Stare in piedi

E’ importante sostenere chi sta per cadere. Qualche volta è anche difficile. La posizione eretta è uno dei primi traguardi del bambino ed una soddisfazione per i genitori che gli hanno insegnato a camminare, sorreggendolo, tenendolo per mano e sorvegliandolo con premura ed attenzione quando si è slanciato da solo ed ha imparato a reggersi in piedi. Così egli manifesta la padronanza su se stesso, esprime la capacità di sapersi muovere autonomamente e la libertà di poterlo fare. Quando si cresce, stare in piedi ha il valore di avere gli occhi aperti, tenersi sotto controllo, guardare all’orizzonte, stare bene, insegnare. La posizione eretta dell’uomo è meno stabile di quella di un quadrupede: la sua razionalità coordina la stasi e dirige il movimento. Stare in piedi richiede attenzione, equilibrio, volontà, coordinamento tra le gambe, i piedi e la mente, soprattutto quando poi ci si deve muovere. Gli arti inferiori sono i mezzi per camminare ma è compito ed opera della volontà dirigere il movimento in avanti, dietro, in alto, in basso, per evitare gli ostacoli, per superarli. E’ proprio della mente vedere, comprendere e scegliere la via da percorrere, una via adatta ai propri passi ed al traguardo che si intende raggiungere. Molte volte il cammino della vita riserva una via tortuosa ed irta di difficoltà; altre volte è l’uomo stesso che in maniera improvvida sceglie di percorrere la via più difficile, più rischiosa, quasi una sfida con le sue capacità ed una prova di orgoglio con se stesso, con il desiderio e la volontà di fare da solo o di dimostrare di esserne capace. Molte volte la scelta va a buon fine, raggiunge la meta ed è vittoria; a volte è solo amara illusione; talora sonora sconfitta. Nel cammino se si cade ci si rialza proprio come fa il bambino, magari dopo essersi fatto anche male. La volontà e l’istinto naturale lo aiutano. Se poi c’è qualcuno davanti, di dietro o accanto che offre un sorriso, porge uno sguardo, si china a raccogliere, rialzarsi è più facile, riprendere il cammino con la presa stretta della mano, agevola il passo e lo rende sicuro. Quando ci si alza da solo o con l’aiuto di un altro, si riacquista fiducia e si capisce ancora di più la propria fragilità, la bellezza di stare in piedi, la necessità di qualcuno che ti aiuti a rialzarti, ti faccia comprendere la pericolosità del tragitto o della scelta e ti guidi a riprendere il passo più leggero e tranquillo. La grazia dei sacramenti tiene in piedi nella vita, sorregge, nutre e difende. Ma è anche attraverso la presenza fisica ed operativa di persone appositamente da Lui chiamate e dotate di speciali capacità che Dio manifesta la sua volontà che tutti stiano in piedi, che cioè siano salvi, raggiungano la felicità e la pienezza della verità. Al sacerdote, in forza di una speciale vocazione e della trasformazione ontologica operata attraverso il sacramento dell’ordine, Dio ha conferito un potere soprannaturale che non ha concesso neppure a S. Michele Arcangelo: rinnovare il sacrificio eucaristico, rimettere i peccati. Il compito del padre è aiutare il figlio a stare in piedi, nutrirlo, riprenderlo, guidarlo, dargli una eredità. Il compito del sacerdote è analogo: nutrire con il Pane della Parola ed il cibo dell’Eucaristia, esortare, correggere, manifestare la dolcezza paterna di Dio, generare continuamente alla vita di grazia e di fede chiunque il Signore gli mette dinanzi, a tutte le ore e di ogni età e condizione sociale. Diecimila pedagoghi in Cristo non reggono al paragone di un padre che genera in Cristo Gesù, mediante il vangelo (1Cor 4,15) ed ogni giorno dà la vita per chi ha generato, con una discreta e sacra presenza mediata da un costante pensiero ed accorata preghiera soprattutto sull’altare. Il suo misterioso e fecondo amore spesso rimane incompreso e nascosto agli occhi superficiali, ma è visibile agli occhi di Dio e noto al cuore ed alla sensibilità di chi a lui si è affidato come un figlio, come una figlia e che grazie a lui ha imparato a stare in piedi e a non cadere. E allora l’aiuto ed il sostegno diventa reciproco. Si diventa figli ma si scopre anche di essere fratello, sorella e madre. Una preziosità incomparabile. P. Angelo Sardone.

