Malachia, Elia e Giovanni Battista: una triade di coerenza

«Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me» (Ml 3,1). Il nome Malachia significa “il mio messaggero” ed è tale l’anonimo profeta al quale si riferisce il libro omonimo redatto probabilmente dopo il 516 a.C. durante il periodo persiano. Uno dei temi presenti nella sua predicazione è l’annunzio del giorno di Jahwé preceduto dall’arrivo di un messaggero. Egli si colloca nell’era messianica per ristabilire l’ordine morale e quello cultuale che si esprime e culmina nel sacrificio perfetto offerto a Dio da tutte le nazioni. Questa idea è una delle più alte del messianismo e dell’universalismo dell’Antico Testamento. Il messaggero viene annunziato come il profeta Elia. L’evangelista Matteo applica tale testo a Giovanni Battista, nuovo Elia, il precursore di Gesù. La sua parola, come quella del grande profeta sarà di fuoco: servirà a raffinare e purificare; sarà come un detergente potente per la stoffa ricavato dalla cenere di legno in uso ai lavandai. La sua presenza e la sua predicazione sortiranno l‘effetto di preparare il terreno appianato al Messia e disporre i cuori ad una concreta e reale conversione per evitare lo sterminio. La figura emblematica e straordinaria del Battista suscita sempre tanta ammirazione per la radicalità della sua testimonianza, la crudezza e fermezza della sua parola, la massiccia coerenza che lo porterà alla morte anzitempo per aver difeso con invitto coraggio la verità e la moralità dei costumi. Di Elia e Giovanni Battista ce ne vorrebbero tanti altri nella Chiesa e nella società per svegliare chi dorme e rimettere nella mente e nel cuore parole sensate e scelte adeguate e coraggiose di vita. P. Angelo Sardone

L’Emmanuele, il Dio con noi

«Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Is 7,14). È questo uno degli oracoli più importanti e famosi nella storia della salvezza, pronunziato da Isaia. Inquadra il mistero del Messia nella sua nascita da una giovane donna. Il contesto biblico è quello della guerra siro-efraimita del 732 nella quale i re di Aram (Damasco in Siria) e di Israele (o di Efraim, al nord della Palestina) marciano contro Gerusalemme che aveva rifiutato di coalizzarsi con loro contro l’Assiria. Acaz, re di Giuda, si era rivolto al re di Assiria Tiglat Pileser III che era intervenuto sbaragliando i due eserciti. Proprio in quel contesto tramite Isaia, Dio assicura il re dell’insuccesso dei due suoi avversari, profetizza la scomparsa prossima del regno del Nord e lo spinge a chiedere un segno. Il Re se ne guarda bene perché tempo prima aveva sacrificato un suo figlio al dio Molock. Ed allora è il Signore stesso che gli dà il segno: la nascita di un nuovo re sul trono di Davide che avverrà attraverso una “almah”, cioè una giovane donna o una donna appena sposata, tale era definita la sposa del re, che concepirà e partorirà l’Emmanuele, il Dio con noi, il re che continuerà la casa di Davide. Gli evangelisti Matteo e Luca e la tradizione cristiana hanno riconosciuto in questo vaticinio la nascita di Cristo da Maria “vergine” secondo la traduzione greca di “partenos” che traduce a sua volta l’ebraico “almah”. Ciò concorda pienamente con l’annunzio dell’angelo Gabriele a Maria quando la rassicura che il frutto del suo grembo sarà opera esclusiva dello Spirito Santo e non di uomo e la citazione esplicita del passo di Isaia fatto dall’evangelista Matteo. P. Angelo Sardone

Betlemme di Efrata

«E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele» (Mi 5,1). Tra i profeti messianici quasi in sordina, ma non meno in efficacia per un celeberrimo vaticinio, si distingue Michea, operante nell’VIII secolo, contemporaneo di Isaia. Il suo nome, come Michele, significa «Chi è come Dio?». In riferimento al Messia afferma con chiarezza che Egli uscirà da Betlemme, la città di Davide, sarà dominatore in Israele e portatore di pace con un messaggio di perdono e salvezza. Nascerà da una donna che «deve partorire». Il riferimento topografico è quello di un piccolo ed insignificante villaggio che si contrappone al dominio grande che sarà invece suo appannaggio. L’allusione alla donna richiama Maria di Nazaret. Il primo riferimento a Betlemme è presente nella Genesi quando si parla di Rachele, moglie di Giacobbe, che morì e fu sepolta sulla via di Efrata, ovvero Betlemme. L’oracolo profetico si riferisce ai secoli successivi e preconizza la nascita di Cristo da Maria proprio dove era nato Davide, a Betlemme, la “casa del pane”. Da Betlemme dunque uscirà il nuovo dominatore che possiede il diritto, la facoltà ed il potere di regnare, Gesù, il Re per eccellenza, le cui origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti, nella mente di Dio e nei recessi della storia. Queste grandiose verità sono il corredo teologico straordinario non di un mito ma di una realtà storicamente avvenuta e preparata da secoli di storia e di interesse di Dio verso l’umanità desiderosa di salvezza. P. Angelo Sardone

4ª domenica di Avvento

La profezia di Michea dice che a Betlemme di Èfrata, un villaggio della terra di Giuda, nascerà il Messia, il dominatore in Israele, attraverso “la donna che deve partorire”. Elementi propri del suo dominio saranno la forza del Signore, la maestà del suo nome e la pace che con Lui si identificherà. Nel tempo stabilito da Dio, Maria di Nazaret, levatasi dallo straordinario evento dell’Incarnazione del Verbo, in fretta si dirige ad Ain Karin, nella Giudea da sua cugina Elisabetta gravida al sesto mese. L’incontro tra le due donne è sincrono con quello del bambino che entrambe portano in grembo. Lo Spirito Santo investe l’anziana cugina che pronunzia parole profetiche di eccezionale portata teologica. Maria è definita “benedetta e beata”. Il salmo 39 di Davide evoca la venuta di Cristo nel corpo preparato da Dio, come risposta e disponibilità a compiere la sua volontà in un nuovo e più perfetto sacrificio santificatore. P. Angelo Sardone