Le pecore perdute

La semina del mattino, 6. «Rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 10,6).
Nel primo mandato missionario, i 12 apostoli furono dotati da Gesù di poteri straordinari sugli spiriti impuri, sui malati e finanche sui morti. L’ordine loro dato contiene tra l’altro un’indicazione ben precisa: non andare verso i pagani ed i Samaritani, ritenuti separati, ma comunicare la salvezza messianica alle pecore perdute della casa d’Israele. L’espressione ricalca un passo profetico di Ezechiele (34,4-6) e si riferisce anche al cosiddetto “popolo della terra”, che per guadagnarsi da vivere, per attività disonorevoli, per poco interesse o ignoranza, era ai margini della vita sociale e dell’impegno religioso. Oggi le pecore perdute possono essere anche coloro che per motivi diversi hanno abbandonato il patto di alleanza e fedeltà al vero Dio, disperdendosi nei meandri della confusione, del peccato, della corruzione, lontani dalla pratica della vita di fede. La società di ogni tempo ha riservato situazioni analoghe. La realtà odierna che sembra più accentuata e preoccupante, forse ha ribaltato l’immagine evangelica delle novantanove pecore che sono al sicuro nell’ovile e dell’unica che si è smarrita. La nuova evangelizzazione deve ripartire dai nostri ambienti, non per proselitismo ma con la forza dell’attrazione, con la coerenza della vita e la costanza nel non facile impegno. Necessita di un rinnovato mandato a tutti i battezzati con il potere ereditato da Gesù Cristo: l’amore fraterno e la testimonianza. P. Angelo Sardone

Pecore e pastori

La semina del mattino, 5. «Le folle erano stanche e sfinite» (Mt 9,36).
Erano in tanti a seguire Gesù, attratti dall’autorità del suo linguaggio, dalla concretezza delle sue azioni, dall’efficacia di ogni suo intervento. Non badavano neanche ai bisogni più elementari ed alle necessità impellenti, affascinati com’erano dal Maestro. C’era di tutto: piccoli e grandi, malati e sani, depressi ed esaltati, ricchi e poveri. L’immagine dipinta dall’evangelista Matteo e da Marco è inequivocabile e le tinte sono intense: le folle erano stanche e sfinite come pecore senza pastore. Mosso da una profonda compassione, in riprese diverse Gesù diede loro da mangiare, cominciò ad insegnare, guarì i malati. Mentre mandava i discepoli in missione, con un intervento sorprendente delineò infine un criterio di vicinanza e condivisione nella sintesi di un comando: «Pregate il Signore della messe perché mandi gli operai!». Le pecore di ieri e di oggi, angosciate per le tristi situazioni della vita, le malattie, i disagi, le solitudini, le amarezze, le delusioni, hanno bisogno di pastori pieni di compassione che ascoltino, condividano, che guidino il gregge. Che, soprattutto, siano “pastori buoni”, interessati al vero bene, alla cura ed al progresso del gregge, alleviando la fatica e sorreggendo la spossatezza. «Pastori secondo il cuore di Dio», dice S. Annibale. Per averli bisogna meritarli, bisogna chiederli incessantemente. Bisogna poi ascoltarli e seguirli, proprio come le folle facevano col Maestro. P. Angelo Sardone

Una qualità di vita

La semina del mattino, 4. «Beati i puri di cuore» (Mt 5,8).
Il ritornello litanico delle Beatitudini, dichiara che i puri di cuore vedono Dio. La purezza è una qualità di vita, la virtù sinonimo di candore, ordine morale, pulizia interiore ed esteriore. Chi ha mani innocenti e cuore puro sale il monte del Signore e dimora nel suo luogo santo (Sal 23, 3-4). La bella virtù richiama il Paradiso terrestre dove tutto era limpido, ed i progenitori che vivevano senza vergogna né paura. Contaminata dalla colpa originale e fiaccata da un bieco egoismo, spesso è svalutata e profanata da una concezione di vita superficiale e godereccia. Quando è consacrata diviene vincolo di appartenenza a Dio; quando è vilipesa, insidiata, o infranta da forze coercitive, può determinare il martirio. L’odierna memoria liturgica di S. Maria Goretti testimonia la sua preziosità difesa strenuamente da una fanciulla di appena 12 anni sotto i colpi mortali di un punteruolo e l’atroce violenza di una cieca e torbida passione. La salvaguardia della purezza richiede responsabilità, impegno volitivo e corrispondenza umile e fiduciosa alla grazia di Dio che dona la *verginità del cuore*. La sua tutela è garantita a tutte le età dalla pratica sacramentale della confessione, il nutrimento ordinario dell’Eucaristia, l’impegno nel lavoro, la fuga delle occasioni, da un costante e disciplinato accompagnamento spirituale, dalla mortificazione e dalla preghiera. P. Angelo Sardone

