Cristo Re dell’universo

Solennità di Cristo Re dell’universo. Il Signore, come un pastore, cerca le pecore, le passa in rassegna e le raduna dai luoghi di dispersione in tempi nuvolosi e di caligine. Le fa riposare e le conduce al pascolo con tanta attenzione: cerca la smarrita, fascia la ferita, cura la malata, giudica tra pecora e pecora, tra montoni e capri. Gesù prefigura il giudizio universale come un’azione giudiziaria e, alla maniera del pastore, di separazione delle pecore dalle capre. Alle prime è riservata la benedizione, la salvezza e la vita eterna; alle seconde la maledizione ed il supplizio del fuoco eterno. Il criterio di giudizio sarà sull’accoglienza o meno dell’affamato, dello straniero, del nudo, del malato e del carcerato, una sintesi delle opere di carità, fatte a Cristo nascosto sotto tali sembianze. Il Regno di Cristo già su questa terra è un regno di pace, di verità è di giustizia. Alla fine Egli lo consegnerà al Padre dopo aver sottomesso ogni cosa e ridotto al nulla tutte le cose. P. Angelo Sardone

Oremus pro orantibus

La semina del mattino

142. «Il Signore ha magnificato il tuo nome in tutte le generazioni» (PdG, 7).

Così esclamò il sacerdote del tempio di Gerusalemme quando accolse, baciò e benedisse Maria bambina che aveva compiuto tre anni, ivi condotta da Gioacchino ed Anna per adempiere il voto fatto al Signore. La fece poi sedere sul terzo gradino dell’altare e la rivestì di grazia. Ella danzò con i suoi piedi e tutta la casa di Israele prese a volerle bene. Fu allevata nel tempio del Signore come una colomba, ricevendo il vitto per mano di un Angelo fino a quando compì dodici anni e fu data in custodia a Giuseppe che poi la sposò. Così il testo apocrifo del Protoevangelo di Giacomo, uno scritto del II secolo d.C. narra la Presentazione della beata Vergine Maria, la cui memoria si celebra il 21 novembre. La fanciulla, bellissima, per un dono soprannaturale Immacolata sin dal suo concepimento, viene in maniera del tutto speciale consacrata a Dio nel luogo sacro per eccellenza, per dedicarsi, come altre vergini, alla preghiera ed al servizio di Dio. Nel suo nome e nella sua identità Dio costruisce la dimora eletta per la nascita del Figlio in terra: sacro il tempio, sacro il grembo; riservata la dimora di preghiera, fulgente la grazia accordata per la salvezza dell’umanità; entra piccola al servizio del Signore esce grande ed acclamata per le generazioni future, magnificata dallo stesso Creatore. In questa giornata, per volere di Pio XII, sin dal 1953, si celebra la Giornata pro orantibus: con l’offerta radicale della loro vita, uomini e donne delle comunità monastiche claustrali sono con Maria e come Maria, dedite alla contemplazione, alla preghiera ed al lavoro, per far generare Gesù nelle anime e sostenere il mondo.  P. Angelo Sardone

La casa di preghiera

La semina del mattino

141. «La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri» (Lc 19,45).  Nella storia del popolo d’Israele, a cominciare da Salomone che l’aveva costruito nel X secolo adempiendo il volere di Davide, il grandioso Tempio di Gerusalemme era il riferimento religioso, cultuale e civile dell’intera nazione, il luogo santo per eccellenza, meta di pellegrinaggi e spazio nel quale trovare pace e rifugio. Distrutto completamente da Nabucodonosor il 586 a.C. fu ricostruito dopo l’esilio babilonese ed ampliato il 20-19 a.C. col protrarsi di 46 anni. Il funzionamento del tempio era legato anche ai sacrifici previsti dalla Legge di Mosè. Nel cortile esterno, detto “atrio dei gentili”, si vendevano gli animali per il sacrificio. L’offerta al tempio era fatta con la moneta locale, facilmente cambiata a coloro che arrivavano da lontano con altre valute, dai cambiamonete. Tutto questo era autorizzato dai capi dei sacerdoti. Il Terzo Isaia aveva definito il Tempio di Gerusalemme «Casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56, 7). Prima della sua passione Gesù si recò al Tempio e qui trovò i venditori di buoi, pecore, colombe e i cambiavalute in piena azione, anche speculando come ladri. Fu questo il motivo del suo intervento veemente: armato di una sferza di cordicelle smascherò l’idolatria, scacciò tutti fuori del tempio, rovesciò i banchi dei cambiavalute, gridando di non fare della casa del Padre un luogo di mercato. Con un gesto simbolico di grande suggestione, Gesù inaugura l’era nuova del culto interiore, a partire dal nuovo Tempio, il suo corpo risuscitato, vera casa di preghiera al contrario dello sfruttamento dei poveri. P. Angelo Sardone

