Autore: Angelo Sardone
La costruzione e l’albero: segni di crescita in Cristo
«In Cristo Signore camminate radicati e costruiti su di Lui, saldi nella fede» (Col 2,6). Prima di affrontare altri argomenti di filosofia e di tradizioni fatue, Paolo esorta i cristiani di Colossi a perseverare nell’insegnamento evangelico ricevuto da Epafra, in seguito al quale sono divenuti membri della Chiesa. Col mistero della risurrezione Gesù è stato intronizzato come “il Signore” dell’universo: in Lui c’è il vero progresso spirituale. I simboli adoperati nella catechesi sono l’albero e la costruzione. La vita cristiana viene così delineata attraverso l’esemplificazione di forme plastiche comprensibili all’uditorio di ogni tempo. Occorre innanzitutto camminare, non stare fermi, continuare ad andare avanti, forti della spinta ricevuta dalla prima evangelizzazione. Ma per poterlo fare, come l’albero affonda le radici nel terreno, bisogna essere radicati nel terreno di salvezza che è Cristo e sopraelevati sull’edificio che sorge dal suolo e che è sempre Cristo. La cristologia paolina si caratterizza come un ricco e potente capitale di identità teologica e di azione concreta per ogni cristiano. Se si cammina in questo modo, qualunque filosofia e tutte le tradizioni umane non renderanno i cristiani loro preda. La garanzia viene solo da Cristo di cui i cristiani devono essere fieri seguaci: in Lui abita tutta la pienezza della divinità. Gli insegnamenti della Chiesa di ogni tempo, forti di questo capitale impegnativo a livello di studio, conoscenza ed esperienza pratica di vita, permangono come alberi piantati lungo il corso d’acqua e costruzioni ben compaginate e connesse sull’unico Salvatore, Cristo Signore. P. Angelo Sardone
Le sofferenze nell’evangelizzazione
«Sono lieto nelle sofferenze che sopporto e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo, la Chiesa» (Col 1,24). S. Paolo manifesta un’attestazione sincera di puro affetto per i cristiani di Colossi affermando di provare gioia nel sopportare le sofferenze per loro. Ogni apostolato di ieri e di oggi comporta necessariamente sofferenze e travagli che diventano sopportabili nella misura in cui l’evangelizzatore è entrato nella confidenza generosa e nella condivisione concreta con gli evangelizzati. D’altronde il vero amore non si manifesta solo con la lingua e le parole, ma con i fatti e nella verità (1Gv 3,18). Il Regno di Dio stabilito da Cristo ha richiesto a Paolo tanta sofferenza: tutti coloro che condividono la sua opera, sono soggetti anch’essi a sofferenze da condividere. La croce di Cristo è stata redentiva in tutto e non le manca nulla. L’Apostolo non pretende di aggiungere alcunché a quelle sofferenze, ma vuole associarsi alle prove e patimenti di Gesù in questa sua azione apostolica. Le prove subite da Gesù comportano una misura già prevista nel piano divino, al quale Paolo non intende sottrarsi, anzi vuole colmare perché il tutto vada a vantaggio della Chiesa, il corpo visibile e glorioso di Cristo. È un’alta attestazione di amore nei confronti della creatura più eletta di Cristo, la Chiesa che, attraverso la sua predicazione, particolarmente quella ai gentili o pagani, sta impiantandosi in maniera solida. Noi evangelizzatori d’oggi abbiamo tanto da apprendere in termini di amore vero e disinteressato ed ancor più in sacrifici, rinunzie e patimenti. P. Angelo Sardone
Sperequazioni e favoritismi banditi dall’assemblea liturgica
