La predicazione pasquale

280. «Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni» (At 3,15). Approfittando del fatto che il popolo presente nel tempio all’atto della guarigione dello storpio era letteralmente fuori di sé e stupefatto, l’Apostolo Pietro improvvisa una catechesi forte e coraggiosa. Con essa annunzia la glorificazione di Gesù, Figlio di Dio ad opera del Padre e nel contempo denunzia la codardia dei Giudei nell’averlo rinnegato e richiesto invece la libertà di un assassino. L’accusa diventa ancora più sferzante quando senza mezzi termini li appella uccisori dell’autore stesso della vita. Il nucleo del discorso è l’affermazione di fede «Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni». Proprio lui che la fede ha dovuto masticarla a pezzetti piccoli man mano che è andato avanti fin dopo la morte di Cristo, quando ha potuto constatare insieme con Giovanni che la tomba era vuota e i panni che avevano avvolto il corpo di Cristo giacevano a terra. Espone quindi due elementi che adempiono le scritture profetiche: la fede, la stessa che nasce da Cristo e dalla sua risurrezione ed è detta “fede pasquale”; l’ignoranza del popolo e dei capi manifestata nell’atto dell’accusa, della crocifissione e nella responsabilità della morte dell’innocente Gesù. A rimedio di ciò è ingiunta la conversione, ossia il cambiamento reale di vita che porta con sé la cancellazione dei peccati e la consolazione del Signore, il Cristo che porta solo benedizione. Questa catechesi ha il sapore aspro dell’attualità di oggi, laddove con facilità si continua a mandare a morte Gesù con la scarsa qualità della vita cristiana fatta di esteriorità e talora allergica alla scelta responsabile di serietà e di impegno continuo. P. Angelo Sardone

Lo storpio che salta

279. «Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!» (At 3,6). La potenza del Nome di Gesù è messa in evidenza sin dagli inizi della predicazione apostolica. Dimostra come si stia realizzando il piano di salvezza di Dio Padre. Pietro e Giovanni accomunati nel servizio di annunzio del kerigma, sono esemplari ed assidui nel praticare il culto giudaico al Tempio di Gerusalemme, soprattutto nell’ora della sera che cominciava intorno alle tre del pomeriggio ed era caratterizzata dall’offerta di un agnello. Questa ora da adesso in poi per i cristiani fa riferimento all’ora in cui era morto Gesù Cristo. Entrati nel complesso del recinto sacro della Città santa, essi si imbattono in un uomo zoppo dalla nascita che chiede loro l’elemosina. Pietro, fissandolo negli occhi, l’invita a guardare verso di loro. La speranza dello storpio era quella di ricevere qualcosa, ma non ha affatto idea di ciò che invece gli sarà dato con abbondanza e definitivamente. Il centro del dialogo e dell’azione radicale e risanante è l’espressione “Nel nome di Gesù”, il nazareno, il titolo infamante che Pilato aveva fatto incidere sul cartiglio posto sulla croce. Il nome, cioè la potenza di Gesù il Risorto, compie il miracolo della guarigione. Pietro, emulando il Maestro si limita a pronunziare l’espressione salvifica ed a compiere gli stessi gesti di Gesù. Il malato è guarito, entra con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio. La fede nel Cristo risorto ha fatto tutto, operando sia negli Apostoli che nel povero storpio. La nostra fede può fare altrettanto permettendoci di entrare nella Chiesa con coloro che rappresentano ed operano in “persona Christi”, camminando solleciti e maturi, saltando di gioia vera sperimentata nella personale risurrezione e lodando il Signore con la vita. P. Angelo Sardone