Fase e fasi di vita

Ogni fase della vita è regolata dalla Provvidenza di Dio ma è anche affidata al buonsenso ed alla responsabilità di ciascuno. Tutto è importante, tutto è necessario, ma vanno rispettati i ritmi naturali delle cose. Per ogni azione va esercitata la oculata prudenza e la doverosa obbedienza. La compressione della mente e del corpo dovuta alla stasi imposta e non scelta, tende all’esplosione ed alla ripresa dei propri spazi, delle proprie abitudini, delle proprie necessità. Per questo va amministrata con giudizio e attenta circospezione. Chissà per quanti, piccoli e grandi, questo tempo particolare è stato ed è una vera e propria implosione! Tenere a bada la mente, avere il necessario controllo sul proprio corpo e i suoi istinti, imporsi scelte di mortificazione e di rinunzia, possono sembrare cose impossibili o esagerazioni, frutto di una spiritualità sorpassata e zeppa di bigotteria! Il “tutto e subito” almeno nel campo sociale, non sempre si rivela un criterio sensato, soprattutto quando c’è di mezzo la vita, l’incolumità fisica e spirituale propria ed altrui. La natura che in questo tempo si sta risvegliando e si sta anche riappropriando dei propri spazi e dei suoi ritmi, sta mettendo sotto i nostri occhi le regole inflessibili impresse dal Creatore. Quanto abbiamo da apprendere dalle realtà che ci circondano! La libertà dell’uomo che spesso ha infranto ed ignora le norme, deve gestire le fasi della vita con un criterio di buonsenso e non secondo solo calcoli egoistici. Il male, il peccato, la malattia, soprattutto quando è impercepibile se non sotto un controllo meccanico o ormai esplosa in una patologia mortale fisica o morale, vanno tenuti a bada e va opposta la indispensabile resistenza. La Parola di Dio, significativa e chiara, è attuale e risolutoria: «Resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi» (Gc 4,7). La resistenza è manifestazione della forza della volontà che si oppone al male, è intelligente opposizione al peccato, è coscienza matura della scelta di un bene superiore. Questo tipo di resistenza sfianca finanche il demonio. Ma evidentemente non può reggersi da sola, ha bisogno del sostegno efficace della potenza di Dio, della grazia che se anche non è sacramentale, come in questi giorni, si riversa nella mente, nel cuore, nel corpo stesso, per mezzo della preghiera, della carità, del compimento del proprio dovere. E’ saggio criterio la sottomissione a Dio, l’avvicinamento e l’affidamento a Lui, la purificazione delle proprie mani contagiate dal virus ancora più terribile del peccato: mani che facilmente si infettano con le varie forme di ipsazione, di illusoria compensazione egoistica, manipolando la propria coscienza, ed infettando anche gli altri con il diabolico inganno che tutto è normale, che tutto è naturale. Un grande aiuto nella risoluzione del problema viene anche e soprattutto da un atteggiamento di umiltà che fa riconoscere i propri limiti, ammette le proprie colpe e trova in Dio il suo rifugio, la sua speranza, la sua esaltazione. Non esiste una sofferenza superiore alle nostre capacità ed una tentazione superiore alle forze umane: «Dio non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere» (1Cor 10, 13). Senza fretta per le cose umane, ma con piena e matura coscienza ed immediatezza nelle cose spirituali, affrontiamo la realtà della vita e non lasciamo a domani quello che possiamo fare già oggi, dando una vigorosa sferzata all’assopimento spirituale e morale un con pronto risveglio. P. Angelo Sardone