Buon compleanno sant’Annibale!

La semina del mattino, 3. «Mio figlio tu sei, io oggi ti ho generato» (Sal 2,7).
Dio continua la creazione attraverso la generazione di nuove vite ad opera della coppia umana, la donna e l’uomo. I figli sono dono del Signore: sua grazia è il frutto del grembo (Sal 127,3). Nell’identità e nell’operato di ciascuna creatura si rivelano le peculiarità che la rendono unica ed irripetibile. La data di nascita, in genere si ricorda come momento gioioso con un particolare clima di festa. E’ giorno di benedizione, di lode e di gratitudine al Signore per il dono concesso ai genitori ed alla famiglia e per la personale identità di ciascun “essere vivente”, chiamato ad essere «gloria di Dio». Oggi si ricorda la nascita di S. Annibale Maria Di Francia, avvenuta a Messina il 5 luglio 1851. Al suo carisma, ai suoi insegnamenti ed alla sua testimonianza di santità, tanti, religiosi, religiose e laici nelle diverse parti del mondo, devono una speciale protezione ed una nuova via di santità nel compimento della vocazione rogazionista, con la preghiera ed azione per le vocazioni e col servizio ai piccoli e i poveri. P. Angelo Sardone

14ª domenica T.O.

Il dominio del Signore è universale: è un Re giusto e vittorioso, cavalca un asino, annuncia la pace e rompe ogni arco di guerra. La descrizione profetica di Zaccaria si realizza ed incarna in Cristo mite ed umile di cuore che invita affaticati ed oppressi dalle tribolazioni della vita, ad andare da Lui, cioè a credere in Lui. Nella preghiera di lode al Padre, Gesù esalta il valore di coloro che sono piccoli perché proprio ad essi, come deciso dalla benevolenza del Padre, sono rivelate le cose grandi piuttosto che ai sapienti e ai dotti. In Lui c’è ristoro nella fatica e sostegno nella prova: il suo giogo è dolce e tramite Lui si conosce il Padre. Per appartenere a Cristo bisogna avere lo Spirito di Dio che dà vita. È Lui che abitando in noi ci rende liberi dal debito e dal dominio della carne, i cui desideri e le cui opere invece rendono schiavi. La morte delle opere del corpo diviene certezza di vita buona, già su questa terra. P. Angelo Sardone

