L’acqua della vita

161. «I miseri e i poveri cercano acqua ma non c’è; io, Dio d’Israele, non li abbandonerò» (Is 41, 17). L’acqua è elemento indispensabile per vivere. Talete, un filosofo del VI sec. a.C. affermava che è il primordiale e costitutivo principio delle cose. Anche nella teologia essa ha un valore di importanza fondamentale. Nella creazione lo Spirito si librava sulle acque. Nella storia sacra l’acqua scesa dal cielo nel diluvio universale distrugge ogni cosa; il fiume Giordano costituisce il riferimento per il Battesimo, da quello amministrato da Giovanni, fino al sacramento istituito da Gesù Cristo. Il Maestro di Nazaret alla Samaritana assetata afferma di essere Lui l’acqua viva, quella che toglie la sete ed apre alla eternità. Anche la predicazione profetica di Isaia fa riferimento all’acqua, quella che cade dal cielo. Sono particolarmente i poveri, i miseri che la cercano per vivere perché la loro lingua è riarsa per la sete, ma non ne trovano. È l’acqua della giustizia, del riconoscimento dei diritti, dell’eguaglianza sociale. È l’acqua della fede, del desiderio di salvezza e spesso non si trova nei luoghi deputati dalla natura, dalla religione, dall’amministrazione della cosa pubblica. Allora interviene lo stesso Signore che fa scaturire i fiumi anche sulle brulle colline, apre fontane nelle valli, muta il deserto in lago. L’Apocalisse conferma che a chi ha sete Dio darà gratuitamente acqua della fonte della vita (Ap 21,6), perché Egli non abbandona mai. La ricerca di questa acqua non può fermarsi dinanzi alle difficoltà spesso generate anche negli ambienti ecclesiali pervasi da cose temporali. Il tabernacolo è una fonte perenne di acqua e di vita! P. Angelo Sardone

S. Nicola, santo di Oriente ed Occidente

La semina del mattino

157. «Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede» (Is 62,11).

L’iconografia e la statuaria cristiana da sempre raffigurano e presentano S. Nicola di Bari (270-343), uno dei santi più conosciuti e venerati al mondo, con il libro della Parola sormontato da tre palle. Esse rappresentano sacchetti di monete, la dote che, secondo la tradizione, quando era ancora laico avrebbe procurato a tre ragazze povere per il matrimonio, onde sottrarle alla prostituzione cui le aveva indotto il padre per procacciarsi il denaro occorrente. Il suo nome, dal greco, significa “popolo vittorioso”. Fu consacrato vescovo di Myra, eletto dai vescovi dei dintorni della città, secondo una prodigiosa visione di uno di loro, interpretata come volontà di Dio. Probabilmente prese parte al Concilio di Nicea (325) contro le tesi del prete Ario. Alla sua intercessione sono attribuiti numerosi miracoli, come la prodigiosa provvista di grano per gli abitanti di Myra durante la carestia, la liberazione di tre giovani innocenti e tanti altri ancora. Morì anziano nella città che aveva servito con la Parola e la santità di vita. Nel 1087 un gruppo di Baresi, probabilmente per rilanciare il predominio economico della città sponda del Levante, approdò a Myra e si impadronì delle spoglie di San Nicola trafugandole a Bari. Nel 1089 esse furono collocate nella cripta della Basilica omonima che fu elevata in suo onore ed a lui dedicata. Da allora è diventata mèta di pellegrinaggi con una risonanza pressoché universale ed il suo culto è un ponte di collegamento tra l’Oriente e l’Occidente. L’universale sua notorietà è la ricompensa a Lui riservata dal Signore, il premio alla sua vita evangelica e l’onore per tutti quelli che ne sono devoti. Auguri a chi ne porta il nome. P. Angelo Sardone

Credere per vedere, più che vedere per credere

155. «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!» (Mt 9,27). La cecità, fisica o spirituale, è un elemento ricorrente nella Sacra Scrittura, sia in forma concreta che figurata. La cataratta, la degenerazione maculare legata all’età e il glaucoma sono le maggiori causa della perdita della vista. La correzione tante volte viene con l’uso degli occhiali o con l’intervento chirurgico. Questa infermità visiva, molto comune nell’antico Medio Oriente, ha diversi riferimenti in personaggi biblici. Il caso più eclatante dell’Antico Testamento è Tobia. Nei Vangeli più volte si parla di ciechi, due in particolare che seguono Gesù gridandogli dietro. Quando il Maestro si ferma in una casa, gli si avvicinano e rispondono affermativamente all’interrogativo che pone loro per saggiare la loro fede: «Sì, Signore, tu puoi guarirci!». Gesù tocca i loro occhi e dà la vista. Ciò che si è realizzato è il premio alla loro fede. I due guariti, non obbedire affatto alla proibizione ingiunta loro da Gesù, ma diffondono dappertutto la notizia del miracolo. Gli occhi dello spirito spesso si appannano per gravi situazioni di ordine morale e comportamentale fino a spegnersi del tutto, generando buio spirituale e facendo brancolare a tentoni senza avere chiara alcuna meta. La fede, fatta di obbedienza e fiducia nel Signore, è un affidamento completo a Lui, è volgere lo sguardo e la vita verso di Lui. Allora cadono le cateratte, è guarita la cecità, si torna a vedere. All’antico adagio «vedere per credere», bisogna ora aggiungere, se non sostituire «credere per vedere». P. Angelo Sardone

Vorrei gridare come un pazzo

La semina del mattino

154. «Chiunque ascolta le mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia» (Mt 7,24). La predisposizione ad ascoltare non è sempre semplice. Si esprime in modalità virtuose con la disponibilità ed accoglienza, ed in modalità viziate da superficialità o assenza nel mettere in pratica quando viene detto. L’insegnamento di Gesù con gli esempi della roccia e della sabbia, esplicativi di una modalità basilare di accoglienza seria o di superficialità e leggerezza, vuole scuotere dalla tiepidezza e risvegliare un impegno fattivo nell’ascoltare e nel tradurre in pratica il messaggio proposto. I Santi hanno preso il Vangelo alla lettera e l’hanno reso vita della loro stessa esistenza. Un autentico gigante dell’attività e dell’ansia missionaria è il nobile spagnolo S. Francesco Saverio (1506-1552). Studiò teologia alla Sorbona di Parigi dove conobbe S. Ignazio di Loyola ed entrò nella Compagnia di Gesù da lui fondata. Ordinato sacerdote nel 1537, obbedendo al papa Paolo III che aveva chiesto di evangelizzare i popoli delle colonie delle Indie orientali, nel 1541 partì e dopo un anno di viaggio giunse fino a Taiwan, estendendo la sua evangelizzazione in Giappone. Arrivò vicinissimo alla Cina che era allora impenetrabile, approdando a Sancian dove svolse un’attività evangelizzatrice e sociale nei confronti dei bambini e dei malati. Gli stenti e le fatiche lo prostrarono, causandogli la morte ad appena 46 anni. Desiderava «gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità» denunciando la perdita delle anime per la mancanza di operai del vangelo onde favorire le conversioni dei pagani al cristianesimo. Che straordinaria passione per le anime! P. Angelo Sardone