Il meglio della vita

Quando si ama davvero, ci si fida: quando l’amore è vero, è oblativo, completo ed appagante; quando la risposta è sincera, la gioia è viva e coinvolgente. La storia di ogni uomo e di ogni donna sulla terra si iscrive in un progetto di amore, di un duplice amore: quello che scende dall’alto e che chiama e quello che si innalza dal basso, si fa eco e risposta. E’ la storia e la realtà di ogni vocazione, di oggi, di ieri, di sempre. Nel suo grande ed inaccessibile mistero, Dio che è condivisione, non riserva per sé la pienezza del suo amore ma lo riversa sulle creature chiamandole all’esistenza, impastandole di bellezza e di doni straordinari, chiedendo una intelligente cooperazione per la propria e l’altrui salvezza. Gesù Cristo è la risposta più eloquente alla chiamata del Padre e, sommo ed eterno sacerdote, nello Spirito riserva per sé alcuni che, come lui, vivano il servizio all’amore nella completezza della loro vita, come oblazione ed offerta generosa e talora eroica della propria esistenza. L’eroismo ed il martirio non sono solo quelli eclatanti verificabili dal versamento del sangue, sottoposti alle luci dei riflettori e videocamere, illustrate nelle cronache dei giornali o documentate sulle pagine o dal numero elevato dei “like” di Facebook. C’è un martirio vissuto giornalmente, nascosto nel silenzio impenetrabile, in lagrime non asciugate, in offerta di amore non recepita, in disponibilità non apprezzata, in servizio orante compreso da Dio, in bisogno di affetto da donare e da ricevere a titolo assolutamente gratuito. Sono situazioni e sentimenti che non sempre si possono gridare ma che squarciano il cuore sensibile di chi ama. Si affermano a bassa voce e con pudore nel silenzio di una chiesa o di una cella, con la vicinanza che è presenza operativa anche a distanza, con la preghiera costante che è sacrificio a Dio, sostegno e interesse per i fratelli, con la condivisione dei dolori e delle gioie. Non sempre tutti capiscono o possono capire: occorre una comprensione intuitiva, una apertura di mente di cuore, uno stare accanto discreto e sacro, con meno interrogativi da porre, uno sguardo amorevole, un “ti voglio bene” più frequente e più vero. Le identità del sacerdote, della persona consacrata a Dio in un istituto religioso o nel mondo, di vergini votate alla clausura in un matrimonio mistico e fecondo di bene per il mondo, si iscrivono nel mistero soprannaturale ed umano della vocazione di speciale consacrazione nella quale sono coinvolte direttamente da Dio e coinvolgono l’umanità intera. Oggi, Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni, siamo chiamati a pregare proprio per queste persone, perché non manchino mai alla Chiesa i “buoni operai del regno”, continuatori dell’opera evangelizzatrice degli apostoli, uomini e donne votate al bene sommo ed assoluto per Dio per manifestarlo e riversarlo poi con altrettanta intensità nella messe delle anime ed il gregge della Chiesa. Pieghiamo «le ginocchia davanti al Padre dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome» (Ef 3,14-15) per chiedere con insistenza e con fiducia il dono delle vocazioni, indispensabili per la Chiesa e la società. Ciò, prima di essere una necessità, è un esplicito comando di Gesù: «Pregate il Signore della Messe perché mandi operai nella sua messe» (Mt 9,38). S. Annibale Maria Di Francia ha messo in evidenza questa parola dopo secoli di nascondimento, l’ha fatta sua e donata alla Chiesa. In essa operano Rogazionisti e Figlie del Divino Zelo, religiosi e laici che arsi di santo zelo diffondono il “divino comando” impegnandosi ad essere loro per primi, buoni operai. Ed io che sono un povero artigiano della parola, ho fatto di questa Parola la mia stessa vita. P. Angelo Sardone