Maria Madre di ogni grazia

Mattutino di speranza, 2 luglio 2020.
Nella S. Messa Gesù nasce come in una nuova Betlemme. Non più nascosto nella sua umanità, ma sotto le specie eucaristiche; non per restare trentatré anni sulla terra, ma per rimanervi fino alla fine dei secoli. La Chiesa vive nutrendosi del suo corpo e del suo sangue. Nel tabernacolo si trova sempre vivo e vero, amante ed operante il Cuore di Gesù. Tutti i ringraziamenti, le lodi, gli affetti, i sospiri, i desideri, i pensieri, l’amore, tutto l’essere, hanno senso se si rivolgono e partono da Gesù sacramentato. L’offerta del culto spirituale, in forza del nostro essere popolo sacerdotale, trova la sua ragione di essere a partire proprio dall’Eucaristia che fa la Chiesa, come affermava il grande gesuita Henri de Lubac. Una celeberrima espressione di S. Agostino, ripresa dal Vaticano II, definisce l’Eucaristia «sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità» (SC 47), mirabili affermazioni che il grande vescovo ipponate rivolgeva alla sua gente per spiegare l’essenza dell’Eucaristia, il nutrimento vivo ed efficace del popolo di Dio. Queste verità, parte integrante della fede nel mistero eucaristico celebrato ed adorato, sono l’eredità teologica delle cosiddette “Feste del Primo Luglio” che nella Tradizione rogazionista si protraevano per alquanti giorni. Il 2 luglio, successivo alla festa eucaristica, l’attenzione era rivolta alla Madonna, salutata ogni anno con un titolo nuovo cantato con l’inno apposito. Dal 1936 in poi, analogamente a quanto era avvenuto per Gesù Sacramentato, nell’Opera Rogazionista la Vergine Santa è salutata e venerata col titolo di «Divina Trionfatrice». Provvidenzialmente nella giornata odierna la Tradizione cristiana ricorda la gran Madre di Dio, Maria, col titolo di “Madonna delle grazie”. La prima “divina” grazia elargita da Maria è proprio il suo figlio Gesù. Una ispirata affermazione di S. Giovanni Paolo II la definisce “primo tabernacolo eucaristico”. La disponibilità del suo grembo e della sua vita, ha permesso il compimento del progetto di amore di Dio sull’umanità decaduta, attraverso Gesù, il Redentore. Sin dagli inizi della sua missione evangelizzatrice, Egli ha acconsentito alla richiesta della madre a Cana di Galilea, dove ha compiuto il primo miracolo. E’ interessante il fatto che l’intervento straordinario sia stato perorato proprio da Maria e sia frutto della delicata sua attenzione dinanzi ad una necessità e ad un bisogno peraltro non apertamente manifestato dagli interessati. E’ lei che, attenta e vigile si accorge della mancanza del vino e lo comunica a Gesù. «Fate tutto quello che egli vi dirà» è l’ingiunzione che dà non soltanto agli inservienti di Cana ma all’umanità intera per la quale si rende mediatrice di ogni grazia. Lo aveva compreso il cistercense S. Bernardo, grande cantore di Maria, che in una celebre preghiera a lei rivolta, il Memorare, dice: «non s’è mai udito che qualcuno sia ricorso a te e sia stato abbandonato». Lo ha confermato con terzine di altissimo valore teologico, il sommo poeta Dante Alighieri quando nella Cantica del Paradiso proprio sulla bocca di S. Bernardo nella Preghiera alla Vergine pone queste parole: «Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz’ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre». La mediazione di Maria presso il suo Figlio Gesù è potente, è indispensabile, è efficace per la vita del cristiano. Sia in ordine ai beni spirituali che materiali. Lo confermano due millenni di storia che la vedono ed onorano come Madre della Chiesa, lo attestano le diverse apparizioni, l’attualizzano i tanti santuari mariani nei quali il primo assoluto riferimento rimane Gesù celebrato ed adorato nel mistero dell’Eucaristia. La logica dei grandi Santi innamorati di Maria è che attraverso Maria si va a Gesù, più si ama Maria, più si ama Gesù. Proprio Maria sembra allora ripetere quanto S. Agostino concludeva in riferimento al grande mistero del pane e del vino: «Chi vuol vivere ha dove vivere, ha di che vivere. Si avvicini, creda, entri nel corpo e sarà vivificato» (Trattato su S. Giovanni 26,13). Sostenuti da Maria nella celebrazione dell’Eucaristia, rimanendo in adorazione davanti al santo tabernacolo, come Lei conserviamo l’immenso dono ricevuto meditando nel cuore le grandi meraviglie del Signore. P. Angelo Sardone

