Autore: Angelo Sardone
Passiamo all’altra riva!
La semina del mattino
212. «Gesù disse ai suoi discepoli: “Passiamo all’altra riva”» (Mc 4, 35). Dopo tanto lavoro di predicazione e di interventi terapeutici per il corpo e l’anima sulle rive del lago di Galilea, giunta la sera Gesù congeda la folla e fa pressione sugli apostoli per passare all’altra riva. Sale con loro in una barca e si mette a poppa, si adagia su un cuscino e si addormenta. Inaspettata giunge una tempesta di vento: le onde fanno paura. I discepoli temono che la barca si rovesci, ma intanto il Maestro dorme, inconsapevole di tutto ciò che sta succedendo. Quando il rischio è alto e sono tante le probabilità di affondare, allarmati lo svegliano e lo rimproverano. Ha dato la salute e la serenità a tanti nella giornata ed ora è come se non gli importasse nulla che la barca affondi ed i suoi amici si sentano perduti. Tre verbi significativi identificano il suo intervento: si desta, minaccia il vento, parla al mare, come parlasse ad una persona, intimando di calmarsi. La forza della natura si quieta, il vento si calma: alla grande tempesta si oppone la grande bonaccia. Il Signore anche se dorme, veglia, anche se sembra incurante, è pronto ad intervenire, anche se lascia fare alle forze della natura, è capace di dominarle. La paura di non farcela, di soccombere sotto le onde paurose della vita, manifesta la mancanza di una fede matura, pur trovandosi nella stessa barca di Gesù che ha deciso di farci passare ad un’altra riva di esperienza e di impegno più ampi e provvidenziali. La sua volontà guarda il bene vero. Occorre fidarsi ed affidarsi. P. Angelo Sardone
Il “bue muto”
La semina del mattino
210. «Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro?» (Mc 4, 21). Il compito della luce è risplendere: per questo ha bisogni di spazi liberi. Nella sua predicazione spesso Gesù fa ricorso alla luce ed ai suoi derivati, compresi gli strumenti che la producono e la manifestano. Il linguaggio adoperato è legato all’esperienza della gente, ma vuole essere anche comunicazione esemplificata del suo mistero. Gesù è la luce vera che illumina ogni uomo: per questo non può essere nascosta, ma deve essere collocata sul candelabro. Il compito di farla splendere e comunicarla il Signore l’ha affidato alle intelligenze umane e soprattutto ai Santi che hanno attinto dalla sua luce e l’hanno fatta risplendere nelle tenebre dell’ignoranza. Uno di questi fari di luce che si impone nel tempo e nella storia e si propaga sempre più nella verità senza fine, è il domenicano e dottore della Chiesa, S. Tommaso d’Aquino (1225-1274), uno dei luminari della scienza filosofica e teologica di tutti i tempi. La sua santità si coniuga con la sua impressionante e vastissima cultura. La sua dottrina illumina tuttora i passi della Chiesa. Le sue opere, in particolare le “Summae”, Teologica e Contro i Gentili, racchiudono in maniera mirabile lo scibile teologico e sono geniali soluzioni di vari problemi. La finezza del pensiero, l’analisi esplicativa dei testi, le fonti ripetutamente citate della filosofia antica delle opere dei Padri della Chiesa, lo rendono davvero un pozzo di scienza. Era definito volgarmente «bue muto», ma come opportunamente affermava S. Alberto Magno, suo maestro, i suoi muggiti si odono ancora da un’estremità all’altra della terra! P. Angelo Sardone
Chi vuol capire capisca!