IV domenica di Pasqua. Giornata Mondiale di Preghiera per le vocazioni

IVª di Pasqua, domenica del «Buon Pastore», Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Gesù crocifisso e risorto è “Cristo”, cioè l’unto di Dio e “Kyrios” cioè il Signore. Il primo discorso di Pietro dopo la Pentecoste è una catechesi sul Battesimo, conseguenza dell’accoglienza di questo annunzio. Esso immerge nel mistero della morte di Cristo e dona lo Spirito. La passione di Gesù, senza peccato ed inganno, mite e silenzioso, è, per il popolo errante come pecore ricondotte al loro pastore, esempio e scuola di vita per ottenere la guarigione e la giustizia. Con una similitudine peraltro non compresa dai suoi interlocutori, Gesù descrive il singolare rapporto che ha con le pecore: entra nel recinto per la porta aperta dal guardiano; le chiama ciascuna per nome, le conduce fuori dell’ovile, cammina davanti, ed esse ascoltano la sua voce familiare. Egli è anche e soprattutto “porta” che dà accesso alle pecore, perché è pastore, al contrario dei mercenari che non hanno avuto attenzione né ascolto dalle pecore perchè ladri e briganti. La sua porta è luogo e strumento per la salvezza e accesso sicuro al pascolo fertile e fruttifero ed alla vita donata in abbondanza. Il divino comando di Gesù: «Pregate il Signore della messe perché mandi operai per la sua messe» fu l’uscita “ampia ed immensa” che S. Annibale M. Di Francia, a causa della limitatezza delle sue forze e capacità, dinanzi a milioni di orfani e poveri che si perdono o che giacciono abbandonati come gregge senza pastore, trovò e legò alla vita sua, delle sue Congregazioni, della Chiesa intera. S. Paolo VI il 1964 colse questo intuito e rese esplicito un carisma rimasto quasi nascosto per 19 secoli tra le pagine evangeliche. Questa necessità, questo impegno e zelo, appartengono alla Chiesa intera. P. Angelo Sardone

Dio nel tumulto della nostra vita

Il Signore vive ed opera nei tumulti della storia, nelle paure e nei turbamenti del cuore dell’uomo, nelle sue gioie e nei suoi desideri. Egli è vivo e rende significativo ogni suo gesto, pieno ogni avvenimento, gioiosa ogni risposta di chi a Lui si affida. Il suo silenzio non è mai muto, anche quando sembra distante, estraneo o disinteressato alle nostre situazioni di vita, ai nostri problemi di salute e di lavoro, quando il mistero che avvolge la vita, si rivela sempre più fitto ed incognito e preoccupante diventa il futuro. In Gesù, sua Parola vivente, egli assicura: «Io sarò con voi sino alla consumazione dei secoli!» (Mt 28). Cristo è al timone della storia e della nostra vita: indica la rotta giusta e corregge la falsa direzione che avvenimenti, debolezze umane, l’imprevedibilità delle situazioni, l’assuefazione anche alle cose spirituali, possono indurre a prendere. I percorsi esistenziali si rivelano superficiali, e la coscienza fluttuante tra il desiderio del bene e la facile attrazione del male, la fatica della costanza nell’impegno e l’appagamento momentaneo e passeggero, autentico ingombrante rimorso. E’ Lui che «apre davanti a te una porta che nessuno può chiudere» (Apc 3,8). Occorre varcare la porta, remare con forza per seguire la direzione giusta e mettere in atto, insieme con la fatica di credere, il coraggio di osare, la gioia per ringraziare, la lode per proclamare la sua grandezza ed il suo amore. La storia di ogni vita umana è la sintesi di una chiamata e di una risposta: in essa si gioca il dinamismo di un “amore vero” che viene da Dio, grande, immenso e di un amore umano limitato e confuso dalla miseria e dal peccato, che balbetta le risposte mosse dal desiderio insaziabile della felicità. Essa, nonostante l’inquietudine del cuore dell’uomo, tende alla pienezza della gioia vera e della pace duratura. La vocazione dell’uomo è l’amore: si conosce e si realizza nelle pagine giornaliere della vita scritte talora anche col sangue e l’inchiostro delle contraddizioni, i suoi aneliti, i desideri reconditi, le paure, i turbamenti. La fatica di crescere è premiata dalla consapevolezza di “essere e di fare qualcosa per cui nessun altro è stato creato” (H. Newman). Tutto questo matura nel silenzio, nella riflessione, ma anche nell’affrontare e superare le difficoltà, soprattutto quando, con le spalle al muro o sprofondati nel buio più fitto dell’angoscia, della paura, della solitudine, si guarda attorno e si trova qualcuno che ci dà una mano; si alza lo sguardo verso l’alto e si scorge il Risorto che sorride e scende a prendersi addosso gran parte del peso di croce che portiamo. In qualunque scelta di vita e cammino di risposta alla chiamata di Dio, noi non siamo soli. Il discernimento ed il compimento della personale vocazione sono affidati alla responsabilità singola, ma godono ogni giorno della presenza e dell’opera di Gesù Cristo che sostiene con la forza del suo amore. Il matrimonio, il sacerdozio, la vita consacrata dentro o fuori del mondo, hanno la loro origine dal cuore di Dio: si conoscono e si realizzano nella misura in cui, soprattutto con la preghiera, l’intimità di rapporto con Dio, la vita sacramentale sistematica e la presenza e l’accompagnamento di una guida saggia ed illuminata, si mette a fuoco il dono ricevuto e si risponde con responsabilità. Oggi sembra più difficile percepire la vocazione come un dono, fa paura l’impegno nella totalità e stabilità del tempo. Ma se viene accolta la chiamata del Signore, essa trasforma l’esistenza e dà senso pieno alla vita. Basta guardare a Maria di Nazaret. P. Angelo Sardone

