Priscilla ed Aquilla collaboratori di Paolo

«Si stabilì in casa di Aquila e Priscilla e lavorava» (At 18, 3). Paolo continua il suo viaggio evangelizzatore e giunge a Corinto, capitale della provincia romana dell’Acaia, una grande città di commercio, cosmopolita e licenziosa nei costumi morali. Qui due terzi della popolazione erano schiavi. A Corinto trova Aquila, un giudeo reduce dall’espulsione da Roma insieme con sua moglie Priscilla: fanno lo stesso suo mestiere, fabbricano tende. Paolo aveva appreso questo mestiere nella sua patria, facendo tende in tessuto di peli di capra. Il suo intento, oltre quello evangelizzatore tra i Greci ed i Giudei ivi residenti, era di mantenersi da sé senza gravare su alcuno. Il ministero dell’evangelizzazione per quanto è grande e misterioso, è impagabile, ma non sempre può sostenersi da sé. Ecco il motivo per il quale la Chiesa ha la forma del sostentamento del clero, non per pesare sulle spalle dei cittadini ma per renderli consapevoli dell’impegno comune e della corresponsabilità al mantenimento di coloro che si dedicano all’opera della salvezza. È significativo che Paolo faccia riferimento ad una famiglia che ha i parametri più naturali della comunità, l’unità dei vincoli e la sicurezza. Singole persone, anche buone e disponibili, potrebbero non avere le caratteristiche indispensabili per un missionario che richiede riservatezza, intelligente familiarità e condivisione, libertà di azione ed anche sicurezza di amministrare il proprio tempo e le risorse. Priscilla ed Aquila sono il prototipo di tante famiglie che con generosità e gioia accolgono nella loro casa i missionari e diventano anch’essi missionari del Vangelo. P. Angelo Sardone

Il Dio ignoto

314. «Il Dio che voi adorate senza conoscerlo, io ve l’annunzio» (At 17,23). Proseguendo la sua predicazione, lasciati Timoteo e Silvano a Berea vicino Tessalonica ai piedi del monte Olimpo in Grecia, Paolo giunge ad Atene, una città idolatra e curiosa che, nonostante non avesse molti abitanti, portava ancora i segni della sua antica grandezza nei templi, nei monumenti ed ancor più nell’essere il centro della formazione filosofica di allora. Paolo parla con tutti e predica apertamente, ma viene giudicato come seminatore di chiacchiere e predicatore di divinità straniere. Gli ateniesi sono attratti da queste novità che ritengono passatempi. Giunge intanto all’Areopago, su una collina dove poteva discutere con più calma lontano dalla folla. Intesse allora una interessante ed intelligente catechesi proposta ad un ambiente pagano ma colto. Si adatta alla situazione citando poeti e filosofi e facendo riferimento alla religiosità del popolo riscontrata nei monumenti sacri e particolarmente in un altare dedicato “al Dio ignoto”. Paolo annunzia proprio quel Dio ignoto, creatore del mondo, che non abita in costruzioni fabbricate da uomini, che dà respiro e vita a tutti, facendo un compendio di alta levatura filosofica e teologica fino a giungere al mistero della risurrezione di Cristo. Il tasto della risurrezione risulta fatale: alcuni degli ascoltatori lo derisero, altri più elegantemente gli dissero che l’avrebbero ascoltato un’altra volta. L’annunzio della risurrezione è un dato di fede e non di parole auliche e cultura altisonante, a meno che non si parta da una umiltà vera e concreta di accoglienza, anche da parte di chi non sa. P. Angelo Sardone

La conversione del carceriere

«Si aprirono tutte le porte e caddero le catene di tutti» (At 16, 26). Paolo e Sila (Silvano) continuano a Filippi la loro opera evangelizzatrice che prima di ogni altro contrasta con lo spirito del male che possiede una schiava ed i relativi guadagni ne ricavavano i padroni a causa degli oracoli divinatori da essa pronunziati. Accusati di mettere a soqquadro la città, sono bastonati e quindi reclusi in prigione. Verso la mezzanotte, a seguito di un terribile terremoto che aveva scosso le fondamenta, a Paolo, Silvano e gli altri detenuti, si sciolgono le catene e si aprono le porte della prigione. Grande fu lo sconcerto del custode della prigione che, data la sua responsabilità e vista la particolare situazione che gli avrebbe causato condanna e prigionia, tenta di uccidersi credendo che tutti fossero evasi. Paolo lo rassicura dicendogli che sono tutti ancora in prigione. Frastornato, il custode accede con un lume e vede che effettivamente le cose stanno proprio così. Ciò determina in lui una repentina conversione e chiede cosa deve fare per salvarsi. Paolo lo ammaestra e conferisce il Battesimo a lui ed alla sua famiglia. Dinanzi alla potenza del Signore risorto si scuote la terra, si aprono le porte e si sciolgono i vincoli che tengono prigionieri mente e corpo. Occorre affidarsi e lasciarsi ammaestrare dal Signore soprattutto negli eventi drammatici della vita, quando sembra che tutto sia perduto e ci si predispone per il peggio. Il servizio generoso al Signore strappa da Lui interventi straordinari e predispone chi ne è coinvolto all’accoglienza ed alla conversione. P. Angelo Sardone

