Il pioniere della prima evangelizzazione

293. «Filippo, sceso in una città della Samarìa, predicava loro il Cristo» (At 8,5).

Il capitolo ottavo degli Atti degli Apostoli è dedicato alla figura del diacono Filippo, da non confondere con l’omonimo apostolo. Dopo il martirio di Stefano e la confusione che ne seguì, fu il primo ad annunciare il Vangelo nella Samaria e per questo fu detto “evangelista”. Qui convertì il mago Simone e si fece compagno di viaggio dell’eunuco Candace dignitario della regina di Etiopia. Il testo lucano lo vuole residente a Cesarea Marittima insieme con quattro figlie vergini che profetizzavano (At 21,8). La Samaria, territorio cuscinetto tra la Galilea e la Giudea, usufruì della predicazione del diacono con grande riscontro e risposta della gente che prestava molta attenzione vedendo anche i prodigi che ne seguivano. La potenza della Parola di Dio, infatti, proprio come Gesù aveva insegnato, gli faceva compiere grandi cose: dagli indemoniati uscivano spiriti impuri, paralitici e storpi erano guariti, la gioia dominava nella città, uomini e donne si facevano battezzare. Vero e proprio pioniere dell’evangelizzazione, segue le indicazioni che volta per volta lo Spirito gli fornisce in riferimento a persone e luoghi particolari. La tradizione racconta che nell’ultimo tratto della sua vita si fermò a Cesarea Marittima dove nacque una comunità cristiana e dove morì. È molto bello potersi mettere al servizio del Regno sotto l‘azione dello Spirito Santo che prepara la strada e guida nell’evangelizzazione, dal mago all’uomo di corte, alla gente semplice. Il problema è mettersi sotto la nube dello Spirito e non di altri. P. Angelo Sardone

L’intraprendenza e il coraggio di Stefano

292. «Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i vostri padri, così siete anche voi» (At 7,51).

Nella sua coraggiosa apologia dinanzi al Sinedrio, Stefano, ispirato dallo Spirito Santo e rinvigorito dalla grazia della verità, pronunzia un bellissimo discorso. Con una attenta e puntuale lezione storica sul popolo d’Israele, un riassunto del vecchio Testamento a partire dal patriarca Abramo, fino a Mosè, Giosuè e Davide, giunge all’evento di Gesù Cristo del quale non fa esplicitamente il nome. Il tono del discorso è ineccepibile e la conclusione suona come un fermo giudizio sul comportamento dei Giudei per i recenti fatti occorsi al Nazareno crocifisso e risorto. I veri oppositori della Legge sono proprio loro che non hanno saputo leggere correttamente la storia ed adeguare coerentemente la loro vita a quanto prescritto da Dio con la sua parola e gli avvenimenti. Ciò che fa letteralmente infuriare gli ascoltatori sono le espressioni sferzanti piene di verità e non di odio, di insegnamento didattico-sapienziale e non di giudizio efferato. Facendo riferimento ai profeti ed in particolare ad Isaia ed Ezechiele, ed atteggiandosi quasi a novello profeta, Stefano conclude, contestando loro la testardaggine di ostinazione ed indocilità, la chiusura della mente e del cuore nell’accogliere la novità di Cristo ed ancor più nell’esser sordi e nell’opporre resistenza alla forza dello Spirito che parla attraverso i profeti. Purtroppo tante di queste situazioni non sono diverse oggi. Ma forse non ci sono più figure simili al coraggioso ed intraprendete Stefano. P. Angelo Sardone

I sette diaconi

289 «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense» (At 6,2). La prima comunità cristiana di Gerusalemme si organizza intorno agli Apostoli con una dinamica di vita spirituale e sociale secondo i parametri del Vangelo. La forma di comunione adottata vede la distinzione dei ruoli in base anche ai membri. Gli Apostoli, testimoni della risurrezione e latori del messaggio nuovo appreso direttamente dalle labbra e dalle azioni di Gesù, vogliono dedicarsi all’evangelizzazione facendo uso della Parola di Dio da commentare e divulgare sia nel tempio che nelle riunioni rituali che cominciano a svilupparsi attorno al memoriale della Pasqua. Ci sono necessità diverse, da quelle materiali determinate dal fabbisogno alimentare giornaliero, alla regolazione dei flussi economici per la condivisione dei beni, fino al servizio delle mense. Occorre incominciare a distinguere i ruoli ed i ministeri perché non ci sia confusione, perché tutti possano usufruire dei benefici del nuovo stile di vita e perché, soprattutto, sia la Parola a guidare la vita e a dare senso alle azioni. Il Signore Gesù aveva chiesto ai dodici di dare loro stessi da mangiare. Ma ora si tratta di condividere il pane della fede basata sulla risurrezione che li organizza anche strutturalmente, per diventare il modello delle diverse Chiese che nasceranno con la forza dello Spirito nei vari ambienti e nelle varie regioni nelle quali si disperderanno. Di qui la necessità dell’istituzione del diaconato, il servizio a partire proprio dalla mensa con l’identificazione di sette uomini di buona reputazione da proporre ed investire di questo ruolo. Gli Apostoli si dedicheranno esclusivamente alla preghiera ed all’annunzio. P. Angelo Sardone