Lavoro e pane

Il Signore ci chiama alla condivisione ed alla collaborazione. Questi principi li ha direttamente incisi nella creazione e nelle creature. Ha impresso la vita negli esseri ed ha affidato all’uomo il compito di amministrare il creato, di soggiogare la terra, di coltivarla e custodirla perché fruttifichi e dal suo frutto, mediante il lavoro, egli viva, sia fecondo, si moltiplichi, e goda. Dio ha voluto condividere, cioè dividere con l’uomo, la ricchezza e le potenzialità del creato e lo ha chiamato a collaborare, cioè a lavorare con Lui perché il suo progetto di amore e di bene giunga al pieno compimento. Ha fornito l’uomo e la donna di intelligenza straordinaria, capace di investigare e scoprire nel mistero del creato le leggi da Lui date per la realizzazione del suo piano di amore e di salvezza. Ha nobilitato l’uomo con la legge del lavoro che, prima di essere fonte di preoccupazione e di impegno, è comune corresponsabilità e cura del creato. La colpa originale ha sconvolto l’assetto primordiale, il suolo è stato maledetto: ciò che rientrava nel piano e nell’ordine della creazione, è diventato disordine, il dono è diventato conquista, e, per l’uomo, sacrificio, sudore, dolore. Il lavoro di collaborazione è diventato fatica, preoccupazione, disagio, sofferenza. Le istituzioni legislative e gli ordinamenti umani non sempre hanno salvaguardato l’uguaglianza e l’equa distribuzione dei beni. E così l’uomo si è trovato e si trova in difficoltà. Gesù, il Figlio di Dio, nella famiglia di Nazaret, alla scuola di Giuseppe il falegname, suo padre putativo e di Maria sua madre, ha collaborato al lavoro domestico per procurarsi il pane per vivere. Paolo di Tarso, investito della dura e faticosa missione evangelizzatrice, confessa di «non aver mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma di aver lavorato con fatica e sforzo giorno e notte per non essere di peso ad alcuno» (2Tes 3,8). Nell’attuale giornata, festa del lavoro, in verità riesce un po’ difficoltoso se non anacronistico, evidenziare il tono gioioso della festa, per la situazione che si è aggravata per tante famiglie e tante persone, della limitazione e soprattutto della mancanza del lavoro. Le prospettive immediate, nonostante gli sforzi enunciati ed i buoni propositi, sembrano davvero allarmanti. E non si tratta di un problema relegato solamente a coloro che ne sono vittime. E’ problema e responsabilità di tutta la società e di ogni singolo uomo e donna, che richiede condivisione e collaborazione. La vita dei primi cristiani a Gerusalemme è un parametro storico ed esperienziale di comunione e di condivisione: ma quanto è difficile ispirarvisi mettendo in comune i propri beni secondo il bisogno di ciascuno e perché nessuno soffri umiliazione! La Chiesa da sempre con il suo magistero ha trattato la questione sociale, sottolineando la giusta rivendicazione dei diritti al lavoro, la tutela dei più deboli, la salvaguardia dell’ambiente, la cessazione delle brutture e della violenza sulla natura e la dignità umana. Penso alle tante famiglie aggravate dall’attuale situazione di fermo o di perdita del lavoro che crea disagio anche alimentare, ai tanti esercenti commerciali destinati al fallimento, ai tanti giovani che dopo un percorso di fatica e di studio trovano porte chiuse e banchi già occupati. La mia preghiera oggi è per loro, chiedendo al Signore ed alla Vergine Maria che a larghe mani distribuiscono la Provvidenza, di non far mancare lavoro e pane perché ogni uomo, ogni famiglia possa continuare a benedirlo e ringraziarlo! Ed anche per lo Stato perché tuteli la sacra dignità dell’uomo che si esprime proprio nel lavoro intellettuale, manuale, spirituale. P. Angelo Sardone