Dominus flevit: Gesù piange

La semina del mattino

140. «Gesù, vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa» (Lc 19,41). Fa una certa impressione leggere della commozione di Gesù, intensa fino al pianto. In tre diversi passi il Nuovo Testamento lo riferisce. A Betania piange la morte dell’amico Lazzaro e si unisce al dolore delle due sorelle. Quelle lacrime di dolore si trasformano in lacrime di gioia, con la risurrezione del morto (Gv 11,32-36). L’autore della Lettera agli Ebrei, sottolineando la dimensione sacerdotale di Cristo che compatisce le umane miserie e le sperimenta, afferma che Egli versò lacrime accompagnandole con grida ed una intensa supplica a Dio perché lo liberasse dalla morte (Eb 5,7). Infine, alla vista di Gerusalemme, prima della sua passione e morte, Gesù piange. Considera la mancanza di conoscenza del tempo della salvezza, della via della pace ed intravvede la distruzione della città santa, condannata per non aver saputo cogliere il momento favorevole della salvezza. Le sue lagrime manifestano non tanto la sua debolezza, quanto la grande delusione e la sua impotenza dinanzi ad una libertà umana gestita male. Risuonano inoltre come un invito accorato alla città, punto di riferimento della fede nazionale, ostinata nel peccato e nel rifiuto del Messia, perché si converta e faccia penitenza. La fine preconizzata da Gesù si realizzerà puntualmente il 70 d.C. prima con la rivoluzione degli Ebrei ribelli e poi con le truppe romane di Tito che metteranno a ferro e fuoco la città, distruggendola insieme col tempio. Il nostro è un Dio profondamente umano interessato alle sorti di ciascuna creatura e di ogni città del mondo! Per questo piange! P. Angelo Sardone

Il tetramorfo, ossia le quattro forme ed immagini

La semina del mattino

139. «In mezzo al trono e attorno al trono vi erano quattro esseri viventi, pieni d’occhi davanti e dietro» (Ap 4,6). Il libro dell’Apocalisse è ricco di immagini, numeri, animali, una simbologia che affonda le sue radici nella teologia apocalittica del Vecchio Testamento. Nella visione si apre una porta in cielo ed il veggente, Giovanni, viene invitato a salire per vedere le cose che devono accadere. Sul trono avvolto da un arcobaleno vi è il Signore Dio Onnipotente. Attorno, 24 vegliardi che rappresentano il nuovo popolo di Dio che si inserisce e dà compimento all’antico: sono la somma delle 12 tribù d’Israele ed i 12 Apostoli.  In mezzo ed attorno, in alto, sopra i vegliardi, a destra ed a sinistra vi sono quattro esseri viventi pieni di occhi che simboleggiano la scienza universale e la provvidenza di Dio, con sembianze di leone, uomo, aquila, vitello. Rappresentano quanto di più nobile, forte, saggio ed agile vi sia nella creazione e l’universo intero che riconosce il potere di Dio e gli obbedisce. L’immagine profetica si rifà al turbinio di fuoco descritto da Ezechiele (1,4-10) che accompagna il popolo nel suo cammino verso l’esilio e dimostra che il Dio d’Israele è il vero Dio. L’interpretazione cristiana, a cominciare da S. Ireneo, ha identificato nei quattro esseri viventi i quattro evangelisti: leone (Marco), aquila (Giovanni), toro (Luca), uomo (Matteo) e quattro caratteristiche di Cristo: re come il leone; vittima sacrificale e sacerdote come il vitello, uomo perché nato da donna, aquila perché effonde lo Spirito Santo sulla Chiesa. S. Girolamo aggiunge una ulteriore interpretazione cristologica: Gesù «nato come uomo, morì come un vitello sacrificale, fu leone nel risorgere e aquila nella sua ascensione». Che grande ricchezza teologica! P. Angelo Sardone