E’ veramente risorto

277. «Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni» (At 2, 24). Durò solo tre giorni la vittoria della morte sull’uomo Gesù di Nazaret. Ciò che era vittoria, si rivelò in effetti una sconfitta. Mentre per tutti gli uomini prima di Lui e dopo di lui la morte è stata ed è la conclusione della vita, per il Figlio di Dio la morte fu semplicemente un passaggio obbligato dall’assunzione del peccato che porta naturalmente alla morte. Essendosi fatto peccato, Cristo ha legato a sé ed alla croce i peccati dell’umanità di tutti i tempi e li ha espiati col versamento del suo sangue. La storicità dell’evento è narrata ed attestata dai Vangeli. Gesù è morto davvero: non è una favola o un dato fideistico inventato. Il test mirabile della veridicità della sua azione salvifica è proprio la risurrezione, senza la quale la fede cristiana sarebbe vana. Nella predicazione apostolica è chiaro ed esclusivo l’intervento di Dio che ha risuscitato Cristo dai morti. Tutta la predicazione profetica, anzi tutta la storia sacra sin dagli inizi porta al sepolcro di Cristo, ma non si ferma là: ha senso e si esplica mirabilmente nell’evento della Risurrezione. Le testimonianze sono molteplici: la tomba vuota, il corredo funerario posizionato nella tomba, gli Angeli della risurrezione, le donne e gli Apostoli, un bel numero di persone non certo inebetite da vino mattutino, ma sconvolte nell’intimo da una verità per la quale avevano stentato di credere. La Risurrezione di Cristo non è opera di un trafugamento notturno ma della potenza di Dio. Anche la nostra personale risurrezione è frutto di un intervento di Dio corredato dal nostro assenso fiducioso e perseverante. P. Angelo Sardone

Sabato Santo: giorno del silenzio e dell’attesa

275. Sabato santo, giorno del silenzio. Dinanzi al mistero della morte di Cristo il buio che si è diffuso sulla terra si tramuta in silenzio avvolgente. La morte dell’uomo-Dio è un mistero di imponderabile grandezza: manifesta l’amore che oltrepassa ogni conoscenza ed ogni logica e si pone come riferimento assoluto per la storia personale e comunitaria. La sosta davanti al sepolcro pieno del corpo esanime di Cristo è piena di speranza suscitata nel cuore dalle parole del Maestro: il terzo giorno riedificherò il mio tempio, il mio corpo con la risurrezione. Maria di Nazaret, le donne piangenti, gli apostoli frastornati dall’evento della morte in croce di Gesù, sono rinchiusi nel Cenacolo in un’attesa gioiosa. Il silenzio che avvolge l’universo intero è squarciato dalle invocazioni di fede della preghiera dei salmi, evocati fino all’ultimo momento da Gesù stesso sulla croce. Si prepara l’itinerario battesimale della notte santa del sabato, preludio della risurrezione. Il ricordo narrato e contemplato della storia della salvezza attraverso le pagine meravigliose ed evocative dell’Antico testamento, diventa realtà con l’evento della Risurrezione. Battezzati nella morte di Cristo, sepolti con lui, con Lui risorgiamo. Non si risorge se non dopo la morte. Il fuoco nuovo acceso da un amore nuovo e diverso, il cereo pasquale che feconda le acque battesimali, la rinnovazione degli impegni primordiali della fede, sono esemplificazioni liturgiche efficaci che narrano e coinvolgono in una vita nuova, per Cristo in Dio. Questa è la grandezza della Pasqua: la morte e risurrezione di Cristo che deve essere la nostra morte e la nostra risurrezione in Cristo. P. Angelo Sardone

Il Cristo morto

274. «Egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). Il Venerdì Santo evoca gli avvenimenti che vanno dalla condanna a morte di Gesù alla sua crocifissione. È giorno di penitenza, di digiuno e di intensa preghiera, espressione coinvolgente della partecipazione al mistero della Passione di Gesù. In questo giorno non si celebra la S. Messa; si commemora la sofferenza redentiva di Cristo e la sua offerta cruenta sulla croce. La Parola di Dio, particolarmente col racconto della Passione di Gesù secondo l’evangelista Giovanni, lo svelamento e l’adorazione della croce, la consumazione della Eucaristia consacrata il giorno precedente, sono gli elementi e il cuore della solenne azione liturgica. Attorno ad essa si sviluppa un’ardente ed universale preghiera, dieci petizioni, proclamate dal Celebrante, e composte da intenzioni che abbracciano le necessità della Chiesa e del mondo. Il mistero della morte dell’uomo-Dio fa tacere ogni baldanza umana e contiene le risposte più efficaci alle domande del perché della malattia, della sofferenza, della solitudine, della morte. Il Venerdì Santo è la dimostrazione più convincente dell’amore senza limiti di Dio che non ha risparmiato il suo Figlio, l’Unigenito, dal supplizio della morte causata dal peccato. Cristo stesso si è fatto peccato, e come sommo sacerdote grande lo ha attaccato con sé alla croce, pagando il debito dell’umanità al volto di Dio sfigurato dalle colpe di ogni tempo. P. Angelo Sardone