La doppia liturgia

Il pane e il vino sull’altare di una chiesa diventano Eucaristia, mistero della fede. Il pane e il vino sulla mensa di una casa diventano Comunione, mistero di amore. Tutto si muove sul piano del mistero, da quello che supera la portata dei sensi e dell’umana comprensione a quello intorno al quale ogni giorno si costruisce la vita, le relazioni, con le gioie ed i dolori, le fatiche e le speranze. Chicchi di grano macinati e acini d’uva spremuti sono gli elementi costitutivi (la materia, la chiama la teologia sacramentale) dell’Eucaristia. Sudore, impegno, sacrifici, lavoro, gioie e soddisfazioni, sono gli elementi che ogni giorno, impastati con amore e spremuti con dolcezza diventano corpo donato e sangue versato nella chiesa domestica. Per la confezione dell’Eucaristia Gesù ha incaricato gli apostoli ed i loro successori, in forza del sacramento dell’Ordine sacro: “Fate questo in memoria di me”. Per la realizzazione dell’eucaristia domestica lo stesso Gesù, in forza del sacramento del Battesimo, ha conferito a ciascuno l’identità comune di sacerdote, re e profeta per esplicitarla nel servizio della carità e dell’offerta di sé, nella conoscenza della Parola di Dio, nella proclamazione delle grandi opere del Signore. Ogni giorno la liturgia ecclesiale e domestica ha le sue norme ed i suoi segni: la tavola imbandita con la tovaglia, gli utensili, un fiore, il pane, l’acqua e il vino, nella casa; la patena con le ostie ed il calice con il vino, il “messale”, nella chiesa. E’ una analogia straordinaria di segni, di mistero. Il giovedì settimanale, più particolarmente l’Eucaristia ed il Sacerdozio sono sottolineati nella riflessione, nella preghiera e nell’adorazione. Mentre si benedice il Signore, si offrono i frutti della terra in rendimento di grazie. Questo è il senso più vero ed esplicito del termine Eucaristia. La potenza dello Spirito invocato sulle offerte materiali, rievocando le parole pronunziate da Gesù nel Cenacolo, compie il grande miracolo della “transustanziazione” cioè la trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo, vero cibo e vera bevanda. Quest’offerta ha valore universale, coinvolge ed implica tutti. Anche nella casa come con una vera e propria liturgia, ogni giorno si compie l’offerta, il sacrificio, e ci si nutre del cibo materiale e dell’amore condiviso. Questa offerta coinvolge ed implica i membri della famiglia. I giorni che stiamo vivendo, dolorosamente contrassegnati dalla mancanza di partecipazione fisica alla celebrazione della S. Messa nell’assemblea del popolo di Dio e dalla ricezione materiale del pane della vita, non sono vuoti: sono comunque giorni pieni. La mancanza del cibo eucaristico viene colmata dal pane della Parola di Dio, ricca ed abbondante, comunicata e condivisa attraverso i tanti canali della comunicazione. A questo, deve associarsi il pane della carità. Un celebre aforisma di S. Agostino, ripreso dal Concilio Vaticano II in SC 47, definisce mirabilmente l’Eucaristia “Sacramento di pietà”, segno efficace dell’amore misericordioso di Dio Padre; “Segno di unità”, che realizza l’unità dei credenti in Cristo, con Cristo e tra loro; “Vincolo di carità”, catena, anello, che annoda l’amore fraterno con l’amore di Dio. Questo grande mistero è reso vivo ed operante dal sacerdote sull’altare, anche a nome di chi non può partecipare fisicamente e deve accontentarsi della comunione spirituale che rimane sempre e comunque un anelito, un desiderio e non una realtà sacramentale. Anche oggi, celebrando l’Eucaristia ed adorando il mistero della fede, io ripeto a Dio Padre il nostro “Amen” il mio, il tuo, quello dell’intera umanità. P. Angelo Sardone