Il Divino Trionfatore

Mattutino di speranza, 1° luglio 2020.
L’Eucaristia è un mistero di amore, di fede e di presenza. Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio perchè tutti in Lui abbiano la vita (Gv 3,16). Cristo ha manifestato il suo amore fino in fondo non solo con la lavanda dei piedi che nel vangelo di Giovanni ha forti connotazioni eucaristiche (Gv 13), ma anche e soprattutto nel mistero della sua morte, preceduta dall’istituzione dell’Eucaristia. Essa è il memoriale della Pasqua, attestato da S. Paolo nella Prima lettera ai Corinzi (1Cor 11), raccontato dai tre vangeli sinottici ed anticipato da Giovanni nel suo vangelo, col discorso del “pane della vita” (Gv 6, 26-58). L’Eucaristia è mistero che richiede la fede per non rimanere prigionieri nel labirinto del ragionamento umano e disperdersi nell’insufficienza di comprensione dei sensi. È un mistero di presenza, non finzione o surrogato, ma realtà. Il Catechismo di S. Pio X che ha formato tante generazioni affermava: «l’Eucaristia è il sacramento che, sotto le apparenze del pane e del vino, contiene realmente il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità del Nostro Signor Gesù Cristo per nutrimento delle anime» (art. 316). La presenza reale di Cristo col suo corpo ed il suo sangue è mediata dai segni del pane e del vino “transustanziati” cioè trasformati per la potenza dello Spirito. L’Eucaristia è “fonte e apice di tutta la vita cristiana” (LG, 11). «Tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente uniti alla sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Nella Santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua» (PO, 5). L’intuito dei Santi è sempre concreto ed attuale. L’accoglienza di questo mistero è soggetta ad una formazione adeguata che aiuta a comprendere il valore supersostanziale del pane e si sviluppa in atteggiamenti devoti nella celebrazione eucaristica, nell’adorazione, nella custodia sacramentale. Nei primi tempi della Chiesa le specie eucaristiche erano tutte consumate nella cosiddetta “frazione del pane” ossia la celebrazione eucaristica, eccetto quelle destinante agli infermi assenti. Col tempo, facendo leva sul segno biblico dell’Arca dell’Alleanza che conteneva le tavole della Legge ed un vasetto con la manna raccolta da Aronne, si cominciò a conservare e custodire le specie avanzate nel santo tabernacolo che costituisce, all’interno della chiesa, il luogo della dimora reale di Cristo. Negli Istituti religiosi, nei Seminari, Gesù dimora sotto lo stesso tetto in apposite cappelle in genere situate al centro della struttura, a significare come il centro di ogni operazione e riferimento è Gesù Eucaristia, sempre, di giorno e di notte. Da questa presenza prende vita ogni cosa. Ciò determina il rendimento di grazie, la gioia e la responsabilità di avere Gesù in mezzo. S. Annibale M. Di Francia questo lo sapeva bene. La sua devozione eucaristica ha dell’incredibile sia nella prassi pedagogica e liturgica che nella sua abbondante e specifica letteratura. Ecco perché la Festa eucaristica del 1° luglio nella spiritualità rogazionista è di prim’ordine perché in essa si rinnova annualmente il memoriale della venuta in forma stabile dell’Eucaristia tra le case dei poveri del quartiere Avignone di Messina e di conseguenza nell’Opera Rogazionista. Anticamente la preparazione aveva la componente pedagogica del bisogno di Gesù Sacramentato, quando si teneva appositamente vuoto il tabernacolo, al quale si facevano volgere gli sguardi col desiderio che fosse presto pieno. Così si poteva comprendere la differenza di quando Gesù è presente realmente e quando non lo è. Significative erano le altre componenti del singolare cerimoniale liturgico istituito dallo stesso Fondatore: il nuovo titolo dato annualmente a Gesù Sacramentato, l’inno corrispondente, i discorsetti dei ragazzi, le iscrizioni disseminate lungo le vie del Quartiere Avignone, il clima di festa e di gioia per la presenza di Gesù. Se pure oggi sono venute meno queste espressioni nate dall’estro poetico e devozionale del fondatore, non è venuta meno la centralità e l’importanza della festa che costituisce come il “Natale dell’Opera”.  Dal culto eucaristico, diceva S. Paolo VI «deriveranno molti beni alla Chiesa ed al mondo». In effetti dopo tanti anni di dura prova, dal 1° luglio 1886 l’Opera Rogazionista, la «piccola carovana» cominciò il suo pellegrinaggio nella storia e nella vita della Chiesa. Nel santo tabernacolo Gesù è «sempre in mezzo a noi operante con quella divina grazia, con cui è abisso infinito, con quei divini lumi che irradia continuamente dalla fornace ardente del suo divino cuore». Per questo è il centro di tutto, è il cuore della giornata, l’esistenza, la speranza, la perseveranza. Una bellissima immagine ideata da S. Annibale è il segno singolare di questa presenza e della sua salutare efficacia: Gesù Eucaristia è il mistico alveare attorno al quale «girare e rigirarsi e dentro il quale riposare e formare il dolcissimo miele delle virtù che piacciono tanto al suo palato». Siamo dinanzi a vertici molto alti di riflessione teologica e di straordinaria devozione eucaristica. P. Angelo Sardone