Terzo carme del Servo di Jahwè

272. «Non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro» (Is 50,5). Il terzo carme del Servo di Jahwé, evidenzia ancora una volta la sua missione di maestro, l’opposizione che riceve e l’assistenza da parte di Dio che porta al successo. Grazie alla sua tenacia, al coraggio e soprattutto all’aiuto divino, sopporterà ogni persecuzione e giungerà al trionfo definitivo accordato da Dio. Non risponde al male con il male, proclama con le parole e con le opere una missione che viene rifiutata ed è vittima della violenza, del disprezzo e della umiliazione: barba strappata, sputi in faccia, gratuita umiliazione, insulti violenti. Si ravvisa alla lettera quanto succederà a Gesù nella sua passione. La vocazione profetica implica l’identità di discepolo con gli orecchi per ascoltare ogni giorno e la lingua per parlare. Ciò non rende semplice la vita, attirando l’opposizione e la persecuzione dei nemici. È una esperienza davvero dolorosa, con difficoltà molto gravi, che il servo ha preso sulle sue spalle ed ha portato fino in fondo, abbandonato da popolo, ritenuto pazzo ed illuso, ma fedele perché convinto di essere nel giusto. Si evidenzia così la contraddizione della vita dell’uomo che rifiuta qualsiasi forma di aiuto per l’orgoglio che ha di pensare di star bene, che non ha bisogno di nulla, ingolfato com’è in una situazione di male che lo rende schiavo del male e non lo fa riconoscere come tale. Al contrario ciò manifesta l’estremo bisogno che l’uomo ha di essere salvato, di qualcuno che anche oggi gli tenda la mano, e che nell’umiltà e l’apparente sopraffazione del male violento, gli predichi l’amore, l’accondiscendenza, il perdono. Non sempre è vittorioso chi vince! P. Angelo Sardone

Secondo carme del Servo di Jahwé

271. «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria» (Is 49,3). Il secondo canto del Servo di Jahwè riprende il tema del primo, sottolineando ulteriormente la sua predestinazione e ribadendo la sua missione riservata non solo ad Israele ma estesa a tutte le nazioni. Esse devono essere illuminate, con una predicazione nuova, frutto di una bocca simile ad una spada sguainata e ad una freccia appuntita. Chi parla è il servo stesso con un dire autobiografico che descrive la sua chiamata, la sua formazione, la difficoltà e la fatica nell’annuncio, la missione ricevuta di radunare Israele, fungendo da luce e mediatore di salvezza per tutta la terra. Il testo delinea come una percezione da parte del servo di stare a fare qualcosa di inutile, di lavorare invano e per nulla, con un senso di vuoto, di incapacità ed inettitudine, impari alla missione ricevuta. Ma pure è consapevole di essere stato chiamato, amato da Dio ed oggetto di manifestazione della sua gloria. Ogni risposta ed ogni servizio per il Regno di Dio richiede un abbandono fiducioso nelle mani di Dio, a compiere il volere e la missione affidata, pur consapevole della propria debolezza dinanzi ad un bene sommo, la salvezza che talora passa attraverso la propria incapacità. In questa maniera l’identità di “servo” diviene ancora più esplicativa e certa. Mentre l’interpretazione ebraica rifiutava l’idea di un Messia sofferente e morente, il Nuovo Testamento attribuisce a Gesù il titolo proprio di “servo” e lo cita nella letteratura evangelica ed epistolare. Ciò spiega anche il senso della solitudine e della paura che Cristo prova nel silenzio del Getsemani e col grido sulla croce. P. Angelo Sardone

