto questo lasso di tempo, la “a-normalità” potrebbe essere diventata una sorta di “normalità”. Quando ci si abitua al buio, infatti, le stesse tenebre accecano gli occhi e la luce presa tutta d’un botto, può accecare. Allora bisogna essere graduali nella ripresa: non deve mancare affatto la prudenza e l’obbedienza alle norme stabilite. Dobbiamo ringraziare il Signore perché, se per un tempo abbastanza lungo abbiamo pensato di essere stati esclusi dalla sua presenza, Lui ha ascoltato la voce della preghiera quando gli abbiamo chiesto aiuto con fiducia ed abbandono. Ora è iniziata e ci attende la ripresa delle cose giornaliere, gli impegni della normalità della vita, anche se permangono restrizioni prudenziali. Intanto si ricomincia a vedere. Quando poi ci sarà una certa sicurezza evidenziata da indicazioni superiori ed oggettivamente valide, potremo dire di tornare alla più larga normalità. Mi viene da pensare all’episodio evangelico della guarigione del cieco di Betsaida come riportato dall’evangelista Marco: Gesù che era stato pregato di guarire un uomo cieco, lo prese per mano, lo condusse fuori del paese, bagnò i suoi occhi con la saliva e impose le mani su di lui. Quindi gli chiese: «Cosa vedi?». Ed il cieco, non più cieco rispose: «Vedo la gente perché vedo come degli alberi che camminano». Gesù nuovamente pose le sue mani sugli occhi dell’uomo e finalmente egli riuscì a vedere distintamente anche da una lunga distanza (Mc 8, 2-26). Una lettura superficiale potrebbe sentenziare che il miracolo non è riuscito per il fatto che Gesù è intervenuto per la seconda volta. Ma non è così. Il miracolo c’è stato, eccome, ma è stata graduale la ricezione del cieco, perché prima è stata sanata la sua fede e poi la parte malata del suo corpo. Gli interventi di Gesù sono sempre pedagogicamente significativi ed oltrepassano la comprensione umana sempre molto limitata. L’insegnamento che se ne trae è che tutto deve essere graduale, anche nella ripresa della situazione propriamente spirituale. La fretta di tornare in chiesa causerà in più di qualcuno qualche delusione per le precauzioni imposte e da adottare già all’ingresso, seguendo il percorso segnato, prendendo il posto indicato, continuando ad indossare la mascherina ed i guanti. Torneranno alla mente e sulle labbra lecite obiezioni, rimbrotti indirizzati ai governanti di turno, al comitato scientifico, alla CEI, perché sono loro che non capiscono, non sanno. E poi l’assenza per tanto tempo da queste cose e da questi luoghi ha acceso un desiderio maggiore di tornare a popolare chiese e cibarsi dei sacramenti. Ma è proprio così? Gesù aveva previsto questo quando, con estrema chiarezza, aveva indicato la stanza del proprio cuore come luogo per ritirarsi in preghiera profonda ed incontrare Dio: «Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6, 6). La ristrettezza è analoga alla stanza chiusa: se lì abbiamo davvero pregato ed incontrato il Padre con la sua misericordia ed infinita pazienza, non sarà difficile ora poterlo incontrare e cibarci del corpo immacolato del suo Figlio con l’Eucaristia, la Parola proclamata nella S. Messa, con la carità da esercitare verso chiunque incontriamo sul nostro cammino. Una cosa è certa: il Signore non ci ha consegnato nelle mani del nemico ed ha guidato i nostri passi. Ma potremmo correre il rischio di allontanarci o essere allontanati dagli altri per paura. La sapienza divina l’aveva previsto: sono divenuto «obbrobrio dei miei nemici, disgusto dei miei vicini, orrore dei miei conoscenti» fino al punto di pensare «chi mi vede per strada mi sfugge» (Sal 30). E’ necessario che, con l’intelligenza della mente e del cuore, rinfrancati da questo spiraglio di libertà fortemente desiderata, noi siamo realmente forti e riprendiamo coraggio una nuova strada che speriamo sia il risultato di una nuova vita. P. Angelo Sardone