In preparazione al 1° luglio

Mattutino di speranza, 30 giugno 2020.
Il primo luglio 1886, dopo una intensa preparazione durata due anni, S. Annibale Maria Di Francia collocò stabilmente Gesù Sacramentato nella cappella ricavata da una delle casette del malfamato Quartiere Avignone a Messina, dove egli operava, tra i 200 poveri circa che vi abitavano. Ritenne quella la data di fondazione dell’Opera costituita dagli Orfanotrofi femminile e maschile, dalla neonata Comunità delle Figlie del Divino Zelo ed un primo nucleo di collaboratori. Sin dal 1878 epoca del suo ingresso nel quartiere, il santo canonico avrebbe potuto farlo liberamente, ma quella gente non ne avrebbe compreso l’importanza. In occasione di un pranzo offerto ai poveri della città il 19 marzo 1881, per la prima volta S. Annibale celebrò la S. Messa nel quartiere ma tutto si chiuse lì. Urgeva impartire una adeguata formazione umana, religiosa e spirituale; solamente dopo si sarebbe potuto erigere una chiesa e collocare stabilmente Gesù Eucaristia per farlo diventare il punto di riferimento di tutto e di tutti. Occorreva attendere perchè nascesse in tutti il desiderio di avere Gesù Sacramentato coinquilino tra quelle povere e malandate case. Maturarono i tempi mentre «nasceva in tutti il desiderio che la chiesetta diventasse sacramentale». Parlando in terza persona S. Annibale in seguito racconterà: «Il sacerdote che aveva incominciato l’opera, stimò che la venuta di Gesù Sacramentato in quell’oratorio, in mezzo a quella turba di poveri d’ogni specie e di fanciulli fosse preceduta da una preparazione abbastanza lunga ed adatta ad impressionare profondamente gli animi; stimò che la venuta del SS.mo Sacramento in quel locale dovesse segnare un avvenimento, un’epoca dell’Opera, perchè il Signore Nostro Gesù Cristo sarebbe ivi ospitato proprio in mezzo ai poverelli fatto anche Lui poverello tra quelle casupole per amore dei suoi derelitti figli». Questa è la chiave di lettura di un avvenimento di grande importanza per la fede del Fondatore, la vitalità e la continuità stessa dell’Opera di carità intrapresa in quel quartiere. Per due anni di seguito con diverse industrie spirituali Egli suscitò una santa aspettazione nell’animo dei fanciulli e delle fanciulle ricoverate e nei poveri abitanti, con continue istruzioni catechetiche sull’importanza dell’avvenimento ed apposite preghiere. Un inno da lui composto divenne l’espressione di quel desiderio: «Cieli dei cieli apritevi, scenda il Diletto a noi, chiuso nell’Ostia, vittima del suo divino amor. Venga tra i figli suoi l’amato Redentor». Giunse il 1° luglio 1886. Nella chiesetta adorna di fiori e di luci alle 7.00 del mattino S. Annibale salì sull’altare per la celebrazione della S. Messa. I partecipanti cantavano