S. Antuono, eremita ed abate

«Ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza» (Gen 22,17). Con puntuali richiami al Vecchio Testamento, l’autore della lettera agli Ebrei, delinea sempre più in profondità l’identità di Cristo sacerdote che, come Abramo, cui è riferito il passo, non solo è stato benedetto da Dio, ma effettivamente nella Chiesa, ha la numerosa discendenza preconizzata. In questa chiave liturgica e teologica si può leggere la vita e l’opera dell’egiziano S. Antonio abate (250-356), detto «Antuono» soprattutto nel Meridione dell’Italia, per distinguerlo dall’altrettanto noto S. Antonio di Padova. È certamente uno dei più grandi eremiti della storia ecclesiale ed il più longevo tra i santi. In lui si esemplificano la risposta alla chiamata di Dio all’età di 20 quando vende tutti i suoi beni ed affida la sorella più piccola ad una comunità di vergini ed il ritiro in solitudine del deserto della Tebaide per tutto il resto della sua esistenza col tenore dell’austera penitenza. Il contatto con Dio fece maturare in lui oltre la saggezza di vita e di fede, per la quale fu ricercato da tutti per consigli e discernimento degli spiriti, una palese santità, contrastata fortemente dal demonio, come raccontato dal suo discepolo Atanasio che con altri tramandò anche una raccolta di 120 suoi detti e 20 lettere. La sua testimonianza attrasse molte persone desiderose di una vita di perfezione. La tradizione e la pietà popolare lo indicano protettore degli animali e soprattutto di quanti lavorano il maiale vivo o macellato: col suo grasso, infatti, si curava il cosiddetto «fuoco di sant’Antonio». L’iconografia lo rappresenta con un maialino ai piedi ed un bastone a forma di Tao. Per questo oggi in suo onore si benedicono le stalle e gli animali domestici. Auguri a tutti coloro che ne portano il nome. P. Angelo Sardone