Gamaliele il saggio

288. «Se questo piano o quest’opera viene da Dio, non riuscirete a distruggerli. Non vi accada di trovarvi addirittura a combattere contro Dio!» (At 5,38-39).

Il coraggioso ed avveduto Gamaliele, un fariseo membro del Sinedrio, stimato dal popolo, uno dei grandi maestri della legge, fa evitare a Pietro ed agli Apostoli seri provvedimenti. Fu maestro di Paolo che studiò alla sua scuola tre o quattro anni. Il suo saggio ragionamento, parte da elementi storici e concreti legati a personaggi noti all’uditorio, Teuda, Giuda il galileo: entrambi avevano creato opinione pubblica guadagnandosi seguaci ma alla loro morte tutto era finito. In pratica affermava che se il movimento avviato da Gesù Cristo con la sua predicazione ed ancora di più con la sua morte e risurrezione fosse stato di natura umana presto si sarebbe disgregato, ma se invece veniva dal cielo, sarebbe inutile resistergli, rischiando addirittura di combattere contro Dio. Il discorso è di una prudenza eccezionale, degno di una persona ricca di umanità e comprensione e segna la condanna degli atteggiamenti agguerriti dei capi giudei. Il Sinedrio accolse il suo suggerimento e si limitò, si fa per dire, a fare flagellare gli Apostoli ingiungendo loro di non parlare nel nome di Gesù e li lasciò liberi. L’opera di Dio non ha pari e col tempo manifesta la consistenza che vince ogni forma di ottusa opposizione a volte proprio da parte dei buoni, ossessionati talora dal giuridismo esasperato della legge. Se una cosa viene da Dio, dura e per sempre. Se proviene dagli uomini, dura quanto una stagione. P. Angelo Sardone

Bisogna obbedire a Dio

287. «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini» (At 5,19). Dinanzi al Sinedrio con una forza ed un coraggio sorprendente Pietro proclama la risurrezione di Cristo e dichiara la piena responsabilità dei Giudei imputando loro la condanna a morte e l’atto efferato della crocifissione. Senza mezzi termini proclama la verità sconcertante alle orecchie di chi ascolta, in particolare i sommi sacerdoti che avevano ingiunto agli Apostoli di non divulgare questa notizia ed evitare di parlare di Gesù il risorto. L’obbedienza, dice Pietro, in simili cose si deve a Dio e non agli uomini. L’ascolto della voce di Dio e la partecipazione agli eventi di cui erano diventati testimoni oculari, offrono loro una carica fuori del normale per non avere paura delle minacce, del carcere e delle persecuzioni ed affermare con vigore che a Dio si deve l’obbedienza. Le imposizioni umane che sono contro la logica di Dio, che combattono la verità derivante dalla Rivelazione e contenute anche nell’intimo di una coscienza pura, senza macchia e retta, non possono essere adempiute. L’obbedienza della fede radicata nel dono ricevuto dall’Alto, fa vincere ogni difficoltà ed espone non solo alla derisione ma addirittura alla morte proprio come il Maestro. La testimonianza non è semplicemente umana, ma ha come alleato lo Spirito Santo che Dio concede a tutti coloro che gli obbediscono. Ciò non toglie il fatto che, come la stessa Scrittura ammonisce, occorre essere obbedienti alle legittime autorità facendo però sentire con coraggio la validità della verità che deriva da Dio. E ciò vale sempre, soprattutto oggi! P. Angelo Sardone