con mestizia: «Cieli dei cieli apritevi, scenda il diletto a noi» e recitavano la preghiera «Desiderio per la venuta di Gesù Sacramentato». Dopo la consacrazione eucaristica esplose il canto di gioia: «Cessino ormai le lagrime, finisca ogni dolor… venne tra noi Gesù». Al termine della S. Messa il SS.mo fu posto in un ostensorio di argento massiccio e fu portato in processione per le stradine del quartiere e nella pubblica via della città, con gli orfani e le orfane vestiti a festa e la turba dei poveri che accompagnava. Rientrati nella chiesina l’ostensorio fu esposto sopra un trono per l’adorazione che durò tutto il giorno. Non ci fu tempo per pranzare regolarmente per non interrompere la preghiera. La giornata si concluse la sera con la benedizione del SS.mo Sacramento. Finalmente il tabernacolo era pieno: c’era Gesù.  Anche il quartiere ora non era più vuoto: c’era il Creatore e Redentore, il padre dei poveri. L’avvenimento che aveva destato tanta impressione nell’animo dei piccoli e dei poveri, doveva essere annualmente ricordato. Per questo, a partire dall’anno successivo, il 1887, S. Annibale diede inizio alla Commemorazione della Festa del 1° Luglio, un tributo annuo di amore e di fede, un debito di gratitudine «per l’amorosa e dolcissima dimora di giorno e di notte di Gesù sacramentato nell’Opera rogazionista». Col suo genio inventivo ideò il cerimoniale: l’aspettazione di Gesù, tenendo volutamente il tabernacolo vuoto onde stimolare il desiderio di averLo in mezzo, il conferimento di un titolo annuale a Gesù per salutarLo mentre torna nel santo tabernacolo, un inno corrispondente da musicare e cantare. A questa singolare festività che il fondatore volle «di primordine» è sotteso il dato singolare della sua fede: Gesù Eucarestia è il «vero, effettivo, immediato fondatore dell’Opera» e il «centro amoroso, fecondo, doveroso e continuo di essa». Era sua convinzione che Dio aveva fatto una cosa nuova, del tutto originale: volendo elevare a istituzione il divino comando della preghiera per le vocazioni, il Signore, senza alcuna intermediazione, si era mostrato geloso di essere Egli stesso dal santo tabernacolo, il vero fondatore dell’Opera rogazionista. La festa del 1° luglio è ormai Tradizione consolidata e le due Congregazioni delle Figlie del Divino Zelo e dei Rogazionisti hanno riportato grandi frutti. Da Messina la piccola carovana ha raggiunto diverse parti del mondo diffondendo il carisma del «Rogate» ossia la preghiera per le vocazioni e la carità soprattutto verso i piccoli ed i poveri, coinvolgendo una nutrita schiera di donne e uomini, religiosi, religiose e tanti laici. Dal 1936, anno cinquantesimo dall’istituzione delle feste eucaristiche, Gesù è acclamato e adorato «Divino Trionfatore». P. Angelo Sardone