Primo Carme del Servo di Jahwé

270. «Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio» (Is  42,1). Il profeta Isaia nella seconda parte del suo libro presenta il Servo di Jahwé descrivendolo con quattro canti distinti a partire dal capitolo 42. Sono la sintesi mirabile della letteratura messianica riguardante particolarmente il mistero della passione e morte di Gesù di Nazaret con marcate caratteristiche individuali. Gesù le ha avocate a se stesso ed alla sua missione di salvatore. Il servo, che è il mediatore della salvezza, è presentato da Dio stesso come un eletto, un profeta che ha una predestinazione divina ed una missione ben precisa che supera quella degli altri profeti. E’ dotato di una particolare effusione dello Spirito anche se agisce in forma umile e dimessa, quasi in privato. Il suo rapporto con Dio è di figliolanza e di fiducia: preso per mano e condotto, stabilito come alleanza per il popolo. Il suo intervento sarà dolce e delicato nell’intento di non spezzare una canna già incrinata, né spegnere uno stoppino con la fiamma quasi morta. Suo compito sarà portare il diritto e la giustizia a tutta la terra. Queste prerogative fanno riferimento non solo al popolo di Dio, chiamato ad una vocazione specifica, ma soprattutto a Gesù di Nazaret che incarna nella sua vita, nella sua opera e nella sua passione e morte, i requisiti evocati dal canto lirico del profeta. L’amore di Dio ed il suo continuo sostegno sono lo stimolo più efficace a non lasciarsi andare, ma a seguire Gesù nel suo cammino verso la Pasqua di morte e risurrezione, sentendosi amati e sorretti. P. Angelo Sardone

Le “Palme” inizio della Settimana Santa

269. «Osanna: benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Gv 12,13).

Comincia oggi la Settimana “Santa” per eccellenza, nella quale si fa memoria liturgicamente degli ultimi giorni di Gesù prima della morte ed il compimento del mistero di amore del Padre attraverso la passione del Figlio. L’introduzione è determinata dall’ingresso solenne di Gesù a Gerusalemme come re di pace, acclamato dagli “osanna” festanti della gente, Figlio di David, e particolarmente dai fanciulli ebrei. Re di grazia e di gloria entra nella città che è il cuore della fede del popolo eletto per realizzare nella forma più cruenta possibile, la vocazione messianica che lo voleva offerta oblativa al Padre in remissione dei peccati dell’uomo. La grandezza del Figlio dell’uomo si rivela nella piena disponibilità all’abbassamento per amore, a chinarsi sull’umanità sofferente vittima del proprio peccato, per assumere su di sé, nel suo stesso corpo, i peccati del mondo e toglierli come agnello con l’immolazione sulla croce. Il racconto particolareggiato della Passione è l’overture del dramma che si consumerà nei prossimi giorni. La gioia festante dell’accoglienza nella città santa viene offuscata dal grido assurdo che chiede la crocifissione di un innocente, reo solo di aver fatto il bene. In compagnia di Maria, degli apostoli, le pie donne ed anche dei curiosi che stavano a guardare fin sotto la croce, percorriamo il settenario che richiama quello delle origini dell’universo con la creazione, per vivere un nuovo inizio con la salvezza operata dal Figlio di Dio Gesù, il salvatore. P. Angelo Sardone.

Le Palme

Domenica delle Palme. Dio apre l’orecchio del discepolo per fargli comprendere il suo messaggio di amore che passa attraverso la flagellazione, gli insulti, gli sputi. Il profeta annunzia gli elementi propri della passione di Gesù. L’innologia cristiana canta Cristo-Dio che non disdegna di abbassarsi ed annientarsi, di farsi uomo, servo, umiliato ed obbediente fino alla morte di croce per riportare l’uomo alla sua prima dignità di figlio di Dio e proclamare: «Gesù Cristo è Signore!». La storia della passione raccontata dall’evangelista Marco delinea coi tratti drammatici della sofferenza, dall’ingiusta condanna alla morte, la storia dell’amore tradito ed umiliato. La commemorazione del solenne ingresso in Gerusalemme al grido degli “Osanna”, apre la Settimana Santa ed è il preludio della gloria del Messia venuto nel nome del Signore, che passa però attraverso il mistero della sofferenza e della condanna inaudita alla crocifissione, la morte, la deposizione nel sepolcro. P. Angelo Sardone