Il coraggio, la fede, la Parola

286. «Andate e proclamate al popolo, nel tempio, tutte queste parole di vita» (At 5,20). La gelosia dei Sadducei, il gruppo sacerdotale operante al tempo di Gesù, con la loro forte influenza politica, provoca la prigionia degli Apostoli a Gerusalemme. Una inspiegabile ostilità vuole impedire il processo della nuova evangelizzazione avviata dai testimoni della Risurrezione che pian piano attua un vero e proprio distacco dal Giudaismo. Essi negavano la risurrezione e l’esistenza degli angeli e degli spiriti e quindi non vedono di buon grado sia l’evento straordinario di Cristo risorto che l’annunzio conseguente dei suoi discepoli. Sta di fatto però che nottetempo l’Angelo del Signore apre le porte della prigione, spinge fuori gli Apostoli ingiungendo loro di andare nel tempio, il luogo più sacro della fede ed il cuore della nazione, a proclamare tutte le parole di vita promessa da Gesù con la sua risurrezione. Obbedienti gli Apostoli, non possiamo sapere chi e quanti fossero, cominciano ad insegnare nel tempio di buon mattino e con tanto coraggio. Il sommo sacerdote che era un sadduceo, si preoccupa di investigare sulla confusione che si è generata perché crede che i prigionieri siano ancora in cattività. C’è invece la novità: il carcere è serrato, le guardie al loro posto, ma la prigione è vuota. Resosi conto dell’insuccesso, il comandante li conduce via senza adoperare violenza, non fosse altro che per paura di essere lapidato dal popolo che vede, partecipa e giudica adeguatamente. La Parola di Dio ieri, come oggi, non può essere incatenata: il sopruso umano e il perenne ostacolo alla sua propagazione concepito da menti perverse, devono cedere il passo alla potenza stessa della Parola che si fa strada a partire proprio dal luogo più sacro, la Chiesa. P. Angelo Sardone

Gesù, la pietra angolare

281. «Questo Gesù è la pietra, scartata da voi costruttori, diventata la pietra d’angolo» (At 4,11). Il mistero della morte e risurrezione di Cristo adempie le scritture profetiche ed è la parola conclusiva di Dio per l’adempimento del suo progetto d’amore realizzato in Gesù, suo Figlio. Questa verità ha trafitto il buio della storia con una luce straordinaria che ha messo in vista anche per chi non vuol vedere, la potenza del Creatore e l’efficacia del Redentore. Dinanzi alla forza misteriosa dell’azione che ha sconvolto il mondo determinando la sconfitta del peccato e della morte, insorge la burocrazia giuridica degli Ebrei di ieri e dei benpensanti di oggi che ancora continuano ad opporre resistenza allo Spirito in nome della loro superbia e della nevrosi ossessiva di falsa e caduca onnipotenza. Il nome e la potenza di Gesù crocifisso e risuscitato da Dio operano, nella fede, le guarigioni più straordinarie e sensazionali. Il potere taumaturgico non sta nelle parole adoperate dall’Apostolo Pietro, suo malgrado intermediario del miracolo della guarigione dello storpio, ma ha origine direttamente da Dio che supera la beffa della condanna ingiusta inflitta dai capi. Gesù risorto viene identificato in quanto Davide aveva cantato nel salmo 117, rispondendo perfettamente alla descrizione: pietra angolare scartata, ma indispensabile per sostenere lo sforzo maggiore di tenere su la costruzione, posta da Dio a fondamento della nuova costruzione che continuerà a darGli gloria e diffondere la fede vera: la Chiesa. Questa è la novità del messaggio cristiano di ieri e di oggi: la salvezza è presente ed operante in Gesù, sempre! P. Angelo Sardone

La predicazione pasquale

280. «Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni» (At 3,15). Approfittando del fatto che il popolo presente nel tempio all’atto della guarigione dello storpio era letteralmente fuori di sé e stupefatto, l’Apostolo Pietro improvvisa una catechesi forte e coraggiosa. Con essa annunzia la glorificazione di Gesù, Figlio di Dio ad opera del Padre e nel contempo denunzia la codardia dei Giudei nell’averlo rinnegato e richiesto invece la libertà di un assassino. L’accusa diventa ancora più sferzante quando senza mezzi termini li appella uccisori dell’autore stesso della vita. Il nucleo del discorso è l’affermazione di fede «Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni». Proprio lui che la fede ha dovuto masticarla a pezzetti piccoli man mano che è andato avanti fin dopo la morte di Cristo, quando ha potuto constatare insieme con Giovanni che la tomba era vuota e i panni che avevano avvolto il corpo di Cristo giacevano a terra. Espone quindi due elementi che adempiono le scritture profetiche: la fede, la stessa che nasce da Cristo e dalla sua risurrezione ed è detta “fede pasquale”; l’ignoranza del popolo e dei capi manifestata nell’atto dell’accusa, della crocifissione e nella responsabilità della morte dell’innocente Gesù. A rimedio di ciò è ingiunta la conversione, ossia il cambiamento reale di vita che porta con sé la cancellazione dei peccati e la consolazione del Signore, il Cristo che porta solo benedizione. Questa catechesi ha il sapore aspro dell’attualità di oggi, laddove con facilità si continua a mandare a morte Gesù con la scarsa qualità della vita cristiana fatta di esteriorità e talora allergica alla scelta responsabile di serietà e di impegno continuo. P. Angelo Sardone