«La vostra fede sia immune da favoritismi personali» (Gc 2,1). La lettera di Giacomo, fa parte del gruppo delle cosiddette lettere “cattoliche” cioè universali, diretta particolarmente ai giudeo-cristiani. L’autore sarebbe Giacomo, parente di Gesù, che aveva un ruolo di primo piano nella Chiesa di Gerusalemme. Lo scritto ivi redatto, sembra una antologia di brani o una omelia, databile tra il 60-70. Presenta la teologia della vita cristiana concreta con riferimenti precisi alla Parola di Dio, alla preghiera, alle tentazioni, alla fede, all’attenzione caritativa verso gli altri e le rispettive implicazioni sociali. La Chiesa si specifica come comunità che trova la sua unità nella preghiera liturgica e nei diversi aspetti della vita. I dislivelli e la sperequazione sociale minano la sua unità. La contraddizione viene determinata da atteggiamenti di riguardo verso i ricchi e di disattenzione o riprovazione verso i poveri: ciò sminuisce la genuinità della vita cristiana. Non si può mantenere l’originalità della fede praticando riguardi indebiti o favoritismi nei confronti delle persone soprattutto nell’assemblea liturgica. Chi li pratica si tira fuori da un contesto vero di fede. L’ipotesi raccontata da Giacomo può non essere dissimile da una certa dinamica di relazioni comunitarie anche oggi: il riguardo dato al ricco, vestito di lusso cui è riservato un posto d’onore, contrasta con analogo atteggiamento nei confronti del povero costretto invece a rimanere in piedi o a sedersi ai piedi degli altri. Tali atteggiamenti sono bollati come pensieri di giudici perversi, tentennamenti ed esitazioni nella fede che dovrebbe invece essere immune da simili comportamenti. P. Angelo Sardone
EFFATA’, APRITI
XXIII domenica T.O. Vendetta e ricompensa vengono da Dio per chi è smarrito nel cuore: gli occhi si aprono, gli orecchi si schiudono, la lingua grida di gioia. Anche la natura ne risente: la terra bruciata diviene palude e dal suolo riarso scaturiscono sorgenti. La guarigione del sordomuto ad opera di Gesù, adempie la profezia di Isaia. I gesti sono altamente divini e creativi: pone le sue dita nelle orecchie, con la sua saliva tocca la sua lingua e comanda: “effatà!”, apriti! Si aprono gli orecchi e gli si scioglie la lingua! L’evento è testimoniato dalla gioia irrefrenabile dei presenti che lo proclamano con stupore. La preferenza di Cristo è per i poveri ed i bisognosi: ogni suo intervento supera qualsiasi favoritismo personale e discriminazione tra ricco o povero, e guarda al vero bene dell’individuo. Se c’è una preferenza da fare, questa è senza dubbio per il povero. P. Angelo Sardone
San Gregorio Magno
«Gregorio, cercava sempre il volto di Dio e abitava nella gioia del suo amore» (Liturgia propria). La Chiesa ricorda oggi uno dei suoi più grandi papi e santi dottori, Gregorio (540-604) cui fu attribuito il titolo di Magno cioè grande. Romano di nascita e patrizio di provenienza familiare con genitori cristiani, percorse un cammino di impegno molteplice nella società e nella Chiesa: fu avviato alla carriera da senatore e fu Prefetto di Roma, fu monaco e abate del monastero di Sant’Andrea sul Celio e quindi papa. Il suo impegno pastorale fu intenso, molteplice e lungimirante sia nella carità che nell’azione missionaria. La storia lo ricorda come scrittore prolifico in campo spirituale, pastorale e morale, legislatore liturgico e del canto sacro, autore di un Sacramentario che divenne la base del Messale Romano. La vasta esperienza acquisita nel mondo monastico, nella conoscenza dell’Oriente e nella carriera sociale, gli valse per assolvere in maniera egregia il compito di papa su tutti i versanti dell’azione pastorale, dalla liturgia alla carità, dalla legislazione giuridica alla predicazione, dallo studio biblico all’insegnamento. È fondamentale la sua “Regola Pastorale” un’opera di assoluto prestigio sull’identità del vescovo, maestro e pastore del gregge, predicatore, esemplare e punto di riferimento per tutti. La sua azione più efficace rimane comunque il percorso di santificazione in perfetta simbiosi con tutte le attività ecclesiali e sociali. S. Gregorio è un esempio mirabile per i vescovi ed i sacerdoti di ogni tempo e un modello superlativo di sapienza ed intelligenza. P. Angelo Sardone