La tiepidezza, un vomito

La semina del mattino

138. «Poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap 3,15). Mi ha fatto sempre molto pensare e talora anche spaventare l’affermazione di Cristo, «Amen del Padre» diretta ai cristiani della Chiesa di Laodicèa, una opulenta città ad oriente di Efeso, centro di commerci e di banche. Il tenore del testo è rigoroso e giudiziario: il Signore conosce le loro opere, cioè la manifestazione concreta della fede, le azioni ed i comportamenti sociali e morali e li distingue sul piano analogico del freddo e del caldo. I due elementi atmosferici fanno riferimento ad un rifiuto tassativo di Dio e della sua Grazia o ad una convinta loro accoglienza manifestata con un’autentica e non superficiale conversione. A queste due categorie viene aggiunge una terza, la tiepidezza che richiama una conoscenza del Vangelo, ma esprime un asservimento pauroso e vile al mondo ed alle sue trame. Ciò si manifesta con assenza di zelo ed entusiasmo, facili e convenienti compromessi. Il Signore chiede invece un fervente impegno, serio e deciso nel praticare la vita di grazia, dando un taglio a tutto ciò che è passato e pagano, senza accontentarsi di indugiare in una situazione che sembra in bilico, ma è fortemente protesa alla negatività. Il giudizio divino ha una conclusione impressionante: «visto che sei tiepido, cioè né caldo e né freddo, comincerò a vomitarti dalla bocca!». O si brucia di amore convinto per il Signore accogliendo le sue indicazioni di vita, o si è freddi e riluttanti, addossandosi nefaste conseguenze. Non ci sono mezze misure. C’è troppa leggerezza, incauta e pericolosa! L’indifferenza e la tiepidezza sono peggiori di un netto rifiuto. P. Angelo Sardone

Il valore della perseveranza

La semina del mattino

137. «Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua perseveranza» (Ap 2,2).

L’Apocalisse è il Libro profetico scritto da S. Giovanni che dopo S. Paolo è il più prolifico autore del Nuovo Testamento. Etimologicamente significa Rivelazione, dalla prima parola adoperata, e fa riferimento alle cose che devono accadere. La prima parte è costituita da sette lettere inviate dal Signore a sette Chiese dell’Asia Minore. Per ciascuna è riservato un messaggio particolare ora di encomio, ora di biasimo, ma tutte cariche di esortazione a cambiare ed a fare meglio. Il messaggio per la Chiesa di Efeso si apre con l’affermazione della conoscenza da parte del Signore, in particolare delle opere, della fatica, della perseveranza. Si tratta di un trittico che esalta l’impegno nella realizzazione di un progetto e la conseguente fatica, il lavoro diuturno per raggiungere l’obiettivo e la perseveranza. Opere buone o cattive determinano giudizi positivi o negativi: nulla di questo sfugge al Signore che conosce, cioè che apprende il vero. La fatica richiama l’attendere con assiduità e sacrificio ad una determinata applicazione. La perseveranza richiama il persistere con costanza, senza interrompere, in una azione o comportamento. Nella vita cristiana questi valori camminano di pari passo con la formazione delle coscienze e determinano l’andamento positivo dell’esistenza. Contrariamente agli uomini Dio sa, conosce, perché guarda nell’intimo e quivi scopre oltre il tanto bene che c’è, anche qualcosa che non va e che deve essere necessariamente corretta, con una autentica conversione e col ritorno alle opere del primo amore. P. Angelo Sardone

Il tabernacolo: riferimento di adorazione e di amore

La semina del mattino

136. «Gustate e vedete quanto è buono il Signore!» (Sal 33,9). Gesù è presente nella S. Scrittura, nella Chiesa, nelle opere di carità fraterna, nei poveri. Ma è nel sacramento dell’Eucaristia, «mysterium fidei», dove si fa presenza per eccellenza, reale, con il suo corpo ed il suo sangue, l’anima e la divinità. La Chiesa non solo lo ha sempre insegnato, ma anche vissuto la fede in questa presenza, adorando con culto latreutico, cioè che compete solo a Dio, questo grande sacramento. «Nessuno mangia quella carne senza averla prima adorata. Non pecchiamo adorandola, ma anzi pecchiamo se non la adoriamo» (S. Agostino). Nell’Eucaristia si realizza in modo sommo e più completo la promessa di Gesù di rimanere con gli uomini sino alla fine del mondo. Il tabernacolo, particolarmente, deve costituire un polo di attrazione per un numero sempre più grande di anime innamorate di Lui, capaci di stare a lungo ad ascoltarne la voce e quasi a sentirne i palpiti del cuore (Giovanni Paolo II). Il suo corpo donato ed il suo sangue versato come bevanda di salvezza, trovano nella Passione la manifestazione concreta del dono ineffabile della sua vita per le creature, onde ottenere la redenzione eterna (Eb 9,11-12). Occorre avvicinarsi, vedere, cibarsi, gustare, per avere la certezza dell’efficacia di un mistero profondo di amore che invade la vita, la permea, le dona consistenza e qualità. Da ciò nasce l’impegno di vivere per Cristo: «chi mangia di me, vivrà per me» (Gv 6,57). È questione di amore e di volontà, scelta seria d’impegno maturo. P. Angelo Sardone