Lidia di Tiatìra

«Il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo» (At 16,14). I viaggi missionari di Paolo, debitamente documentati da S. Luca, sono corredati oltre che dall’impegno diuturno di evangelizzazione, da incontri, situazioni particolari, persone. A Filippi, una colonia romana della Macedonia, Paolo rivolge la sua parola alle donne riunite per la preghiera lungo il fiume. Tra queste si distingue Lidia, una commerciante di porpora proveniente da Tiatìra. Il cronista sottolinea come il Signore a lei già credente in Dio, aveva aperto il cuore per accogliere ed aderire alle parole dell’Apostolo. Difatti dopo averlo ascoltato, insieme con la famiglia fu battezzata ed a testimonianza di comunione e di generosità, invitò i missionari prima ad andare e sostare nella sua casa e poi li costrinse ad accettare. È un tratto molto significativo che esprime riconoscenza, accoglienza, condivisione. È una esperienza che noi sacerdoti, soprattutto impegnati in azioni evangelizzatrici sul territorio più ampio, spesso facciamo. Tutto parte non dal nostro saper fare, dall’avvenenza o dalle capacità espressive e di coinvolgimento. Anche. Ma la prima azione di disponibilità alla Grazia dell’ascolto per coloro che incontriamo, parte dallo Spirito Santo che apre e dispone i cuori all’accoglienza della Parola che salva. È un guaio quando succede il contrario e si pensa che siano le nostre capacità di dialogo e di coinvolgimento. Si può determinare un ascolto semplicistico e “simpatico” che lascia il tempo che trova o meglio, genera adepti legati al predicatore di turno e non sempre più direttamente e chiaramente al Signore. P. Angelo Sardone

La mamma, il dono più bello della vita

«Io sono la madre del bell’amore e del timore, della conoscenza e della santa speranza» (Sir 24,18). «Mamma» è una delle prime parole dall’infante, un susseguirsi spontaneo di consonanti labiali facili da pronunziare. È il termine più bello che scaturisce dal cuore e che rimane sempre sulla bocca. Non è sufficiente una festa per celebrarne le lodi, la grandezza, la riconoscenza. La Sacra Scrittura soprattutto nei testi sapienziali sottolinea la preziosità della sua entità, la ricchezza del suo ruolo, la sacralità del suo essere. «La carne di ogni essere umano è modellata nel suo grembo» (Sap 7,1); il suo insegnamento non va disprezzato (Pro 1,8), soprattutto quando diventa vecchia (Pro 23,22), né vanno dimenticate le sue doglie (Sir 7,27). La mamma è una vite piantata vicino alle acque, rigogliosa e frondosa per l’abbondanza dell’acqua (Ez 19,10). La poesia biblica esprime in grado alto quanto di più bello e di più grande si possa scrivere o dire di una persona umana: da Eva, la madre di tutti i viventi, resa tale da Dio creatore, fino a Maria di Nazaret la madre dell’umanità redenta, resa tale dal Figlio sulla croce. La realtà giornaliera dell’esistenza umana evidenzia la presenza e l’opera della mamma all’origine della vita, nella sua realizzazione, nel suo compimento. Grande dono è la maternità: quella fisica, altissima ed arcaica vocazione della donna; quella spirituale, dono speciale per alcune donne chiamate a fare del proprio corpo e della propria vita un grembo di amore per Cristo e per i fratelli. In entrambi i casi, guardando a Maria, si tratta di uno straordinario compendio di grazia e di gloria che manifesta la sua condivisione ed il coinvolgimento nell’opera della creazione del genere umano. Grazie mamma ed auguri a te che sei in cielo e a te che sei sulla terra; a te che partorisci nella carne e a te che generi nella fede; a te che, anche se per un arcano mistero sei privata del dono della maternità, diventi madre con un gesto di generosità. Il Signore ti ricompensi: faccia splendere la tua luce sul mondo offuscato dall’egoismo e dalla violenza; renda il tuo cuore fonte di amore e di bontà, la tua mente perla d’intelligenza, il tuo corpo grembo fecondo, la tua fede testimonianza di santità. P. Angelo Sardone