Lo storpio che salta

279. «Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!» (At 3,6). La potenza del Nome di Gesù è messa in evidenza sin dagli inizi della predicazione apostolica. Dimostra come si stia realizzando il piano di salvezza di Dio Padre. Pietro e Giovanni accomunati nel servizio di annunzio del kerigma, sono esemplari ed assidui nel praticare il culto giudaico al Tempio di Gerusalemme, soprattutto nell’ora della sera che cominciava intorno alle tre del pomeriggio ed era caratterizzata dall’offerta di un agnello. Questa ora da adesso in poi per i cristiani fa riferimento all’ora in cui era morto Gesù Cristo. Entrati nel complesso del recinto sacro della Città santa, essi si imbattono in un uomo zoppo dalla nascita che chiede loro l’elemosina. Pietro, fissandolo negli occhi, l’invita a guardare verso di loro. La speranza dello storpio era quella di ricevere qualcosa, ma non ha affatto idea di ciò che invece gli sarà dato con abbondanza e definitivamente. Il centro del dialogo e dell’azione radicale e risanante è l’espressione “Nel nome di Gesù”, il nazareno, il titolo infamante che Pilato aveva fatto incidere sul cartiglio posto sulla croce. Il nome, cioè la potenza di Gesù il Risorto, compie il miracolo della guarigione. Pietro, emulando il Maestro si limita a pronunziare l’espressione salvifica ed a compiere gli stessi gesti di Gesù. Il malato è guarito, entra con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio. La fede nel Cristo risorto ha fatto tutto, operando sia negli Apostoli che nel povero storpio. La nostra fede può fare altrettanto permettendoci di entrare nella Chiesa con coloro che rappresentano ed operano in “persona Christi”, camminando solleciti e maturi, saltando di gioia vera sperimentata nella personale risurrezione e lodando il Signore con la vita. P. Angelo Sardone

E’ veramente risorto

277. «Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni» (At 2, 24). Durò solo tre giorni la vittoria della morte sull’uomo Gesù di Nazaret. Ciò che era vittoria, si rivelò in effetti una sconfitta. Mentre per tutti gli uomini prima di Lui e dopo di lui la morte è stata ed è la conclusione della vita, per il Figlio di Dio la morte fu semplicemente un passaggio obbligato dall’assunzione del peccato che porta naturalmente alla morte. Essendosi fatto peccato, Cristo ha legato a sé ed alla croce i peccati dell’umanità di tutti i tempi e li ha espiati col versamento del suo sangue. La storicità dell’evento è narrata ed attestata dai Vangeli. Gesù è morto davvero: non è una favola o un dato fideistico inventato. Il test mirabile della veridicità della sua azione salvifica è proprio la risurrezione, senza la quale la fede cristiana sarebbe vana. Nella predicazione apostolica è chiaro ed esclusivo l’intervento di Dio che ha risuscitato Cristo dai morti. Tutta la predicazione profetica, anzi tutta la storia sacra sin dagli inizi porta al sepolcro di Cristo, ma non si ferma là: ha senso e si esplica mirabilmente nell’evento della Risurrezione. Le testimonianze sono molteplici: la tomba vuota, il corredo funerario posizionato nella tomba, gli Angeli della risurrezione, le donne e gli Apostoli, un bel numero di persone non certo inebetite da vino mattutino, ma sconvolte nell’intimo da una verità per la quale avevano stentato di credere. La Risurrezione di Cristo non è opera di un trafugamento notturno ma della potenza di Dio. Anche la nostra personale risurrezione è frutto di un intervento di Dio corredato dal nostro assenso fiducioso e perseverante. P. Angelo Sardone