Efficacia di una insistente preghiera

La semina del mattino

135. «Le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi» (Lc 8,5). La risoluzione conclusiva del giudice iniquo diviene occasione per un grande insegnamento sulla pratica, l’insistenza e l’efficacia della preghiera. Da grande Maestro, Gesù narra la parabola della vedova insistente e del giudice senza scrupoli anche davanti a Dio, che, pur di liberarsi del fastidio arrecato dalla povera donna le fa giustizia. Come la domanda ripetuta rischia di diventare ossessiva e fastidiosa per chi la riceve, la preghiera insistente presentata a Dio senza stancarsi, giorno e notte, induce il Creatore ad intervenire con giustizia in maniera pronta. Al giudice disonesto che si piega dinanzi alla richiesta della vedova, si contrappone Dio, Padre buono, generoso e giusto che non fa aspettare e concede quanto richiesto. La preghiera che fondamentalmente è un atteggiamento di vita e che si esprime oltre che con la mente ed il cuore, con la bocca, donde il termine orazione, è una necessità che si deve esprimere e presentare senza stancarsi, soprattutto quando sembra che sia inefficace. Dio non dorme e non è sordo dinanzi ad ogni nostra richiesta. I tempi ed i modi di Dio nel rispondere, sono molto diversi da nostri. Una fede matura aiuta ad affidarsi a Lui ed a gettare ogni Lui ogni preoccupazione. L’esempio viene da Cristo che pregava continuamente il Padre, anche con «forti grida e lacrime e, per il suo pieno abbandono a Lui, venne esaudito» (Eb 5,7). La preghiera insistente bussa al cuore di Dio e lo apre per esaudire ogni richiesta! P. Angelo Sardone

Un cuore in cammino

La semina del mattino

134. «Questo è l’amore: camminare secondo i suoi comandamenti» (2Gv 1,6).

Tredici versetti appena compongono la Seconda Lettera indirizzata da S. Giovanni ad una comunità dell’Asia Minore. Gesù aveva parlato del suo comandamento dell’amore e l’aveva lasciato come testamento agli Apostoli ed ai cristiani. L’evangelista, acuto teologo dell’amore, lo ripropone nel suo Vangelo e nella Prima Lettera e qui ne specifica ancora una volta la consistenza e l’essenza: «camminare secondo i comandamenti». È questa la manifestazione pratica dell’amore per Dio e per il prossimo, messa sullo stesso piano di una conoscenza autentica e vera di Dio. Diversamente si rischia di essere bugiardi e di vanificare la completezza dell’amore. Una parola ed una realtà fortemente inflazionata può mettere nelle condizioni di auto-ingannarsi se non si comprende bene il significato pregnante dell’amore che è dono ma anche impegno, che ci è elargito con generosità ma che va ricambiato, che non consiste in parole, ma in fatti e verità. Il banco di prova sono proprio i comandamenti, il decalogo dato da Jawhè a Mosè, ribadito da Cristo ed esemplificato nei due comandamenti grandi: l’amore per Dio e l’amore per il prossimo. Ciò non significa che gli altri sono elusi, ma compresi. Chi ama Dio infatti non uccide, non ruba, non calunnia, rispetta la sacralità del suo corpo, onora i genitori, non attenta alla roba ed alla persona di altri. A volte intorno a questo si sviluppa una grande confusione, frutto di bigottismo e di una conversione non autentica e radicale. «Conosco un solo dovere, quello d’amare. A tutto il resto dico no», affermava l’ateo francese Albert Camus. L’uomo è un cuore d’amore in cammino. P. Angelo Sardone