La semina del mattino
209. «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!» (Mc 4,9). La conclusione della parabola del buon seminatore, o più propriamente “dei terreni diversi”, una delle più importanti e significative della predicazione di Gesù, ha questa esplicita e tassativa conclusione. L’ascolto attento della Parola di Dio richiede una disponibilità intelligente e volitiva che aiuta a comprendere e metterla in pratica. La parabola è come un paragone, una ricorrente modalità di insegnamento scelta da Gesù per comunicare agli interlocutori, gente semplice, le grandi verità del Regno. Facendo uso di immagini comuni provenienti dal mondo agreste o da situazioni verosimili, Egli annunzia il mistero e lo affida all’ascolto ed alla comprensione di chi lo segue. Alcune volte, come in questo caso, è Gesù stesso a spiegare agli Apostoli che glielo hanno richiesto, il significato della parabola, perché si facciano interpreti e latori presso il popolo di Dio della comprensione adeguata. Per gli altri la parabola è riservata così come è raccontata, perché ciascuno capisca ed adegui di conseguenza la sua vita. Le categorie della semina evidenziate dal racconto, si riferiscono a quattro situazioni concrete di vita: la strada è sinonimo di superficialità e di dominio del Maligno; le pietre, l’instabilità e la mancanza di consistenza; i rovi, le preoccupazioni della vita e le seduzioni della ricchezza; il terreno buono, la disponibilità all’ascolto e la messa in pratica nella vita. Ciascuno viene invitato a comprendere, cioè a ricercare il senso del racconto ed il proprio inquadramento nella vicenda parabolica, intendendo il limite tra l’immagine e la realtà, adeguando la propria vita all’insegnamento ricevuto. P. Angelo Sardone
I santi Timoteo e Tito
La semina del mattino
208. «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe» (Lc 10, 2). Oggi è la memoria liturgica dei santi Timoteo e Tito, discepoli di S. Paolo, «veri figli nella fede» e suoi più stretti collaboratori. Entrambi di origine pagana, furono convertiti dall’apostolo missionario ed in seguito divennero vescovi di Efeso e di Creta. Essi “insegnano a servire il Vangelo con generosità: ciò comporta anche un servizio alla Chiesa stessa” (Benedetto XVI). A loro Paolo indirizzò le lettere dette “pastorali” perché contengono una serie di direttive sull’organizzazione e la conduzione delle prime comunità cristiane, conformi all’autorità apostolica. Supporto di riflessione e preghiera è il tratto evangelico della messe e degli operai che costituisce il dato carismatico ed operativo di S. Annibale M. Di Francia e dei suoi figli spirituali, i Rogazionisti e le Figlie del Divino Zelo. La versione lucana, pone la singolare espressione di Gesù che invita ed insegna una preghiera nuova, in un contesto missionario, all’atto dell’invio dei 72 discepoli, allargando oltre i soli Apostoli, la prospettiva di un impegno orante comune. Il verbo adoperato dall’evangelista è all’imperfetto, “diceva”, al contrario della versione matteana che riporta un secco “disse”, quasi a significare che questa realtà e questo insegnamento Gesù lo ripeteva più volte. Risulta ancora oggi un mistero la scarsezza degli operai dinanzi ad una messe sempre più abbondante. Di qui la necessità di accogliere il «divino comando» e metterlo in pratica non solo pregando e diffondendo lo spirito di questa preghiera, ma sforzandosi ciascuno di essere per primo “buon operaio del vangelo”. P. Angelo Sardone
La conversione di S. Paolo
La semina del mattino
207. «Gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista. Si alzò e venne battezzato, poi prese cibo e le forze gli ritornarono» (At 9,18). La conversione di S. Paolo è raccontata tre volte nel libro degli Atti degli Apostoli, due volte direttamente dalla sua bocca. Lo imponeva la sua importanza, trattandosi di un persecutore accanito che però si arrende dinanzi alla seduzione di amore subita da Gesù Cristo sulla via di Damasco. La ferrea formazione spirituale ricevuta nel Giudaismo alla scuola di Gamaliele lo aveva portato a contrastare fortemente la nuova Via del Cristianesimo ed a farsi paladino della verità dei Padri ad ogni costo, finanche allo spargimento di sangue. Gesù gli si rivela apertamente: lo getta a terra accecandolo con la sua luce. Il rigore teologico e l’odio acerrimo verso i seguaci del Nazareno si infrangono nella caduta più dolorosa della sua vita. La potenza di Dio lo innalza al terzo cielo dove contempla cose che non si possono raccontare. Viene introdotto nella comprensione del mistero di Cristo del quale diventerà l’Apostolo per eccellenza. Afferrato dal suo amore, non lesinerà fatiche, preoccupazioni e dolori per l’annunzio del Regno, prediligendo i pagani. La sua conversione è frutto di una resa incondizionata alla grandezza dell’amore di Cristo. Spesso bisogna essere caduti a terra per cominciare a capire le verità che stanno intorno e che poi si rivelano presenti anche nel cuore. La conversione vera è frutto di una sublime illuminazione che acceca ed annienta anche le conoscenze più alte e l’esperienza del passato per aprirsi al presente segnato dall’umiltà e dalla fiducia in Dio. P. Angelo Sardone