L’annuncio di Cristo e non il nostro

«Noi non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù» (2Cor 4,5). Il ministero della predicazione esercitato da Paolo fu all’insegna della misericordia. Egli la sperimentò personalmente con il cambiamento radicale della sua vita, essendo passato da persecutore dei cristiani ad apostolo. Tutto ciò sin dagli inizi del suo servizio gli infuse coraggio e forza non comune per affrontare le innumerevoli difficoltà cui il Signore lo sottopose, soprattutto dinanzi a coloro che, accecati nella loro mente dalla superbia della vita e dalla certezza della loro fede, non riuscivano a vedere lo splendore del Vangelo di Cristo. Il suo era l’annuncio di Cristo morto e risorto e non quello della sua persona e del suo valore umano fatto anche di preparazione teologica e di forza di persuasione. L’oggetto della sua predicazione non era il racconto della sua vita e delle sue gesta, ma Cristo immagine di Dio e la gloria del Signore rifulgente sul volto stesso di Gesù. La sua identità divenuta chiara anche ai suoi interlocutori ed ascoltatori, era quella del servo non solo di Gesù ma anche dei cristiani, a motivo di Cristo. Questa dovrebbe essere costantemente la coscienza di chi, sacerdote o laico, è chiamato al ministero della predicazione e dell’annuncio del Vangelo, mettendo sempre al primo posto Gesù Cristo nella novità del suo perdono e nella forza stessa derivante dalla fede in Lui. Il servizio a Cristo fa scattare inesorabilmente il servizio anche ai fratelli, con chiarezza di idee, propositi saggi e comportamenti cristiani e non mondani. P. Angelo Sardone

Il SI’ èIENO DI CRISTO

«Gesù Cristo non fu “sì” e “no”, ma in Lui vi fu il “sì”» (2Cor 1,19). Dopo l’esordio che sottolinea la comunicazione vicendevole e sottolinea il vincolo indistruttibile ed una comunione inscindibile che lo unisce ai Corinti, Paolo fa un’apologia appellandosi alla sua coscienza per salvaguardare l’autorevolezza con la quale si è comportato con loro. La serietà è stata sempre coerenza, senza dare adito a fraintendimenti dal momento che quanto ha deciso non dipende dalla carne, cioè dalla sua volontà umana, ma dal progetto di Dio. Appellandosi alla fedeltà di Dio, Egli difende la sua parola nella sua chiarezza e nel fine ultimo del bene, evitando il “sì” o il “no”, salvaguardando la verità ed evitando qualsiasi forma di menzogna. Fa pertanto riferimento a Gesù Cristo la cui identità ed il cui linguaggio non furono “sì” e “no”, ma solamente “sì”. L’oggetto della predicazione sua e di Timoteo rispecchia proprio questa chiarezza della verità, proprio come Gesù Cristo che è il “sì” al Padre ed alle promesse da Lui fatte al popolo santo nel corso della sua storia. Come Cristo ha compiuto il volere del Padre divenendo Egli stesso un “sì” perenne, così anche Paolo ora diventa un «amen», cioè un «così sia» nel compimento della sua missione di apostolo per dare gloria a Dio. E con Lui anche la comunità cristiana. Questi concetti di alto profilo teologico e relative esperienze si ripercuotono anche oggi nei cristiani e nelle comunità, dove la coerenza è talora fluttuante ed accomodante al partito più conveniente, nascondendo un “no” e menzogne velate dietro apparenti verità. P. Angelo Sardone

L’arcangelo Raffaele

«Coloro che commettono il peccato e l’ingiustizia sono nemici di se stessi» (Tb 12,10). Terminate le feste nuziali, Tobi raccomanda al figlio Tobia di ricompensare in maniera adeguata il compagno di viaggio, donandogli la metà dei beni riportati dalla Media. Essi sono ignari che si tratti di un angelo e non di un accompagnatore comune. Ci pensa lo stesso Raffaele a dichiarare la sua entità chiamandoli tutti e due in disparte e parlando loro apertamente. È uno dei sette angeli che stanno sempre al cospetto del Signore e sono pronti ad ogni suo cenno. Il suo insegnamento è molto eloquente. Li invita a benedire Dio, a fare conoscere a tutti le opere di Dio e a ringraziarlo, a fare sempre il bene per avere la garanzia di non essere colpiti dal male, a pregare con il digiuno, l’elemosina e la giustizia. Coloro che fanno l’elemosina, infatti, hanno lunga vita perché questo gesto di carità salva dalla morte e purifica dal peccato. L’attestato della preghiera comune di Tobia e Sara è presentato a Dio proprio dagli Angeli, valenti intercessori, come l’azione del seppellire i morti da parte di Tobi. L’amore per se stessi porta ad evitare di compiere il male e l’ingiustizia perché questi atti nuocciono al bene personale e comunitario. La presenza degli angeli nella vita dei cristiani deve essere ben compresa ed accolta. Oggi sembra prevalere una mania pericolosa di devozionismo verso gli angeli, attestata da comportamenti pseudo-religiosi che si intersecano facilmente con devozione e superstizione, richiesta di grazie e vita in peccato, tradendo la vera identità e funzione di questi spiriti celesti che sono accanto all’uomo non per loro iniziativa ma per volontà di Dio che tutto volge al bene. P. Angelo Sardone

L’intervento di Dio sempre nelle cose umane

«Benedetto Dio! Benedetto il suo santo Nome! Benedetti tutti i suoi Angeli santi» (Tb 11,14). Celebrate felicemente le nozze e ripreso il denaro dal creditore del padre, Tobia e Sara unitamente all’angelo Raffaele ed al cane che li aveva accompagnati lungo tutto il viaggio, si incamminano per Ninive. Con grande gioia la madre di Tobia corre loro incontro piangendo e li abbraccia. Una volta in casa, seguendo le indicazioni dell’Angelo, Tobia soffia sugli occhi spenti di suo padre, vi spalma il fiele del pesce e distacca con le mani come delle scaglie bianche dai margini degli occhi. Tobi finalmente vede il figlio, gli si getta al collo piangendo e prorompe in un cantico di benedizione. Nella comune gioia è contagiato anche Tobia che inneggia con tutta la voce che aveva ed informa il padre della buona riuscita del viaggio e della sposa Sara. Questa ennesima preghiera manifesta ed esemplifica la devozione giudaica e sottolinea come la vita che pratica le virtù è salvaguardata anche dinanzi alle sventure ed è consigliata a chi vuole vivere per questo sentiero. L’uomo giusto che soffre le persecuzioni e le ingiustizie viene premiato da Dio. Il senso vivo della famiglia viene qui esaltato insieme con la nozione alta del matrimonio, l’invito a riconoscere la provvidenza divina che corre in aiuto ad ogni necessità e la vicinanza di Dio sempre attento e compassionevole. La bellezza delle parole di benedizione sulle labbra contrasta, soprattutto oggi, con la facilità con la quale si bestemmia il Nome di Dio o si usa un linguaggio scurrile e volgare che fiorisce sulle labbra di tanti, piccoli e grandi, in nome della modernità che tante volte è autentica stupidità. P. Angelo Sardone