Caterina da Siena, santa di sorprendente attualità

Santità e dottrina sono elementi che qualificano, caratterizzano e sublimano la vita umana come riflesso della vita divina. Creato ad immagine e somiglianza di Dio e redento da Cristo nel mistero della sua morte e risurrezione, l’uomo anela alla santità che lo rende staccato da tutto ciò che è solamente umano e carnale e, alimentato dalla sana dottrina frutto della sapienza, lo porta alla perfezione. In questi parametri si inquadra la vita e l’opera di santa Caterina da Siena, vergine e dottore della Chiesa, patrona d’Italia. La sua breve esistenza, 33 anni appena, ha esplicite connotazioni di intensità di vita umana e spirituale, di impegno sociale e civile, di attività culturale ed ecclesiale. La dottrina infusa, l’intraprendenza ed il coraggio manifestati in operazioni di grande portata, la distinguono nel complesso e travagliato panorama sociale ed ecclesiale del suo tempo, e la rendono eccezionale testimone di sapienza e santità. La sua esperienza umana e spirituale è la chiara dimostrazione che le lacune culturali sono colmate in maniera sovrabbondante dalla scienza infusa da Dio e da Lui elargita a seguito di una richiesta orante umile e fiduciosa (Sap 7); che l’amore per Gesù Crocifisso e la Chiesa sono superiori a qualunque altro interesse; che l’ardore e lo zelo apostolico si esprimono con coraggio e senza paura; che la vera santità è «la perfetta unione, sia pure attiva, della nostra volontà con quella dell’Altissimo, per puro amore di Dio e col retto fine di piacere a sua Divina Maestà» (S. Annibale M. Di Francia). Alimentata alle fonti della grazia, della preghiera e dei sacramenti, un’autentica santità apre gli spazi della mente e del cuore ad un’altrettanta unione e solidarietà con gli uomini, ai loro interessi, alle necessità concrete di una società che, soprattutto oggi, sembra voler fare a meno di Dio. Durante la peste, il terribile flagello che il 1375 sconvolse la nobile città di Siena, Caterina visse un rapporto di maggiore intimità ed intensa comunione con Gesù, avvalorato da una partecipazione più diretta, anche se non visibile esternamente, ai dolori ed ai segni della passione. Produsse inoltre un’attività attenta ed intensa verso i poveri, gli ammalati, i carcerati di quel mondo dilaniato da disgregazione e peccato. La sua figura è di sorprendente attualità e di eloquente insegnamento. La sua testimonianza, sulla scorta della Parola di Dio, insegna che la vera comunione con Dio si traduce in generosa comunione con gli altri, purchè ciò avvenga nella verità e non tra le tenebre della menzogna e dell’inganno. Il Signore Gesù che nella sua benevolenza rivela le cose grandi ai piccoli, anche in questo particolare tempo di prova, di oppressione e stanchezza, di lacerazione psicologica, spirituale e relazionale, invita ad andare da Lui, cioè a credere in Lui, a camminare con Lui con fiducia ed abbandono, per trovare ristoro e prendere addosso il suo giogo che, al di là di tutto, si rivela soave, cioè amabile, delicato, persuasivo. P. Angelo Sardone