Le colonne della Chiesa

Mattutino di speranza, 29 giugno 2020.
Il martirio sancisce col sangue la testimonianza più autentica e vera di un amore senza limiti. Gesù lo ha affermato con chiarezza e lo ha inciso nel nuovo codice comportamentale per i suoi seguaci: «Non esiste amore più grande di questo: dare la vita per chi si ama» (Gv 15,13). Le parole più vere ed efficaci sono quelle macchiate di sangue, il sangue che non grida vendetta ma manifesta la piena adesione ed unità col sangue che Cristo ha versato nella sua passione e morte per la redenzione dell’uomo. Il sangue versato convince ed attira molto più delle parole. Nella tradizione cristiana è proverbiale ed eloquente un’espressione di Tertulliano, prete del II secolo: «Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani». Il termine martire proviene dal lessico greco e significa testimone. Sin dai primi tempi del Cristianesimo furono designati martiri prima di tutto gli Apostoli, testimoni qualificati della vita e della resurrezione di Cristo; in seguito coloro che professavano la verità della fede cristiana nelle persecuzioni con coraggio ed invitto vigore fino all’effusione del sangue. La verità rivelata lo conferma: «Essi sono coloro che hanno lavato le loro vesti rendendole candide nel sangue dell’Agnello» (Apc 7,14). La solennità odierna dei santi Pietro e Paolo, rimarca la verità della testimonianza cruenta con la scelta fondamentale della vita al servizio del vangelo, di due colossi della fede cristiana: il pescatore di Galilea e l’apostolo delle genti, il confermatore dei fratelli ed il missionario, il rinnegatore ed il persecutore, colui al quale sono state consegnate le chiavi del Regno e colui che è stato portato al terzo cielo, l’impulsivo ed il sanguigno, accomunati dalla stessa passione di amore per Gesù, dallo stesso ultimo luogo di testimonianza, Roma, dal medesimo versamento del sangue col martirio. Entrambi hanno un nome nuovo: Cefa diventa Pietro, da pietra: su di lui Cristo edificherà la sua Chiesa. Saulo diventa Paolo, piccolo, ma grande nella portata eccezionale del suo insegnamento e della sua dottrina. La crocifissione per Pietro, a testimonianza coraggiosa del medesimo martirio del Maestro, la decapitazione per Paolo, pena riservata a chi aveva la cittadinanza romana, avvennero nella capitale di un immenso impero, destinata da allora a diventare il centro del Cristianesimo. Lo Spirito Santo ricevuto nella Pentecoste trasformò Pietro in coraggioso banditore della risurrezione e lo espose al giudizio violento ed alla feroce condanna prima dei Giudei poi dei Romani. Cristo Gesù da lui perseguitato nella persona dei primi cristiani, gettò a terra Paolo sulla via di Damasco e lo trasformò in vaso di elezione, evangelizzatore intrepido e infaticabile missionario. Mentre Pietro, il pastore confermato da Gesù nel suo ministero di pascere pecore ed agnelli è rinchiuso in carcere a causa dell’annunzio esplicito della responsabilità dei Giudei nella crocifissione e morte di Gesù, la Chiesa unanime prega incessantemente per lui. Cintura, sandali e mantello sono il corredo non solo del suo vestiario, ma del servizio rinvigorito dalla forza della grazia e dalla potenza dello Spirito, timoniere della Chiesa. Le porte della prigione di Gerusalemme si aprono davanti a lui e può riprendere liberamente ad insegnare ed evangelizzare con coraggio. I viaggi missionari con la passione dell’annunzio del vangelo ai pagani, rendono Paolo il testimone coraggioso, intelligente ed indomito, il grande provocatore del vangelo. Entrambi vantano un primato: Pietro nel collegio apostolico, Paolo nella dottrina e nella forza della comunicazione della fede in Cristo Gesù morto e risorto. Il primato di Pietro è voluto direttamente da Gesù; l’elezione di Paolo, avvenuta già nel seno materno, lo rende apostolo delle genti, l’apostolo per eccellenza. La vita cristiana si alimenta oltre che dal Vangelo e dai Sacramenti, dalla testimonianza di coloro che hanno dato la vita per Cristo. Il martirio oggi non è semplicemente quello cruento, col versamento del sangue, anche se non mancano testimonianze frequenti di questa scelta e di questo dono. Vi è un martirio ordinario, giornaliero che è fatto di semplicità, di ripetitività, di pienezza di adesione al vangelo, che testimonia l’amore più grande vissuto tante volte nel nascondimento ma con una efficace e sorprendente azione evangelizzatrice, fino alla morte. La morte infatti sancisce la qualità della vita. Un grande teologo, il gesuita Karl Rahner diceva che «il martirio è semplicemente la morte cristiana. Questa morte è quella che dovrebbe essere in assoluto la morte cristiana». Come nella morte di Cristo si rivela la vera identità della sua persona divina che è la base della confessione autentica di vita cristiana, così nella morte dei martiri, antichi e moderni, cruenta o nell’ordinarietà della vita, si manifesta la grandezza di Dio e la tenuta consistente della risposta di amore del cristiano. Il Signore che libera da ogni paura, è sempre vicino e dà forza; aiuta a portare a compimento l’annuncio del Vangelo e spinge a diventare testimoni credibili della verità di quanto si vive e soprattutto di come si vive. Auguri affettuosi e fraterni a tutti coloro che portano il nome dei due santi martiri Pietro e Paolo. P. Angelo Sardone